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Contro la guerra, sempre. Contro l’egemonia Usa e Nato. Per un mondo multipolare

2 Marzo 2022

di Giorgio Riolo

La guerra è un tragico catalizzatore. È la più grande politica di destra. Spegne il pensiero, la ragione, lo spirito critico. Alimenta istinti primordiali di sopraffazione, il tribalismo, lo sciovinismo. Arruola, inquadra, schiera, arma. “Noi” contro “loro”.

Dall’altra parte, induce donne e uomini di buona volontà a combattere con le armi spirituali della scelta etica, della cultura e della politica i soliti malvagi poteri che traggono profitto dalla guerra. Contro chi vuole sempre dominare, egemonizzare, contro i mercanti d’armi, il sempre attivo e feroce complesso militare-industriale.

Donne e uomini, la migliore umanità. La pace è sempre “pane, pace, lavoro”. È sempre a difesa dei deboli, di chi subisce morti, patimenti, distruzioni, stupri.

1. È in corso l’immane ipocrisia e la ributtante retorica dei sempiterni “valori occidentali”, della libertà e della democrazia, delle guerre umanitarie, della missione civilizzatrice dell’Europa, degli Usa e della Nato contro i barbari di sempre. Nell’Est e nel Sud del mondo. Prima contro i “comunisti” e poi semplicemente contro i “russi”.

La mente colonizzatrice agisce sempre, dalle Crociate alle nefandezze dell’olocausto IndoAfroAmericano, al colonialismo e all’imperialismo dell’epoca moderna.

I mass media si sono scatenati qui in Europa, in Occidente, con i giornalisti “democratici” in prima fila. A incitare, a disinformare, a reclutare. Un’impressionante manipolazione è dispiegata. L’impero del bene contro l’impero del male. Il baraccone massmediatico costituisce un braccio armato indispensabile.

Il barbaro, folle, ultracorrotto, despota, Hitler contemporaneo, Putin è il bersaglio. È la Russia che minaccia l’Occidente e non il contrario. La Nato essendo un pacifico consorzio di pacifici signori i quali, per esempio, ogni anno tengono manovre chiamate “Defender Europe”. Nell’ultima, maggio 2021, per due mesi, attorno alla Russia, 28.000 soldati e migliaia di mezzi, blindati, aerei, navi. La motivazione delle manovre  “contro una possibile aggressione in Europa da parte della Russia”.

2. Un poco di storia come retroterra. La Nato e l’atlantismo non hanno alcuna ragione d’essere. Allora. Ancor più dopo la fine dell’Urss e del cosiddetto socialismo reale nel 1991. È organismo sovranazionale di offesa. Contro l’Est, allora e oggi, e contro il Sud del mondo oggi. A guida e controllo totale Usa. Ed è lo strumento degli Usa per tenere l’Europa sotto scacco e ben schierata dietro di essa.

Con la fine dell’Urss, gli Usa e l’Occidente hanno voluto stravincere. Con lo smembramento dell’Unione Sovietica e con l’incitamento nazionalistico (come avverrà poi in Jugoslavia). Con il corrotto Boris Eltsin, a loro asservito, e con le bande oligarchico-mafiose imperversanti nei tragici dieci anni 1991-2000. A causa del capitalismo selvaggio e della rovina di molta parte della popolazione russa. Umiliando letteralmente quella parte del mondo. Ha detto recentemente l’ammiraglio tedesco Kay-Achim Schönbach “Putin e la Russia chiedono rispetto”. Semplice. Lo stesso ammiraglio subito fatto dimettere.

Il nostro Draghi, l’Unione Europea e il baraccone massmediatico all’unisono “la prima guerra in Europa dopo la seconda guerra mondiale”. Totalmente falso.

Nel 1999 la Nato a guida Usa, compresa l’Italia dell’allora governo D’Alema, aggredirono la Jugoslavia di Milosevič, ormai ridotta alla sola Serbia. La giustificazione fu la “guerra umanitaria” contro i serbi a difesa del Kosovo. 78 giorni di bombardamenti con 1.100 aerei, Usa e italiani in primo luogo. Bombardata Belgrado e nessuna immagine della popolazione terrorizzata nelle cantine. Come si fa oggi abbondantemente con gli ucraini. Ma i serbi erano “cattivi”, gli ucraini sono “europei” e buoni.

Nel tempo, la Nato si è allargata ai paesi ex Patto di Varsavia. Accerchiamento della Russia e grandi commesse militari da parte di questi paesi a vantaggio Usa. Mancava l’Ucraina.

Nel 2014 si inscena l’ennesimo “colpo di stato democratico” contro il presidente democraticamente eletto Janukovyč in Piazza Majdan a Kiev. Filorusso e quindi da eliminare. Con regia della Cia e con protagonisti i nazisti di Settore Destro e di Svoboda (dal nome di Stepan Svoboda, capo dei feroci collaborazionisti ucraini dei nazisti tedeschi nel 1941. Ogni anno nella innocente Ucraina si tengono sfilate per onorarlo).

Henry Kissinger dall’alto del suo sinistro realismo politico, in un articolo dello stesso 2014, metteva in guardia dal non portare la Nato sotto casa della Russia e di lasciare l’Ucraina come stato cuscinetto. Nel Donbass, la popolazione russofona nello stesso 2014 si ribella. La guerra nel Donbass ha fatto 14/15.000 morti e con protagonisti i nazisti del Battaglione Azov inquadrati nella Guardia Nazionale ucraina. Costoro hanno ammazzato vecchi inermi e hanno compiuto la strage di Odessa, dando fuoco alla sede del sindacato nella quale erano rinchiuse senza scampo 41 persone.

