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Le due “Caporetto”

11 Novembre 2022

In questo autunno sono caduti gli anniversari di due date tragiche: il 24-25 ottobre 1917 la rotta di Caporetto e il 28 ottobre 2022 la “Caporetto della democrazia” cioè la cosiddetta “Marcia su Roma”. Quest’ultima ricorrenza non è stata lasciata passare sotto silenzio dall’ANPI di Vigevano che ha realizzato la mostra “La violenza squadrista in provincia di Pavia. 1921-1922” esposta nella sala dell’affresco del Castello.

Per i 105 anni dalla Caporetto militare voglio ricordare i due soldati vigevanesi fucilati durante la scomposta ritirata.

Una fuga a caso, in cui ciascuno decideva per proprio conto guidato solamente dai propri istinti. Nulla di più facile per gli austro-tedeschi prenderne in rete 265mila, mentre i restanti 350mila si ammassavano sulle strade infangate incrociandosi con l’esodo a piedi delle tante famiglie del luogo, anch’esse terrorizzate dal sopravvenire del nemico, e con carri carichi di masserizie. L’unica aspirazione dei fanti in ritirata era il ritorno a casa; ma per molti di loro la fuga fu interrotta da truppe di carabinieri che li passavano per le armi con l’accusa sommaria di diserzione.

Questa descrizione si adatta probabilmente a delineare le circostanze dell’esecuzione capitale di Giovanni Bussola, classe 1893, ucciso il 30 ottobre 1917 a Codroipo, cioè vicino a uno dei ponti sul Tagliamento.

Di fronte a una confusione generalizzata, tra maltempo, fuga di civili, strade impraticabili, tra ordini insensati o la mancanza di comandi, era facile cadere ucciso, oppure fatto prigioniero, e anche arrestato. Bussola si era presentato senza fucile? Bastava questo per essere giustiziato? Non lo sappiamo, sul suo foglio matricolare è indicato un generico “atto di codardia”.

Per Antonio Santagostino, classe 1887, sposato con un figlio, abbiamo qualche notizia in più. L’indicazione sulla sua fucilazione a Nervesa, appena a ovest del Piave, mi ha fatto scoprire la memoria dattiloscritta di Paolo Ciotti raccolta nell’Archivio diaristico nazionale di Pieve Santo Stefano, che racconta che il 2 novembre 1917:

“Tre soldati, fra cui un caporale, erano stati sorpresi dal Colonnello Brigadiere mentre uscivano da una villa di Nervesa con alcuni effetti di biancheria. Vi erano entrati così per quel senso di curiosità, di cui tutti ancora si era invasi nel vedere una casa abbandonata, e trovando nelle stanze deserte della biancheria, avevano innocentemente commesso l’errore di scegliere qualche camicia e qualche paia di mutande per cambiarle con quelle sporche e piene di insetti che tenevano ancora addosso fino dal Settembre. Il Generale li interrogò, prese il nome e cognome di ciascuno e tre ore dopo, quando ancora eravamo a mensa, un porta ordini del Comando di Brigata recò un biglietto scritto a matita con l’ordine perentorio al Comandante della 3^ Compagnia di fare immediatamente fucilare da una squadra dello stesso reparto i tre soldati, di null’altro colpevoli, che di avere innocentemente asportato da una casa abbandonata una camicia e un paio di mutande!!”

È proprio il caso del povero soldato vigevanese, come, di nuovo, attesta il foglio matricolare depositato all’Archivio di Stato di Pavia, dove si afferma: “morto in seguito a fucilazione perché sorpreso a svaligiare la Villa Berti in Nervesa”.

Esecuzioni sommarie probabilmente per futili motivi, che hanno stroncato giovani vite sacrificate nel caos della disfatta militare, una “Caporetto” anche morale.

Per loro due, l’ANPI aveva già dal 2020 inoltrato alla Giunta di Vigevano la richiesta di una riabilitazione anche visibile: una targa, l’aggiunta dei nomi nelle due grosse lapidi apposte nel cortile del municipio (dove mancano) o altre forme di memoria tangibile.

Istanza ancora in attesa di risposta.

Marco Savini

La fucilazione di Giovanni Carnier

Fucilati a Cradoipo