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Peppino Impastato, una storia in cui ritroviamo le nostre radici e il nostro futuro

Pubblicato il 8 mag 2021

Giovanni Russo Spena*

43 anni  fa Peppino Impastato veniva ucciso. Per il suo impegno militante antimafia e per il suo meridionalismo sociale. Peppino è stato il precursore dell’antimafia sociale. Le sue idee, la sua figura sono attualissime.

Soprattutto oggi, con la mafia che diventa sempre più pervasiva all’interno delle strutture economiche e sociali. La mafia attua, oggi, negli strati popolari impoveriti dalla pandemia, un vero e proprio welfare “sostitutivo” di uno Stato sociale  che non eroga le risorse necessarie; e acquista quote ed azioni di aziende in difficoltà economiche.

Peppino è, quindi, attuale perché fu vittima del “sovversivismo” reazionario delle classi dominanti meridionali. Non dimentichiamo che la Commissione Antimafia, nel 1976, ancora parlava della mafia come di una “comune forma di delinquenza organizzata” e che la prima legge antimafia fu varata solo nel 1982 (4 anni dopo l’uccisione di Peppino…). Umberto Santino ci insegnò, in quegli anni difficili, il “paradigma della complessità” della borghesia mafiosa: la mafia come organizzazione e sistema di rapporti, intreccio tra criminalità, accumulazione, processi di valorizzazione del capitale, codice culturale; e, insieme, consenso sociale. 

Impiegammo 22 anni per ottenere la condanna giudiziaria dei mandanti dell’uccisione di Peppino e 21 anni per ottenere l’approvazione, in Parlamento, della mia relazione che indaga sugli intrecci di potere che non avevano permesso di giungere subito alla verità.

Anche il Ministero dell’Interno parlò, per 20 anni, di Peppino “terrorista” o di Peppino “suicida”. Non a caso decisi, insieme agli splendidi collaboratori della Commissione Antimafia, di intitolare la relazione “Anatomia di un depistaggio”. E, dopo anni di inchiesta, volemmo che si aprisse con queste parole: ”Italiani perdonateci; lo Stato avrebbe potuto scoprire subito la verità, ma segmenti dello Stato (Carabinieri, parte della Magistratura) lo impedirono”. Non vi fu, infatti, da parte dello Stato, negligenza o inerzia ma scelta consapevole.. Perché la mafia è un sistema di relazioni.

A Cinisi indagammo sulla identità di una mafia in transizione: che diventava un vero e proprio distretto della droga, raccordo e tramite tra mafia siciliana e mafia statunitense. Insomma Badalamenti, che volle l’uccisione di Peppino, aveva tanto denaro, tanto potere, un articolato sistema di relazioni politiche. La mafia è dentro l’amministrazione, la finanza, la politica.

Il ricordo di Peppino è attualissimo. Perché fu, insieme ai tanti braccianti e sindacalisti uccisi dal potere borghese/mafioso (da Portella della Ginestra in poi) precursore dell’antimafia sociale.

Costruì un nesso tra lotte studentesche, bracciantili, per la riforma agraria: una sfida al comando mafioso sul territorio. Utilizzando anche  strutture allora appena apparse; Radio aut, con il sarcasmo delle splendide e coraggiose trasmissioni di Peppino, fu una vera e propria demistificazione e critica del potere.

Rivedo Peppino nelle tante ragazze, nei tanti giovani che praticano conflitto e mutualismo sociale nei quartieri metropolitani del Sud, nei tanti paesi abbandonati dallo Stato.

Peppino non è una icona nostalgica: era un militante comunista, un attivista sociale, di Lotta Continua e di Democrazia Proletaria, che combatteva i compromessi “milazziani” che coinvolgevano mafie e settori della sinistra in un articolato sistema di interessi.

E’ stato certamente anche un precursore del movimento altermondialista.

Lottò per “un altro mondo possibile”.

Lo comprese e lo aiutò la sua splendida mamma, mamma Felicia, donna straordinaria, che è stata la mamma di tutte e tutti noi.

*responsabile area  Democrazia, diritti, istituzioni, PRC-S.E.