3. Putin e la Russia agiscono da puro realismo politico. Da stato-nazione e da richiamo nazionale e nazionalistico del ruolo storico svolto nel passato, dall’impero zarista e dalla potenza dell’Urss, o da svolgersi oggi e domani. Molto revanscismo dell’umiliazione subita. Nessuna giustificazione della guerra. Ma almeno la comprensione dei processi storici che determinano questi esiti nefasti.

4. Occidente contro Oriente e contro Sud. Prima la Russia, poi verrà la Cina. Armi all’Ucraina. La Germania si riarma, l’Italia sempre obbediente manda armi.

Non arruoliamoci e adoperiamoci per un mondo multipolare antiegemonico. Dove ogni popolo e ogni stato-nazione possano contare.

Milano, 1 marzo 2022

Le tecniche del colpo di stato “democratico”. Ancora Occidente contro Oriente e contro Sud

23 Febbraio 2022

Care, cari, in attesa di scrivere un articolo dedicato ai recenti sviluppi sulla geopolitica in generale, con particolare attenzione a quell’area dell’Europa orientale, vi invio un articolo scritto nel marzo 2014. Subito dopo il colpo di stato “democratico” di piazza Maidan a Kiev.

Pensando di fare cosa utile, come prima parte del ragionamento che si cercherà di fare nel prossimo articolo.

In mezzo a una impressionante manipolazione massmediatica. Mass media, tv, giornali, rete ecc. inquadrati, allineati, guerrafondai al pari di Usa e Nato. Mass media soprattutto di “centrosinistra”. Il “cretinismo democratico” dispiegato, completo.

Manipolazione che si dispiega da dicembre 2021, dagli Usa all’Europa, alla serva Italia.

Per “rifarci i fondamentali”. Come premessa di un pensiero critico sempre necessario.
Allora citavo il sinistro realista Henri Kissinger. Prossimamente citerò le parole dell’ammiraglio tedesco Achim Kay Schönbach. Prontamente fatto dimettere dalla guerrafondaia ministra della difesa tedesca Christine Lambrecht, socialdemocratica.

In questo articolo consideravo anche le manovre Usa per realizzare il colpo di stato “democratico” in Venezuela.

Alcuni, alcune di voi avevano letto a suo tempo. Ma oggi lo ripropongo come promemoria. “Repetita iuvant” ecc.

Un abbraccio.

Giorgio Riolo

Articolo———————————————————————————————————————————–

L’egemonia Usa nel mondo agisce in un contesto molto cambiato dai tempi della guerra fredda, del mondo bipolare (o tripolare, se consideriamo anche i movimenti di liberazione e i paesi non-allineati). Oggi non è assoluta e indiscussa. Nuovi attori e nuovi competitori si sono affacciati. Tuttavia gli Usa giocano le loro carte per mantenere questa egemonia, repubblicani e democratici al governo, non importa.

Le guerre umanitarie e l’esportazione della democrazia sono i mezzi, i veicoli preferiti in questa fase per mantenere un ordine mondiale a loro favorevole, economicamente e geostrategicamente. Per esempio, il contesto attuale e i cambiamenti dei rapporti di forza in America Latina non consentono un bel colpo di stato, brutale e sanguinoso, come si faceva nei bei tempi andati, come in Cile nel 1973. In Venezuela, contro Chavez e la rivoluzione bolivariana, gli Usa ci tentano in vari modi. Nell’aprile 2002 tentarono sempre con i loro scherani interni, “oppositori democratici”, ma troppo palese fu l’ingerenza. Ora in America Latina esistono alleanze regionali importanti antiegemonia Usa e i giochi si complicano.

Oggi la strategia obbligata è quella del colpo di stato “democratico”, la cui fenomenologia è varia e i cui attori variano, ma possiamo individuare alcune costanti. Si tratta di favorire, alimentare, foraggiare con milionate di dollari, addestrare, attraverso varie Ong (di preferenza Usaid e soprattutto Ned, nata nel 1983 per volere di Reagan  e controllata dal Congresso, quindi da democratici e repubblicani assieme e con l’apporto del sindacato Usa Afl-Cio), dei “movimenti” locali, spontanei anche, per definizione “democratici” e indirizzarli verso il fine voluto, rovesciando i governi a loro invisi, anche democraticamente eletti.

Per esempio, Yanukovich in Ucraina, a suo tempo eletto nel 2010 (con tanto di dichiarazione di Soares dell’Osce “impressionante manifestazione di democrazia”). Questo è avvenuto in Serbia, in Georgia, in Ucraina con la cosiddetta “rivoluzione arancione” del 2004, nata e costruita per evitare il secondo turno delle elezioni che avrebbe vinte Yanukovitch, in Kirghisistan, prima alleate della Russia. Va da sé, per creare un cordone attorno alla Russia, dal punto di vista geostrategico, con tanto di presenza della Nato, e per giocare la partita sul gas e sul petrolio e sugli oleodotti-gasdotti, dal punto di vista economico.

Questa descrizione naturalmente prescinde dalla presentabilità o meno dei governi o dei despoti o degli oligarchi al potere che si rovesciano. Ladrone di stato Yanukovich, ma ladronissima e oligarca la signora del gas con la treccia a mo’ di santarellina Timoscenko. Non si tratta di questo. Si tratta solo di smascherare l’immane ipocrisia di questa dinamica.

