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Venti anni fa era il 2001

ADRIANO ARLENGHI

La maglietta nera le sta un po’ larga, ma lei non se ne cura. La scritta è facile da leggere e dice no alla repressione. Con i nipoti per mano, bambini curiosi e spaesati ed un cagnolino antipatico al guinzaglio, Haidi gira attorno alla piazza. Piazza Alimonda.

Un luogo che ormai è conosciuto in tutto il mondo. Invecchiata tantissimo, il dolore e il tempo hanno lasciata traccia. Caparbia e decisa come sempre, la stessa grinta di quando venne a Vigevano a parlare ad un palazzetto pieno di gente del suo ragazzo, dei tanti ragazzi pieni di voglia di esistere. Abbraccia e bacia tutti perché oggi è un giorno che le appartiene di diritto. Appartiene a lei e a Carlo. Carlo è morto proprio qui e una mano ignota ha vergato col pennarello nero sul marmo della strada la scritta “semplicemente ragazzo”. Sedici anni fa. Il sole oggi è meno cattivo di allora, nuvole amiche rendono l’aria respirabile, non c’è puzza di lacrimogeni e dai piani alti delle case non scende più acqua fresca.

Oggi le facce sono rilassate, gentili. Eravamo in tanti qui quel giorno anche di Mortara, eravamo in tanti e tutti con l’impressione che si stesse saldando un movimento pacifista e antisistema capace di rompere l’epopea liberista , forze marxiste e cattoliche a braccetto spezzoni di associazioni di volontariato di ogni fattura, mille sigle tutte qui. Da tutta l’Europa e oltre. Con i loro sogni. Con le mani bianche. Con Zanotelli che correva sui e giù instancabile e Vittorio Agnoletto, sempre gentile, portavoce del Genova social Forum.Dal palco dicono che non dobbiamo dimenticare quel giorno, quella sospensione di democrazia, la città violentata dalle barricate per chiudere i quartieri del centro e far posto ai potenti della terra.

Un pomeriggio dedicato agli invisibili. Sul palco ecco un coro partigiano , ecco l’orchestrina del suonatore Jones, ecco i Figli del Vento. Guardo a lungo in faccia Giuliano. Impassibile, la pelle corrosa dal sole e dalla fatica. Attento solo che la mani vada avanti con successo. Con la morte nel cuore. Per questo suo figlio sfortunato, che non sapeva se andare in piazza od al mare. Per le menzogne che hanno inventato su di lui. Per la vergogna delle finte molotov. Per tutte le cose strane che accaddero. Per i poliziotti macellai che hanno fatto carriera , su su fino alle armi vendute al mondo tramite Finmeccanica. Un figlio è sempre un brandello del tuo cuore. Non hai bisogno di nominarlo per sentirlo al tuo fianco. E’ sempre sui tuoi passi, inciampa nel tuo respiro. Alle diciassette e ventisette, nell’ora in cui Carlo uscì dall’inferno, Giuliano chiede un momento di silenzio.

Haidi non vuole, a tre metri da me sempre insieme al suo cane anzianotto che sbanda e lecca tutti, non vuole il silenzio . Reclama dai compagni il nome di Carlo, la consolazione che lui è ancora qui e “ lotta insieme a noi”. Nel cielo sale sotto un sole imperscrutabile un rosario di slogan. Un vecchio partigiano dopo tre ore di attesa si alza improvvisamente e invoca una nuova resistenza ,dopo quella storica che lui ha fatto proprio sulle montagne alle spalle della città.

Magone, una ragnatela di tristezza si diffonde attorno. Vedo donne che si asciugano gli occhi. Una ragazza piange silenziosamente di nascosto. Giuliano si gira di scatto e abbraccia il vecchio partigiano.

E’ tardi ormai e devo raggiungere di corsa la stazione di Brignole. Ultimo treno, ultima possibilità del giorno. Vado veloce, un occhiata alla lapide di Carlo che vive tra fili d’erba in un giardino sulla piazza. Ogni anno da quel tragico 2001 io vado il venti di luglio in Piazza Alimonda.

