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La vergogna. Diecimila volte vergogna

18 Novembre 2022

ADRIANO ARLENGHI

La vergogna. Diecimila volte vergogna.

Quando ho visto la lettera non credevo ai miei occhi. Ho sempre pensato che i pendolari della linea che da Mortara porta a Milano fossero dei santi. Sopportano in silenzio soppressione e ritardi. Convogli fatiscenti e senza bagni, informazioni sballate. Ho amici che sono costretti a prendere il treno un’ora prima per avere la certezza di timbrare in orario il cartellino e molti altri che sono stati obbligate ad intasare le strade della 494. Generando inquinamento e rischi di incidenti a causa di un servizio pubblico gestito da Trenord che da lustri fa veramente pietà.

Questo mese poi il servizio ha raggiunto livelli di inaffidabilità spaventosi. Ho letto che in Giappone quando un treno è in ritardo anche solo di 30 secondi, i dirigenti si scusano con i pendolari. Qui succede l’opposto o meglio di fanno cose che hanno il sapore della vendetta. Qualche anno fa per cercare di trovare almeno parziali soluzioni per migliorare le condizioni di trasporto per chi viaggia e per chi studia, un gruppo di persone aveva creato un’associazione pendolari.

Io tra questi. Con tanta fatica, coerenza, dedizione, questo gruppo di persone ha tentato di invertire la rotta ed ha fatto tavoli, manifestazioni, raccolta firme, volantinaggio in tutte le stazioni, ha studiato le opzioni tecniche possibili, ha interpellato gli amministratori cercando di coinvolgerli. I giornali spesso e volentieri raccolgono il grido di dolore pendolare e ne fa articoli di giornale. L’associazione si chiama Mi. Mo. Al. e della sua coerenza e lavoro non c’è pendolare che non ne sia conscio.

Sono affidabili, precisi, sempre sul pezzo. Così coerenti e seri da sembrare inattaccabili. E tutto questo ovviamente fa paura a Trenord. Trenord è la grande azienda partecipata da Regione Lombardia per gestire il trasporto ferroviario. Incapace di ovviare ai disservizi quotidiani e questo vale in particolare per il nostro territorio dichiarato area interna la settimana scorsa, ovvero area depressa, che fa?

Semplice: se la prende con i pendolari organizzati che fanno valere le proprie ragioni nei tavoli negoziali. Li accusa di diffondere maldestre elaborazioni che spettano esclusivamente all’azienda cioè i dati dei ritardi. E sottolinea persino che il loro intento è quello di diffondere informazioni tese a screditare la società. Sostiene che questo è un reato consumato a mezzo stampa e diffida l’associazione a pubblicare e a divulgare notizie false e infamanti nei suoi confronti.

Arriva anche a chiedere la richiesta di risarcimento danni cagionati a Trenord per lrsa immagine: diecimila euro.

Io non ho parole. Quanto è accaduto non solo è vergognoso. Se l’immagine pubblica di Trenord prima era claudicante ora è finita sotto le scarpe. Non è solo la mia opinione ma di chiunque viaggia in treno.

Massima solidarietà da parte mia all’associazione e al suo presidente. Invito tutti gli amici pendolari e non a scrivere a Trenord tutto il proprio disgusto per una azione che vuole cancellare un’associazione che ha sempre difeso i diritti dei pendolari e raccontato verità.


Testo della mozione di Giuseppe Abbà, protocollata al Municipio di Mortara sul vero scandalo di Trenord che cerca di intimidire l’associazione pendolari. Ritengo vergognoso tale atteggiamento. Trenord, invece di risolvere i problemi, cerca di bloccare le giuste proteste dei pendolari.


Mortara,18 novembre 2022
Alla Presidente del Consiglio comunale
Al Sindaco del Comune di Mortara
Oggetto: Contro l’assurda richiesta di Tre Nord verso i pendolari della Mi.Mo.Al.
Il sottoscritto Giuseppe Abbà, consigliere comunale del Partito della Rifondazione Comunista
VISTA la vera e propria intimidazione mandata avanti da Tre Nord contro l’ associazione pendolari Mi.Mo.Al. con la richiesta di ben 10.000 euro a Franco Aggio “accusato” di aver reso pubblici disservizi e ritardi, peraltro già resi noti dalla stessa Tre Nord
CONSIDERATO che già in precedenza si era avuto da parte di Tre Nord un altro tentativo intimidatorio ( poi rientrato con un accordo e varie prese di posizione) semplicemente contro il normale diritto di critica
RICORDATO che Tre Nord è una società a responsabilità limitata che ha l’appalto dalla Regione Lombardia per cui la stessa ha una responsabilità precisa in merito
CHIEDE
La convocazione urgente del Consiglio comunale di Mortara, allargato all’associazione pendolari Mi.Mo.Al. per discutere e votare la seguente MOZIONE
“Il Consiglio comunale di Mortara chiede a Tre Nord di ritirare immediatamente l’inaccettabile intimidazione contro Mi.Mo.Al. e Franco Aggio che si sono limitati a rendere noto notizie diffuse dalla stessa Tre Nord e a procedere piuttosto al miglioramento del servizio che riguarda decine di migliaia di pendolari della nostra zona”.
Giuseppe Abbà.