Il buon samaritano del mondo agisce sempre per “la salvaguardia democratica e per l’aiuto umanitario alla popolazione”. Con tanto di apporto dei media occidentali (fondamentali, attori indispensabili della manipolazione delle coscienze), di uso sapiente di tecnologie sociali e comunicative (Facebook e Twitter in primo luogo, alla faccia degli esaltatori di questi “social network” a sinistra). Come truppe ausiliare, come indispensabile apporto c’è anche l’immane cretinismo “democratico”, del political correct del centrosinistra, di varia natura e storia, in Occidente. In Italia, in modo esemplare con tanto di giornalisti e di giornaliste in quota centrosinistra (soprattutto giornaliste), sempre “democratiche”, infervorate, “sul campo”, zelanti come poche. Ricordiamo, per completare, il nostro attuale capo del governo con l’immancabile uscita “non possiamo non ascoltare il grido di dolore che si leva dal popolo ucraino” e via cretinando.

Immanuel Wallerstein giustamente ricorda che gli Usa si danno da fare per scongiurare l’asse Parigi-Berlino-Mosca e quindi il costituirsi di un polo autonomo europeo. Meno persuasivo, a mio modesto parere, quando dice che gli Usa guardino al Pacifico, per giungere perfino a costituire un polo con la Cina. Tutto opinabile.

L’Ucraina. Occorreva approfittare della questione se accettare o meno l’accordo di libero scambio con l’Europa (naturalmente a svantaggio dell’Ucraina). Piazza Maidan non vedeva solo in azione i vari partiti filoccidentali di Klitschko e della Timoshenko, ma anche la massiccia presenza dell’estrema destra di Svoboda (che si rifà al collaborazionista dei nazisti Stepan Bandera) e del Settore Destro, ben armati e inquadrati a controllare la piazza. La tattica è sempre quella: la piazza è non-violenta e “democratica”, le forze governative violente e repressive. Cecchini ben addestrati e infiltrati colpiscono dimostranti e forze di polizia. Nel caos si guadagna sempre. Il risultato è il governo autoproclamato con gli “americani” Turchinov e Yatseniuk (ampiamente fotografati con la plenipotenziaria Usa per l’Europa e l’Eurasia neocon Victoria Nuland, la quale graziosamente chiama il suo protetto autoproclamato primo ministro “Yatsi”) e con il neo procuratore generale Mahnitsky di Svoboda alla sua testa.

La Russia di Putin, nella nuova versione della guerra fredda, gioca le sue carte e vedremo come va a finire. La secessione di Crimea e dell’Ucraina orientale filorussa è il risultato, come paventavano analisti realisti italiani, per niente prorussi, come Sergio Romano e Fabio Mini. Quest’ultimo, a suo tempo, comandante delle truppe italiane in Kosovo. E a proposito di Kosovo, ricordiamo la madre di tutte le nefandezze, la guerra dei Balcani del 1999 e l’allora, benedetta dall’Occidente, secessione del Kosovo. Infine è intervenuto il sinistro e realista Kissinger, dicendo apertamente che se si agisce così sotto casa della Russia, anche con il voler mettere basi Nato non solo in Polonia e Lituania, ma anche in Ucraina, il minimo che ci si può attendere è la violenta reazione della Russia.

In Venezuela, la partita è altrettanto importante. Per mezzo delle solite Ong Usa, soprattutto la Ned, si fanno arrivare tanti soldi alla opposizione. Oggi a Leopoldo Lopez. Sempre la feroce oligarchia venezuelana, ancor più rabbiosa perché, malgrado la scomparsa dell’arciodiato meticcio Hugo Chavez, il chavismo resiste e anzi viene legittimato dalle elezioni presidenziali dell’aprile scorso e dalle recenti elezioni amministrative. Dimostrazioni di giovani delle classi medie cittadine, amplificate a dismisura dai media occidentali, vengono indirizzate e anche qui agiscono cecchini professionisti che debbono colpire poliziotti e dimostranti per creare caos. I media occidentali, zelanti sempre, a diffondere, per esempio, la foto della giovane modella colpita e portata in moto in ospedale per poi scoprire che a ucciderla è una pallottola di arma non in dotazione alla polizia. E così è avvenuto per altri morti in questi giorni.

Per chiudere questa nota. A piazza Majdan si è fatto vedere immancabilmente Bernard Henry Levy, detto Bhl, per la rapidità con cui si muove e porta a destinazione la sua persona. È ridicola la foto che lo ritrae in posa sulle barricate, con tanto di fotografi e di scorta di chi controlla la piazza. Questo ineffabile trombone postsessantotino, o sedicente tale, sedicente allievo di Jean Paul Sartre. Di quel filone comunque parolaio, modernizzatore e “democratico”, filone, ahinoi, molto presente e prolifico, che dal Sessantotto è scaturito.

Di chi si sente autorizzato a parlare sempre e comunque, facendo professione, continuamente, sempre, di anticomunismo e di antimarxismo, ma “democratico”, anzi in odore di essere “di sinistra”, che usa l’accusa di antisemitismo come fosse una clava, come intimidazione, a ogni pie’ sospinto, gratuitamente, contro chi non la pensa come lui. Ebbene, ha detto, dopo la visita a Maidan, “una piazza democratica senza ombra di dubbio”. Alla faccia dei trucidi nazistoni di Svoboda e di Settore Destro, le cui manifestazioni di xenofobia e di antisemitismo sono universalmente note e palesi.