Non è solo un pellegrinaggio laico, una rievocazione dell’anti gi otto. E’ un modo per recuperare la forza delle idee e l’intransigenza dei miei anni migliori. Così ci vado per ritrovare quel mondo che anche oggi sarà a Genova. Molto più vecchio di allora, ovviamente ma non meno ricco di desideri. Ci sono molte cose che mi ricordano quel giorno. Innanzitutto il caldo feroce di quei 34 gradi che oggi come allora, picchieranno sulla mia testa. Poi c’è il ricordo di un amico lomellino che in Liguria era andato a vivere e che il destino ha strappato alla vita. Con il quale senza bisogno di appuntamenti e senza scriverci o telefonarci ci ritrovavano ogni volta in Piazza Alimonda.

Nonostante quel movimento sia oggi disperso in mille rivoli e si sia sfilacciato, mi accorgo che le ragioni di quel tempo, l’entusiasmo e la voglia di cambiare tutto, sono ancora presenti in tanti compagni di allora. C’è ancora nel vento l’ eco delle canzoni di Manu Chao e il sogno che sottolineava quell’antico slogan : “voi otto, noi sei miliardi”. Per sentirlo però è necessario essere lì.

Io sono Sandro

Adriano Arlenghi

Io sono Sandro

Non poteva esserci titolo più azzeccato. Rappresenta il volto gentile del volantinaggio politico a Mortara. Ecco il titolo.

Si parla naturalmente di Alessandro Farina, da tutti conosciuto in città. In particolare conosciuto dai frequentatori del mercato locale. Due pagine gli rendono gloria sull’ Informatore Lomellino di questa settimana. Un testo scritto da Max, un giornalista tanto giovane, quanto capace di cogliere le sfumature e le suggestioni di persone che senza vantarsi mai, né cercare piedistalli di prestigio, hanno rappresentato più epoche della nostra storia.

Della sua guerra partigiana quando era ancora ragazzo, della sua vita lavorativa, prima bracciante e poi operaio, del suo desiderio di giustizia sociale che lo aveva prima portato ad iscriversi al Partito Comunista Italiano già nel 1945 e oggi in Rifondazione, del suo voler essere spettatore recidivo dei consigli comunali sino a quando il Covid l’ha premesso, perché lì si discute delle cose che rappresentano la città, di tutto questo ne parla abbondantemente Max nel suo articolo di giornale e ad esso rimando. Tutti lo conoscono come il Farinin e si sostiene che ha certo tanti anni sul groppone. Il giornale dice anni 93, ma io non ci credo.

In ogni caso, non solo non li dimostra ,ma la sua energia e il suo entusiasmo sono pari a volte a surlle di un ragazzo delle nostre scuole. Non parlerò delle sue battute che mi hanno fatto spesso sorridere e conoscerlo meglio dopo averlo frequentato tante volte, nelle lunghe sere al circolo politico locale. Confesso: non mi aveva mai detto che si arrampicava agile e veloce un tempon sulle piante, per poterle abbattere e che questa sus abilita’ gli era servita durante le campagne elettorali , quando si andava a legare gli striscioni del partito ai pali più alti e dunque non bisognava soffrire di vertigini.

Parlero’ invece con estremo piacere del suo modo di volantinare. Ho visto centinaia di persone nel tempo, volantinare un po di tutto: avvisi commerciali, volantini politici, fogli di poesia, brochure patinate. Ho annotato che ognuno ha il proprio modo di approcciarsi e di proporsi. Volantinare è un mestiere molto umile ma allo stesso tempo molto difficile. È umile perché le roboanti campagne politiche di oggi che si svolgono sui social od in televisione sono asettiche in quanto non c’è un contatto diretto con gli occhi dell’altro. All’opposto il gesto di dare un foglio è anche un invito fraterno ad una stretta di mano, ad uno scambio di opinioni sul tempo che fa, un augurio di buona salute.

La tecnica di Sandro io l’ho studiata a lungo in tanti venerdì di mercato. Potrebbe entrate in un manuale. Intanto sceglie l’incrocio ideale, là dove la visuale migliore permette di tenere sotto controllo i flussi umani. Quella che serve per selezionare chi ti apprezza e chi non ti ama, quelli che arrivano e quelli che se ne vanno, quelli che bighellonano e quelli che ripetono più e più volte un giro circolare solo per il gusto di incartocciarsi nel calderone vociante e colorato del mercato.

Il mercato non è un luogo dove si compra e si vende, ma un incrocio strategico dove bellezza e paura, morte e vita e soprattutto le mille storie del quotidiano si riconoscono e si innamorano. Sandro posiziona i volantini un po’ in mano e un po’ sull’avambraccio , in modo da averli sempre a disposizione nel caso un crocchio di gente si avvicinasse a lui all’improvviso.