Bertè cinque anni dopo

ADRIANO ARLENGHI

3 SETTEMBRE 2022

Si tratta di un vero e proprio romanzo nero, del quale è difficilissimo riassumere la vicenda che è tanto intricata quanto inquietante. Parlo della questione Eredi Bertè e alle vicende oscure che l’hanno accompagnata .Parlo del rogo del 2017, di cui tutti i mortaresi conservano tristissima memoria. L’attività di raccolta dei rifiuti risale al 1998 e va talmente bene da permettere alla ditta Eredi Bertè s.r.l. di fare numerosi e cospicui investimenti immobiliari. Nel 2006 iniziano le difficoltà che portano ad un accumulo irregolare di rifiuti, trasformando a poco a poco il sito in una discarica. In più di 10 anni nessuno si accorge dell’irregolarità della gestione. Le telefonate al Comune e le varie proteste non trovano ascolto.

Nel 2010 la ditta cambia nome (Eredi Bertè Ecology) , il cui amministratore è un conoscente di Vincenzo Bertè, il quale non ha specifiche autorizzazione e dunque riesce ad evadere l’ecotassa regionale di 1,8 milioni di euro..

Nel 2015 la Ditta ottiene l’autorizzazione della Regione. Nel 2017 l’incontenibilità dei rifiuti stoccati, la possibilità di un risarcimento assicurativo e l’impossibilità di uno smaltimento corretto e legale inducono qualcuno a provocare l’incendio doloso che tutti ricordiamo. Segue il fallimento della ditta. Il cumulo di rifiuti bruciati sono rimasti lì da ben 5 anni. Un grande, enorme cumulo di detriti bruciati nell’incendio doloso.

Neri e tristi sognando una bonifica sempre più lontana. Il rischio è che le sostanze incombuste percolino nel terreno non impermeabilizzato e arrivino alle falde, inquinandole. Una strana storia questa dei Fratelli Eredi Bertè, un azienda dove i controlli su ciò che veniva accumulato non sono mai stati realizzati.

Dove l’assicurazione non copriva i danni e nessuno se n’era mai preoccupato. Dove incredibilmente la mattina stessa in cui ci fu l’incendio era prevista una visita di controllo da parte dell’Arpa.

Cinque anni sono tanti e infatti la vegetazione sta crescendo negli anfratti dei detriti incombusti e ora produce rami verdi. Tra un paio di lustri se nessuno interverrà diventeranno una montagnetta verde alla cui sommità, tuttavia non si respirerà certo aria buona ma la certezza di stare in un luogo avvelenato e pericoloso.

La grande mobilitazione di mille persone che Ora basta! aveva messo in piazza la settimana dopo l’incendio non è servita a chiedere giustizia. Per noi che quella manifestazione l’abbiamo organizzata con una fatica inenarrabile, stando svegli persino la notte per chiedere permessi ed autorizzazioni, per rispondere alle settanta e passa associazioni o gruppi che avevano aderito, per inventarci la logistica, per tenere conto dei pareri e delle proposte di tutti, questo cumulo di macerie rappresenta una sconfitta. Ci era sembrato che quella indignazione forte che veniva rappresentata in una Piazza del Teatro inondata di sole quel pomeriggio di cinque anni fa, potesse essere e rappresentare un tempo nuovo.

Di discontinuità rispetto al passato riguardo ai temi dell’aggressione all’ambiente, della paura per il depauperamento progressivo del territorio, per i dati sulla salute collettiva, per la perdita di legalità. Ci sbagliavamo. Ci sbagliavamo, purtroppo.