Per concludere veramente. La controinformazione è un pezzo importante di questa partita. Essendo la formazione del giudizio critico, del pensiero autonomo, un problema, anche a sinistra. Ho sentito personalmente esponenti di sinistra alternativa (non moderata, “democratica”, di cui sopra) accusare Chavez di antisemitismo a causa della sua sacrosanta condanna di Israele e del suo adoperarsi nel creare l’alleanza-cartello in funzione antimperialistica, a mo’ di novella Opec, dei paesi produttori di petrolio, incluso quindi l’Iran.

Molta controinformazione è prodotta all’estero. Cito solo quelli che ho consultato in internet e nella newsletter regolarmente inviatami: Other News (in inglese e in spagnolo), InvestigAction del belga Michel Collon, Carta Maior del Brasile. Ma molti altri esistono. In Italia soffriamo ancora dei retaggi storici del provincialismo. Ma anche della subordinazione atlantica.

Questa nota è dedicata a Hugo Chavez Frias, leader venuto dal popolo e in profonda sintonia con il sentire popolare. Catalizzatore impressionante delle migliori energie popolari venezuelane, dei giovani e delle giovani in primo luogo. A un anno dalla sua prematura scomparsa.

Milano, 13 marzo 2014

L’ipocrisia e la retorica al potere. Debito ecologico, debito coloniale e malsviluppo, i grandi assenti nei vertici mondiali sul clima

Giorgio Riolo

Leonardo Boff è stato tra i fondatori della Teologia della Liberazione. Una volta dismesso il saio di francescano (ci ricordiamo il 1984, giustizieri Wojtyla e Ratzinger?), è diventato uno dei più attenti e più efficaci critici del malsviluppo. La dimensione sociale e la dimensione ambientale sempre presenti nella sua critica e nelle sue proposte alternative al corso dominante capitalistico su scala mondiale.

In un recente articolo ha parlato dei grandi assenti alla COP26 di Glasgow, la Terra e la Natura. Così, da lui ispirati, usiamo la stessa metafora a proposito di altri grandi assenti.

In primo luogo, una questione di metodo. Il positivismo dominante, lo specialismo esasperato, la cultura del frammento, la mancanza di narrazione e di visione della “lunga durata”, il postmoderno, il guardarsi bene dal considerare che “nel capitalismo tutto si tiene”, la cancellazione della coscienza storica e del “presente come storia”, il neoliberismo insomma, la fanno da padrone. Il risultato è questo scenario desolante dei vertici mondiali, il G20 e la COP26 di Glasgow come ultimi esempi. Manca la possibilità della considerazione dei problemi mondiali come un tutto organico, come un tutto correlato. A malapena si mettono in relazione i problemi ambientali e climatici con i problemi sociali, con il lavoro e con il non-lavoro. Non si mette in relazione la giustizia climatica con la giustizia sociale, con la questione femminile ecc. E quando lo si fa è spesso solo come concessione retorica.

II.

Semplicemente, alla COP26 i protagonisti sono stati i rappresentanti dei governi e delle istituzioni internazionali. Con le potenti lobby delle multinazionali come convitati di pietra. Sempre attive da Rio 1992 e influenti, anche per i soldi che mettono volta a volta come sponsors. Una netta contraddizione.

I giovani, di Fridays For Future (FFF), di Extinction Rebellion e di altri organismi, i rappresentanti dei popoli e dei senzapotere del Sud Globale, dei popoli indigeni, dei movimenti ambientalisti e dei movimenti sociali, delle coalizioni popolari sui problemi ambientali e sociali, dei sindacati, delle associazioni della società civile ecc. a latere, fuori dal vertice, nelle strade di Glasgow. Solo alcuni rappresentanti di questi organismi invitati a parlare nel vertice, come ornamento ed espressione di buona volontà da parte dei potenti.

Il fallimento era annunciato. Molte dichiarazioni di principio, anche nel documento finale, ma senza piani concreti e impegni vincolanti per conseguire i fini enunciati. Ipocrisia e retorica. Il neoliberismo per definizione non tollera leggi, norme, impegni vincolanti. Anche se i dominanti mondiali non possono più negare come facevano un tempo. In questo, tra l’altro, accompagnati da negazionisti presenti là dove meno te lo saresti aspettato. L’industrialismo, il produttivismo, lo “strutturalismo”, lo scientismo, la visione ingenua del progresso ecc. hanno fatto molti danni a sinistra, partiti e sindacati. Anche in alcuni marxismi.

Naturalmente eurocentrismo e occidentalocentrismo in azione alla grande. Gli Usa e i paesi storicamente inquinatori hanno compiuto da subito la diversione di massa. Cina, India, Russia ecc. paesi additati quali responsabili del disastro ambientale e climatico e quindi del fallimento del vertice. Il fondamentalismo, il cretinismo “democratico” nostrano all’opera. Giornalisti e vari esponenti politici italiani di centrosinistra arruolati, infervorati e solerti a malinformare.

“La Cina la più grande inquinatrice del pianeta” ecc. ecc. Nessun riferimento al retroterra storico e all’ingiustizia storica accumulata. Si assisteva a qualche dibattito televisivo e spesso era un giornalista economico o un esponente politico di destra a ricordare che le emissioni si calcolano pro-capite. Come indicato da organismi seri come lo Ipcc e il Global Footprint Network (GKN). E così facendo la Cina sprofonda al 42mo posto nelle emissioni di gas serra. Paesi del Golfo, Usa, Canada, Australia ecc. diventano allora i primi inquinatori. Martina Comparelli di FFF Italia sobriamente ricordava, in uno di questi dibattiti, che la gran parte delle produzioni cinesi sono a uso e beneficio dei mercati e dei consumi occidentali. La “officina del mondo” attuale, come l’Inghilterra lo era a partire dal 1750 e per tutto l’Ottocento. Si produce e si inquina fuori, nelle periferie, si consuma allegramente nei centri. Cina e India sono in tutti i casi paesi “cattivi”.

