Tag: Gerarchi

Piccole storie

5 marzo 2022

ADRIANO ARLENGHI

I gerarchi russi, gli affaristi del gas e delle armi, ed in generale tutti coloro che credono che la guerra risolva le questioni e non produca invece una grande inutile sofferenza, equamente divisi ad ogni latitudine del mondo nella loro visione folle dell’esercizio del potere, ci restituiscono oggi un’immagine di inconsolabile tristezza. Questo mi viene da pensare. Come in Russia, dove l’opposizione interna alla guerra viene incarcerata, la democrazia sospesa. Con un nome falsamente comunista, in realtà luogo di dittatura e di lobby, l’impero russo è un lager di vergogne crescenti.

Ho un’amica russa, conosciuta perché insieme a me volontaria al tempo dell’Expo milanese. Una simpatica donna, giovane e piena di speranze nel mondo. A quel tempo l’idea e gli scambi di auguri erano stati: ci rivedremo da qualche parte, in un continente che diventa sempre più luogo di scambi culturali e di nuove visioni, dove una generazione capace di sognare progetta un futuro assolutamente non mediocre. Non è andata così.

Ora lei, di cui non pubblico il nome per riservatezza, mi fa sapere attraverso i social che quei sogni si sono tutti infranti. Le chiacchiere, nelle squadre di volontari dei grandi padiglione dell’Esposizione universale, i mille passi per prendere un caffè, per tenere sotto controllo una coda, per distribuire un ventaglio od una mappa, sono ricordi lontani. Solo qualche breve flash, di una estate arroventata dal sole e da una metropolitana affollata di gente, che arrivava da ogni angolo della terra.

Expo era nata nel nome del valore del cibo, quale strumento culturale dentro agli obiettivi del millennio. Doveva unire anche Europa e Russia, immaginare mondi aperti e non contrapposti. Questa donna abitava e abita ancora a San Pietroburgo, città che un giorno lontano visitai e fui da essa “incarcerato” in sentimenti altalenanti, ammirazione ma anche tristezza.

Ricordo una sera, nella grande piazza dove si trova il museo dell’Ermitage, una notte piena di pioggia che lacrimava dal cielo impietosa. In quella notte trovammo un cane che abbaiava triste ed inconsolabile ed una signora che chiedeva elemosina, per sopravvivere. Una fotografia disperata.

Al tempo la fame imperversava ovunque, lunghe file di umanità facevano la coda davanti alle entrate della metrò, vendevano panni per il bucato ed anche il gatto di casa. Noi stessi dentro ai grandi hotel sfavillanti di luce e di desolazione, ci portavamo la nostra voglia di cena: solo cetrioli e gelato erano possibili. Ma San Pietroburgo bruciava anche di una bellezza ghiacciata e misteriosa, dentro ai suoi cieli che appassivano un poco alla volta, bucando le acque del fiume profondo e largo anche mille metri della Neva.

L’amica mi fa sapere, attraverso i social, probabilmente anche rischiando, della sua voglia di abbandonare un mondo in sfacelo, ritrovare le terre della libertà. Mi chiede se può abbandonare la patria per sempre. Mi dice che non è assolutamente d’accordo con le politiche governative, lei è tanti giovani di una nuova epoca combattono oggi come possono le scelte imperiali e vergognose del capo del Cremlino.

Lì la situazione economica oltre a quella democratica è pericolosa ed in rapido e costante deterioramento. Nelle sue parole, in un italiano imperfetto, si legge la sua paura, la voglia di non più combattere con l’orso, contro un regime incapace di regalare senso e significato alla sua gente.

Le dico che non può venire, che la Farnesina fa sapere che tutti i voli da e per la Russia sono bloccati. Non si arrende, forse attraverso la Turchia è possibile andarsene via. Rilancia. Le chiedo di dirmi di più, di farmi capire come posso aiutarla.

La maggior parte della sua famiglia si trova in Ucraina, non so dove, spiega. Immagino, che per lei non sia così semplice comunicare con il web. Mi dà tutti i suoi riferimenti, le mail, i telefoni. Dice che deve assolutamente ritrovare la voglia di vita e non lo può più fare nella sua città. Devo andarmene per sempre, scrive, senza rimpianti e senza paure. Ha bisogno di un visto per il nostro Paese, di un lavoro, di un luogo per abitare. In pratica di tutto un universo.

Fermo lo scambio di parole, le dico che proverò a chiedere in giro. Leggo nella foto che posta, tutta la sua disperazione e la sua rabbia verso un regime costruito sulla guerra e che odora di morte. Spesso i sogni cambiano colore e la mattina la realtà con le sue barbarie prende il sopravvento.

Vorrei almeno dirle, di non perdere la fiducia, dirle che la seguirò nella sua voglia di continuare a scavare nei luoghi dove non si estrae più eccedenza di vita, ma solo nebbia rabbiosa. Non ho il coraggio di dirle che presto tutto questo cambierà, che è forte il mio augurio.

So che non sarà per nulla vero. Spengo il computer e solo un interruttore con la luce verde rimane accesa. A ricordarmi l’umanità peggiore.