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22 marzo 1921. Maria Monchietti di Ceretto, prima vittima dello squadrismo fascista

Maria Antonietta Arrigoni

Marco Savini

Esattamente 100 anni fa nel marzo del 1921 iniziava la violenza squadrista in Lomellina. I primi sintomi dell’offensiva del fascismo si erano verificati già durante la campagna elettorale per le amministrative del 1920.

Le Leghe contadine con gli Uffici di Collocamento, che avevano cercato di eliminare il caporalato e la disoccupazione, le Cooperative di consumo e agricole, davano fastidio agli agrari i quali, riunitisi a Mortara, avevano raccolto un fondo di parecchi milioni per la campagna elettorale e fondato un nuovo giornale fascista “Il Risveglio” che si affiancava al loro settimanale “Il Giornale della Lomellina”.

Nonostante la propaganda e le intimidazione i socialisti conquistarono 45 comuni su 50 e tutti i mandati per il Consiglio Provinciale.

Nel marzo del 1921 stava per scadere il concordato agricolo per i braccianti, l’organizzazione delle leghe contadine aveva presentato un memoriale all’Associazione agricola, la quale non solo non voleva accettare le richieste ma pensava di togliere ai lavoratori anche le conquiste dell’anno precedente.

Sapendo che non sarebbero riusciti con mezzi legali a imporre ai lavoratori fortemente organizzati un nuovo Concordato, gli agrari fascisti organizzarono una offensiva basata su una catena di incendi e saccheggi di Case del Popolo, di sedi di Leghe Contadine, di Società di Mutuo Soccorso, di Biblioteche Popolari, su dimissioni forzate di sindaci e consiglieri comunali socialisti, e su violenze, bastonature, olio di ricino a singoli  contadini, fino a una serie di omicidi.

Il primo avvenne la notte del 22 marzo 1921.

Arrivò un automezzo con sette fascisti armati a Ceretto Lomellina, ad accoglierli trovarono gran parte della popolazione. Ripartiti prontamente lasciarono il paese sparando all’impazzata. Tre contadini rimasero feriti ma, colpita all’interno della casa la ventiduenne Maria Monchietti, incinta di tre mesi, venne uccisa.

La sorella, in un’intervista, molti anni dopo così ricordava.

“Mia sorella era da basso, ma le è parso che di sopra aveva accesa la luce, la lucerna. È andata di sopra per spegnerla (…) Quelli andando per il paese hanno sparato l’hanno presa proprio qui in testa. La pallottola ha bucato il legno della finestra, lei voleva chiudere l’anta.

Sparavano dappertutto. (…) La prima volta non l’abbiamo vista. La seconda volta mio cognato ha alzato la luce ha visto tutto il sangue per terra. Lei era dietro al lavabo che aveva vicino alla finestra. (…)

Poi sono arrivati i carabinieri, doveva sentire mia zia, li ha fatti tacere, erano venuti a vedere se era suo marito che l’aveva ammazzata. Ma dove che l’ha uccisa suo marito? Erano i fascisti che erano venuti a Ceretto.

Sul loro giornale hanno messo «Quella che è rimasta uccisa buttava giù acqua bollente».

Si può, io quando li nomino… Poi non bastava ancora, dopo tre mesi sono venuti a picchiare mio papà, sbagliando nome, l’hanno picchiato che lui era un uomo così calmo. Lui era camparo, lui veniva a casa alla sera stanco come una bestia e ha preso una batosta. (…) Io ero in casa, loro sono entrati, avevo la cartella appesa me l’hanno perfino fatta cadere, andavo a scuola.

E a mio zio Giovannino hanno rovinato la schiena, (…) hanno dato anche l’olio e tanto gliel’hanno dato, un bel bicchierone che non ha fatto tempo andare su dalla scala (…) Alla Liberazione gli hanno detto: – Andiamo Giovannino che adesso è ora di darlo a loro l’olio – lui fa: – Se avessi l’olio farei friggere le rane, non ne ho neanche per me devo darlo a loro l’olio? – Era un uomo ridicolo.

E quando l’hanno dato a mio papà eravamo a casa solo noi, viene a casa mia mamma trova un disastro: gli usci tutti aperti e lui che si lamentava, erano appena andati via. Non bisognerebbe sapere chi erano quelli lì, e quel camion che sono venuti ad ammazzare mia sorella da dove venivano? Qualcuno diceva da Casale, qualcuno da Mortara. C’era un camion pieno, una camionetta”.

Il settimanale socialista di Mortara “Il Proletario” aveva denunciato i nomi degli esecutori e dei mandanti: l’ex colonnello Silvio Magnaghi, Gigi Lanfranconi, poi diventato onorevole, e il direttore de “Il Risveglio” Carlo Cordara, ma era stato sanzionato. Venne fatta regolare denuncia dei responsabili riconosciuti al procuratore del re di Vigevano, che si rifiutò di procedere.

Un aspetto inquietante di quel periodo è stata infatti l’indifferenza se non la connivenza delle autorità e della forze di polizia, che garantivano l’impunità allo squadrismo fascista.

Così scriveva il giornale socialista: “Il fascismo ha voluto colpire tra noi non ‘la follia deleteria del bolscevismo’, ma il meraviglioso edificio che, col lavoro costante e col sacrificio di trent’anni, i lavoratori pavesi erano venuti preparando per la loro liberazione e per un mondo nuovo di civiltà e di giustizia”.