L’accumulazione del capitale e l’accumulazione dei gas serra. Sono processi secolari. I cambiamenti climatici in corso hanno una causa attuale nei gas serra emessi in qualche ciminiera di Manchester dal 1750 in avanti o a Pittsburgh o nella Ruhr dall’inizio del Novecento. Quello che si riesce a fare come controtendenza da qui in avanti lo vedremo solo come effetto tra alcuni decenni. Almeno tra mezzo secolo.

Quasi nessuno ha fatto riferimento al GFN, la rete mondiale sulla “impronta ecologica”, e ai numerosi rapporti che tale organismo emette . Vero metro di misura di ciò che succede nel pianeta come uso e abuso delle risorse. “Il livello di vita dell’americano medio non è in discussione”, è il mantra Usa da Reagan in avanti. Il fondamentalismo americano, democratico o repubblicano, non fa differenza, è sempre in azione. Allora se consumassimo o depredassimo come uno statunitense occorrerebbero 5 pianeti terra, come un cinese 2,2, come un indiano 0,7. Dati GFN.

III.

Alcuni dati e alcuni riferimenti storici. Il Sud Globale giustamente rivendica il debito coloniale e il debito ecologico. Il colonialismo ha depredato risorse ed esseri umani. Ha sfruttato e ha sottratto ricchezza a beneficio dei paesi colonizzatori del centro, per il proprio sviluppo. Inibendo così lo sviluppo di queste aree saccheggiate.

A proposito di debito coloniale, valenti storici indiani stanno calcolando quanta ricchezza la Gran Bretagna ha sottratto all’India. Dalla East India Company al dominio diretto britannico fino all’indipendenza del 1947. Somma incredibile, enorme, se si applica l’interesse composto in tutto questo tempo trascorso.

Il debito ecologico è fortemente connesso. Non solo per quanto compiuto nel Sud Globale da parte delle potenze colonizzatrici, ma anche per l’uso indiscriminato delle energie fossili (e conseguenti emissioni) per il proprio sviluppo dal 1750 in avanti. Ora si impone ai paesi cosiddetti in via di sviluppo di fermarsi. Cina e India dicono di no. Occorre una transizione verso la fine dell’energia fossile e verso l’energia totalmente rinnovabile. Questa transizione dovrebbe essere pagata dai paesi sviluppati, colonizzatori in primo luogo. Anche il ben misero fondo per il clima promesso a Parigi nel 2015 è stato disatteso. Nessuno ha versato. Adesso si promette di raddoppiare i 100 miliardi di dollari di prima. Ma non si contempla alcuna misura vincolante. Infine occorre ricordare sempre che la differenziazione e la diseguaglianza non è solo su scala mondiale. È anche entro il singolo paese. Negli Usa il 10% più ricco emette gas serra come il 50% più povero.

Un dato storico si impone e ci aiuta a comprendere lo stato del mondo, di allora e di oggi. Esiste una gerarchia mondiale nell’uso dell’energia, diretta e indiretta, contenuta nelle merci e nei servizi. Nel 1980 un abitante Usa consumava tanta energia quanto 2 tedeschi, 3 svizzeri, 4 italiani, 60 indiani, 160 tanzaniani e 1100 ruandesi.

IV

Alcune considerazioni sempre sulla necessaria transizione. Energetica e complessivamente nella riorganizzazione capitalistica. La prima energia alternativa è il risparmio energetico. Non solo nella sfera degli stili di vita e nelle scelte individuali. È enorme l’energia che si potrebbe risparmiare con un cambiamento radicale dei processi di produzione, non solo nelle macchine, ma anche e soprattutto nella organizzazione produttiva. Anche in agricoltura e negli allevamenti, con la fine dei nefasti allevamenti intensivi. Scienza e tecnologia contemporanee soccorrono. Tutto ciò comporta enormi investimenti. Che verrebbero ovviamente ripagati nel lungo periodo. Ma le singole imprese non procedono se non sospinte entro un piano governato dal centro, istituzioni nazionali e internazionali. Allora. È interpellato il protagonismo non solo degli ambientalisti, ma di tutti i soggetti sociali, in primo luogo del mondo del lavoro (i sindacati, le lavoratrici e i lavoratori).

V.

Esiste una prospettiva. Un’esigenza. Occorre agire come soggetto sociale complessivo. Non separare ciò che non è separabile. L’auspicio è che alle mobilitazioni dei lavoratori partecipino gli ambientalisti (o loro delegazioni) e così che alle mobilitazioni sui cambiamenti climatici e sull’ambiente partecipino sindacati e lavoratori. Così si è sperimentato nei Forum Sociali Mondiali e nel movimento altermondialista. Questo è risultato più agevole nel Sud Globale, a misura delle gravi condizioni in cui si trovano quelle aree del mondo. Meno facile nei centri capitalistici. Ma è la sfida con cui le classi subalterne, i movimenti antisistemici e i partiti della sinistra alternativa del centro debbono misurarsi.