A chi piega il volantino risponde sempre prego e soprattutto comunica con gli occhi che è stato un piacere per lui averlo incontrato.

Non è un caso se molti mortaresi, pur di parrocchie diverse, lo dicono apertamente: io il volantino lo prendo solo da Sandro.

E quando nei freddi inverni viene consigliato di non palesarsi in piazza per non rischiare la salute, lui lo fa sempre a malincuore.

Stai certo che c’è qualcuno sempre che ti domanda: ma Sandro perché non c’è!

L’intervista

Adriano Arlenghi

Crediamo che non ci sia modo più indicato per celebrare il Primo Maggio 2021, ormai alle porte, che scambiare quattro chiacchiere con l’uomo che per tanti anni è stato per i mortaresi il simbolo del partito dei lavoratori e che ancora oggi rappresenta un importante punto di riferimento per chi non si riconosce in un mondo asservito al consumismo e al capitalismo più spietati. Di Giuseppe Abbà, ex sindaco di Mortara ancora oggi amato e rispettato dai suoi concittadini di qualsiasi tendenza politica, la Memoria d’Adriano ha proposto in rete due libri già editi da Logica Multimedia che ne ha gentilmente concesso la riproduzione:

Giuseppe, si avvicina il Primo Maggio. Ma cosa può insegnare la storia del passato in un tempo in cui si vive solo nel presente e manca la dimensione del futuro?

La Storia fa conoscere avvenimenti che cambiano il modo di esistere dell’umanità e quindi la prospettiva di trasformare lo stato di cose presente. In pratica: dalla Storia si deduce che è possibile cambiare. Non a caso chi detiene il potere cerca di cancellare l’idea stessa della Storia, in modo tale da indurre gli oppressi e gli sfruttati a credere che ogni lotta è inutile, tanto non cambierà nulla. Molto comodo per le classi dominanti.

Quando parli della Classe Operaia sembra ti brillino gli occhi. Cosa rappresentava per te, allora ed ora?

Da comunista e da marxista ritengo la Classe Operaia la “classe generale” che può costituire la forza motrice principale del cambiamento della società. Dico principale, perchè poi ci sono altre classi oppresse con le quali la classe operaia deve stringere un’alleanza, ad esempio i braccianti e i contadini poveri (la falce e il martello rappresentano appunto questa unione), gli intellettuali progressisti ecc. Naturalmente la classe operaia e tutte le classi oppresse devono avere coscienza di sè, quindi impadronirsi di una cultura di trasformazione.

Qual’è il momento in cui maggiormente ti piace scrivere e quali progetti di nuovi libri ci sono nel tuo futuro?

Mi piace scrivere, ovviamente, nei momenti in cui riesco a riflettere, in genere nel pomeriggio. Sto lavorando ad un terzo libro sulle esperienze fatte come sindaco di Mortara. Sono già a buon punto e penso che nel prossimo autunno questo libro possa uscire. Poi ho già scritto due opuscoli di storia e formazione politica, uno sull’origine della Seconda Guerra Mondiale e l’altro sul “biennio rosso” 1968-69. Ho intenzione di proseguire anche in questa direzione.

Durante la pandemia, la scrittura ti è stata di aiuto?

Certamente, ad esempio gran parte del lavoro sul terzo libro (quello sulla mia esperienza di sindaco) l’ho fatto durante la forte chiusura per il Covid dell’anno scorso. L’avevo sospeso in quanto ero stato colpito anche io dal virus e l’ho ripreso successivamente alla mia guarigione. In tempi di relativo isolamento, come l’attuale, la lettura e la scrittura sono di grande aiuto.

IL MAGO DALLE SETTE TESTE
https://online.fliphtml5.com/rmoyj/mrwe/

una ricca e piacevolissima raccolta che spazia tra le fiabe, i racconti popolari, le storie, la Storia e le tradizioni delle campagne lomelline.

LA CORNA DAL FABRICON
https://online.fliphtml5.com/rmoyj/nqcs/

una minuziosa e documentatissima ricostruzione degli anni delle lotte operaie, quando Mortara rappresentava ancora un’importante realtà industriale.

Scoprite la collana La Memoria di Mortara visitando la nostra biblioteca virtuale:
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