Vigevano: Viva la Comune di Parigi e Rosa Luxemburg. Video conferenza pubblica.

Dall’esperienza della Comune di Parigi al 150esimo anniversario della nascita di Rosa Luxemburg. È dedicata a questi temi la conferenza pubblica intitolata “1871-2021: 150 anni di presenze” organizzata dal collettivo culturale “Rosa Luxemburg” di Vigevano presso la Sala polivalente “Giuseppe Franzoso” della Biblioteca Civica “Lucio Mastronardi” in corso Cavour 82 a Vigevano.
Relatore dell’incontro è il saggista Giorgio Riolo, esponente della “Rete delle Alternative”.

Saggista Giorgio Riolo


La Comune di Parigi (18 marzo-28 maggio 1871). Tra “assalto al cielo” e dura e terrena realtà del potere e delle armi dei dominanti.

di Giorgio Riolo

I.

Nella primavera del 1971, centenario della Comune di Parigi, molti di noi, giovani e giovanissimi, cominciammo a conoscere, meglio e profondamente, questo passaggio decisivo nella storia dei movimenti di emancipazione, del movimento operaio in particolare. Avevamo comunque alle spalle il biennio 1968-1969 e la scuola e la pedagogia e l’autoapprendimento della ondata trasformativa di quella particolare fase storica. In Italia e in Occidente e nel resto del mondo.

Da allora la Comune si è oggettivata nella nostra testa e nel nostro cuore come un “universale”, come un “simbolico”, oltre la concretezza, il “particolare” del suo accadere. Che ci ha trasformati e ci trasforma ulteriormente, al pari di passaggi decisivi della liberazione umana. Altri “assalti al cielo”, da Spartaco all’Ottobre 1917, al risveglio dei popoli coloniali ecc. ecc.

Ogni universale, tuttavia, ha un corrispettivo fattuale, del corso storico reale, il particolare concreto, della dura realtà della storia e della società a cui si riferisce. E la Comune non sfugge a questa dialettica.

II.

Gli avvenimenti della guerra franco-prussiana del settembre 1870 e la sconfitta di Sedan e la fine di Napoleone III e del Secondo Impero costituiscono l’antecedente storico immediato. Così come la nascita della Repubblica e tutte le vicende e manovre di ceti politici borghesi francesi alle prese con la volontà della classe operaia, in primo luogo, e di artigiani e di piccolo-borghesi parigini, di non cedere alle armate prussiane di occupazione e di resistere ad oltranza all’assedio tedesco di Parigi.

Il problema è il popolo in armi. Con la Guardia Nazionale che non depone le armi così come ordina di fare il governo Thiers. Al tentativo fallito, il popolo parigino, alla cui guida sono esponenti proudhoniani, blanquisti, neogiacobini ed esponenti della Prima Internazionale, alcuni dei quali valenti seguaci di Marx, proclama la Comune, sul modello della “patria in pericolo” della Grande Rivoluzione del 1792-1794.

Il 18 marzo 1871 il governo, i ministri, l’Assemblea, i grandi faccendieri, la grande borghesia capitalistica e i grandi proprietari terrieri, con il codazzo di funzionari e di addetti e addette di varia natura, fuggono a Versailles. Parigi rimane in mano agli operai e artigiani e al popolo in armi della Guardia Nazionale.

La Comune, con il Consiglio e i Commissari e con le sue articolazioni e le sue assemblee durerà dal 18 marzo al 28 maggio. Nella sua breve esistenza essa ebbe da risolvere problemi e questioni grandi e adottare misure in corso d’opera. Molte inedite e di grande valore, esempi per la storia successiva delle rivoluzioni e dei movimenti sociali. Entro la difficile navigazione a vista tra, all’interno, disparità di vedute delle sue componenti e correnti, molte attenuate comunque dall’eccezionalità della situazione, e, all’esterno, i prussiani alle porte e le manovre e l’accerchiamento costante dei “versagliesi”, i dominanti costretti a rifugiarsi a Versailles.

Ricordiamo solo alcune misure adottate dalla Comune, per capire il valore della sua esperienza.

1. Elezione diretta di tutte le cariche. Dirigenti e funzionari revocabili in ogni momento.

2. Salario equivalente a quello di un operaio specializzato per ogni esponente e ogni carica, dai componenti del Consiglio ai magistrati, ai poliziotti, ai semplici funzionari e impiegati.

3. Non esercito professionale, ma popolo in armi.

4. Misure per il lavoro, con proibizione del lavoro notturno, a partire da quello dei fornai. Regolamentazione del lavoro femminile e minorile.

5. Asili, scuola elementare laica gratuita.

6. Partecipazione e ruolo attivo delle donne. “Unione delle donne per la difesa di Parigi” e due esemplari, nobili figure femminili alla testa dell’Unione, da ricordare sempre. Louise Michel, maestra e rivoluzionaria, e l’esiliata russa Elisabeth Dimitrieff, di origini nobili e divenuta seguace di Marx.

7. “Nei confronti dello Stato la religione è un affare privato”.

III.

Marx ed Engels e il Consiglio Generale di Londra della Internazionale avevano ben chiaro in quale disperata condizione si stava compiendo questo “assalto al cielo”, questo esperimento di nuovo assetto sociale e politico, di autogoverno delle classi subalterne, di costruzione di uno Stato e di un mondo nuovi.

Nelle circolari redatte da Marx, note come Indirizzi del Consiglio Generale della Associazione Internazionale dei Lavoratori, si analizzano gli avvenimenti nello svolgersi degli stessi. Il terzo Indirizzo, letto da Marx al Consiglio Generale due giorni dopo la tragica fine della Comune, è conosciuto come La guerra civile in Francia ed è un capolavoro letterario nella analisi politica e nella esposizione dei fatti.

Egli aveva chiaro che le condizioni in cui si venne a trovare Parigi e il suo popolo in quel particolare momento esibivano un’alternativa secca. O capitolare e deporre le armi, e allora la “demoralizzazione” e la sconfitta senza ingaggiare lo scontro, o ingaggiare battaglia e provare a prendere il potere, ma in un contesto sfavorevole, molto difficile.  

Due soli rilievi, da parte di Marx ed Engels, tra gli errori fatti. Il non aver marciato su Versailles prima che le forze militari versagliesi di Mac Mahon si riorganizzassero e venissero ampliate con reclutamenti vari, anche dei prigionieri di guerra francesi rilasciati dai prussiani. Il non aver messo le mani sulla Banca di Francia, per spingere la borghesia capitalistica e l’aristocrazia affinché costringessero il governo Thiers a cercare un compromesso con la Comune e a non procedere nella repressione violenta e definitiva.

Rimaneva comunque il problema generale di ogni rivoluzione o di ogni insurrezione a Parigi e quindi anche della Comune. L’essere sempre isolata rispetto alla campagna francese, composta com’era di molti contadini beneficiati prima da Napoleone I e poi da Luigi Bonaparte. La Francia bonapartista e sciovinista per antonomasia.

Il 8 maggio l’esercito versagliese, forte di 160.000 uomini e dei cannoni a esso ceduti dai prussiani, procedette all’attacco e al bombardamento continuo di Parigi. Il 21 maggio i soldati penetrarono in città e si abbandonarono a massacri, fucilazioni e sventramenti di uomini, donne e bambini. Fu la terribile “settimana di sangue” dal 21 al 28 maggio.

Vennero passati per le armi circa 31.000 esponenti del popolo parigino, molti fucilati sul posto, compresi donne e bambini. Più di 38.000 furono fatti prigionieri e deportati con estenuante marcia (simile ad altre “marce della morte” di novecentesca memoria) al campo di concentramento di Satory. Qui ulteriormente decimati, lasciati all’aperto, tra fango e malattie. I sopravvissuti vennero deportati nella Nuova Calendonia, in Oceania. Negli scontri, precedenti la “settimana di sangue”, erano caduti circa 10.000 combattenti della Comune.

Un solo testimone. Non simpatizzante della Comune bensì del governo Thiers. Il corrispondente del Times di Londra scrisse il 29 maggio “I Francesi stanno scrivendo la pagina più nera della storia loro e dell’Umanità”.

Il colpo per il movimento operaio e socialista francese fu mortale. Nel settembre 1871 si tenne a Londra una Conferenza dell’Internazionale. In quell’occasione Marx fece intendere che la Comune costituiva un tornante, un punto di svolta, nella storia del movimento operaio e socialista. Occorreva prenderne atto. “La classe operaia deve costituirsi in partito politico”. Era l’impulso alla formazione di partiti socialisti su base nazionale. Con relativa revisione delle forme politiche e organizzative e delle forme di lotta. Forme aderenti a un percorso di azione politica che tenesse conto delle trasformazioni del capitalismo e della società borghese.

Engels nella famosa Introduzione alla edizione del 1894 dello scritto di Marx Le lotte di classe in Francia dal 1848 al 1850 espresse questa nuova visione. Le forme di lotta non potevano essere le solite forme ottocentesche dello scontro armato di strada, il cui simbolo era la proverbiale barricata parigina. Detto grossolanamente, i prodromi di una visione che con molti passaggi intermedi giungerà alla concezione gramsciana della “rivoluzione in Occidente”.

Ma qui siamo andati molto avanti.

IV.

Chi tenta lo “assalto al cielo” confida molto sul “fattore soggettivo”, sul volontarismo, sullo spirito di abnegazione e di sacrificio. La generosità umana e la dignità morale sono indiscusse. Nel Novecento il filosofo marxista Ernst Bloch denominerà questa modalità dell’umano con la nozione di “corrente calda” della società e della storia. Essendo la esatta ricognizione del cosiddetto “fattore oggettivo”, delle condizioni oggettive, delle condizioni economiche, sociali e politiche, dei rapporti di forza tra le classi ecc. la “corrente fredda” nella dinamica storica e sociale.

L’esperienza storica successiva alla Comune mostra molte cose.

In primo luogo, la Comune e la Rivoluzione d’Ottobre, l’altro “assalto al cielo”, sono state sconfitte (il socialismo reale nel 1989), ma hanno trasformato il mondo.

In secondo luogo, sempre alla luce dell’esperienza storica, piuttosto che di “rivoluzioni” puntiformi forse occorre parlare di avanzamenti, di incessanti trasformazioni di “lunga durata”, con possibili temporanei arretramenti sociali e politici. Sempre da tenere nel conto. Sempre avendo chiaro l’ammonimento dello stesso Bloch secondo cui il confidare solo sulla “corrente calda” può condurre all’avventurismo, al colpo di mano, all’inutile sacrificio, mentre il confidare solo sulla “corrente fredda” può condurre all’opportunismo, al considerare la realtà storica e sociale non trasformabile, immodificabile.

Per concludere, e perché questa nota nell’anniversario della Comune. La sua lezione rimane come punto fermo della “nostra” storia. Veramente, con le parole di Marx. I suoi martiri hanno per urna il grande cuore della classe operaia. E, noi aggiungiamo, dei movimenti antisistemici e di chi non crede o si adagia alla “fine della storia”.

Milano, 16 marzo 2020

Giorgio Galli e la passione per la storia e per la politica. Una doverosa nota di commiato.

di Giorgio Riolo

I necrologi non sono solo tristi occasioni. Beninteso, sono tristi sicuramente e chi rimane è preso dallo sconforto per le continue perdite di punti di riferimento, di notevoli e preziose persone, amiche e compagne di percorso. È nondimeno anche l’occasione per riandare con la memoria e per riattualizzare e valorizzare momenti, fatti, acquisizioni nella vita personale e nella vita collettiva. Importanti, vive, proiettate in avanti.

Giorgio Galli è stata figura importante nella cultura e nella politica dell’Italia del secondo dopoguerra. Abbiamo messo “passione per la storia e per la politica” perché, conoscendolo, si offriva a chi veniva in contatto con lui la sensazione che le cose di cui scriveva e parlava non erano aride materie di studio e di ricerca. Rigoroso e dotato di una memoria formidabile, filologica, esibiva una curiosità e un’attenzione al reale e alle vicende anche trascurabili come pochi altri e altre.

La storia dello “alto” e la storia del “basso”, la politica “alta” e la politica “molecolare” di chi si impegna quotidianamente, nella società civile e nelle formazioni politiche, non importa, erano presenti e operanti nella sua attività di storico e di notista politico. Un professore di storia delle dottrine politiche alla Statale di Milano che si occupava dei partiti politici, delle formazioni politiche nella storia e nelle istituzioni e che tuttavia aveva la curiosità per ricostruire la storia delle culture alternative (comprese le subculture) e dei gruppi sociali “antisistema”, anche perché semplicemente “fuori dal sistema”, eretici ed eretiche, i vinti. Dalle streghe alla cosiddetta New Age degli anni ottanta, alle culture esoteriche, a “sinistra” e a “destra” (famosi i suoi lavori sulle credenze magiche, esoteriche, del nazismo).

I.

Ci conoscemmo alla fine degli anni Settanta proprio in un luogo “alternativo”, i primi inizi in Italia dell’alimentazione sana e della medicina alternativa. Galli, ormai affermato come storico e come fine notista politico, conosciuto autore di numerosi libri e attraverso soprattutto la sua famosa rubrica nel settimanale Panorama, ci accoglieva, a casa sua o fuori, per colloqui informali di scambio reciproco. Ci sorprendeva, noi allora giovani della Nuova Sinistra, per conoscenza minuziosa, analitica, delle vicende delle numerose, anche minuscole, roba da microstoria, formazioni di detta sinistra.

Questi colloqui privati arricchivano quello che aveva riversato nei suoi libri sulla storia dell’Italia del dopoguerra, sulla storia dei partiti, del Pci, della Dc, del socialismo italiano. Sulla storia dei governi e del ricco e multiforme, corrotto e corruttore, sottogoverno, tipicamente italiano. Tipicamente democristiano, ma non solo. Delle trame occulte, dell’ampia e capillare corruzione, dei poteri eversivi della democrazia italiana, degli “affari di Stato”, del capitalismo italiano continuamente “assistito” dallo Stato, dell’intreccio mafia e politica ecc.

Le sinistre storiche non ne uscivano bene da quella rassegna così precisa e documentata. Con partecipazione critica tuttavia, non da spirito del dilagante “disincanto”. Con animo sgombro e lucido. E, per non sembrare o essere faziosi, lucidamente ne usciva il generoso ma inane volontarismo e il velleitarismo di molta di quella sinistra allora detta extraparlamentare. Insomma, si imparava molto a contatto con una simile personalità.

La generosità intellettuale e politica di Galli si manifestava ulteriormente nella sua continua disponibilità. Negli anni Ottanta, dapprima con il Cipec, il centro culturale di Democrazia Proletaria, e in seguito, anni Novanta e anni Duemila, con il Punto Rosso, egli rispondeva sempre affermativamente a ogni nostro invito a partecipare a convegni, conferenze e dibattiti, anche in piccoli centri, non solo a Milano.

In particolare, a proposito del suo rigore etico, occorre ricordare che quando Berlusconi mise le mani sul complesso delle attività editoriali del gruppo Mondadori, Galli fu tra i primi, se non il primo, a rassegnare le dimissioni da Panorama. Privandosi di una tribuna giornalistica e politica così importante e influente come la sua famosa rubrica posta alla fine di ogni numero del settimanale.

Fino alla sua improvvisa morte ha continuato a ripubblicare i suoi libri, rivisti e aggiornati, alla luce di nuovi sviluppi nella storia reale e di nuove acquisizioni dello stesso autore. Ma aveva ancora in cantiere altre ricerche e altri libri.

II.

A mo’ di conclusione e come congedo da una simile personalità. La storia come disciplina e la politica come disciplina, sapere e arte del possibile, e come azione quotidiana (un tempo si diceva “prassi”) sono così inestricabilmente intrecciate che si sente il bisogno di ricordare a ogni pie’ sospinto che è nefasta la divaricazione, soprattutto dal lato dei gruppi dirigenti politici. In generale e nelle varie sinistre in particolare.

La sobria constatazione è, nel mondo nostro contemporaneo, che cultura e conoscenza storica difettano in molti gruppi dirigenti. Da qui i molti problemi attuali nella teoria e nella pratica della buona politica.