Di bonifica oggi ne parlano tutti ma non ci pensa nessuno. Per questo insieme sugli amici di Unione Popolare e alle associazioni che lo vorranno, io sarò lì sul luogo della vergogna in Via Fermi, martedì 6 settembre dove si svolgerà un presidio a partire dalle ore 17. Invito gli amici a venire con me.

Le domande

8 Agosto 2022

ADRIANO ARLENGHI

Domande ad un amico. Domande rivolte a chi ha visione del tempo presente e prospettiva del futuro. Domande insomma a Piero Rusconi, conosciuto in Lomellina da tutti. Difficili ma essenziali per dare senso ai giorni. Seconda parte.

Eccole…

Adriano

Il futuro è un parola che fa paura. Lo dicono i sociologi che parlano di società liquida ovvero caratterizzata dalla sola dimensione del presente ed infatti se ti guardi in giro l’impressione è quella di vedere soprattutto persone e giovani in particolare, che cercano di estrarre dalla vita oggi quel poco di felicità che è gli è consentito senza preoccuparsi di un futuro che all’apparenza sembra distopico. E’ una affermazione vera questa? Negli anni 70, ma poi ancora a Genova nel 2001 intere generazioni dicevano che un altro mondo era possibile, che si poteva raddrizzare le storture e le ingiustizie e schiodare i chiodi arrugginiti, insomma seminare per una nuova idea di umanesimo e di mondo. Ora io vedo solo un grande pessimismo in giro e poca ribellione come se il realismo dell’esistente avesse fiaccato ogni voglia di andare in direzione ostinata e contraria. E’ una visione parziale questa o solo eurocentrica? La mia impressione è che un po’ ovunque, ma io leggo i riflessi nella nostra lomellina, stia aumentando in modo esponenziale dopo la pandemia, la sofferenza intima delle persone, la solitudine, la disgregazione sociale, la perdita di coesione. Insomma ognuno per se nel tentativo di sopravvivere. La solitudine che non è ormai solo una condizione per chi è più fragile o ha poche cerchie parentali e amicali, è una condizione sempre più diffusa. Il consumo esasperato, la mercificazione di ogni cosa, hanno fatto perdere senso e significato alla vita. Si tratta di questo? Oppure c’è dell’altro?

Piero

Non vi sono dubbi che il carattere peculiare di questa nostra epoca, è il pessimismo, la rassegnazione e l’apatia che coinvolge complessivamente la popolazioni di ogni età e ceto sociale, compreso i giovani. Difficile dire se è solo una caratteristica dell’occidente o di tutto il globo ma sicuramente nel nostro mondo rappresenta un grosso problema. Io penso che questa dell’apatia sia un “prodotto” sociale indotto, non è naturale ma costruito a tavolino perché meno la gente si interessa di problemi sociali e collettivi e meglio è per chi vuole mantenere lo stato delle cose presenti. Secondo me questo problema ha conseguenze negative, sicuramente per quelli che si battono per il cambiamento, che come dicevo precedentemente in un’altra parte della nostra chiacchierata, senza un’attività consapevole da parte del popolo non vi è nessuna possibilità di “cambiare lo stato delle cose presenti”, ma ha conseguenze anche per lo stesso capitalismo. Negli anni 80 del secolo scorso è partita una campagna da parte dei media per distruggere l’ideologia, descritta o come inutile o addirittura dannosa, una campagna che tendeva descrivere la realtà come immutabile. Il ragionamento era: inutile battersi per un cambiamento tanto il sistema non si può cambiare quindi rassegnatevi a vivere in questo stato di cose.
La conseguenza, non è stato solo la distruzione di un pensiero critico, ma di tutto il pensiero creativo di cui anche il capitalismo ha bisogno. Una società apatica, cioè non creativa crea problemi anche al Capitalismo, che ha perso la sua spinta propulsiva.
Senza creatività e spinte propulsive nessuna società ha un futuro.

Se osserviamo il mondo del lavoro, che ricordo è sempre il punto centrale di ogni civiltà, negli anni 60 70 del secolo scorso pur in presenza di un grande conflitto sociale, o forse grazie a quello, si è avuto un grande balzo in avanti sia delle condizioni sociali dei lavoratori ma anche un grande progresso del sistema sociale nel suo complesso.

La forza “creativa” del sistema era al sua apice.
Ora tutto questo non c’è più, il livello di alienazione ed estraniazione nel mondo del lavoro è tale che la gente tende a sopravvivere e basta. In altre parole il pessimismo indotto, l’alienazione dei rapporti sociali creano tutta una serie di fenomeni individuali (alcolismo, dipendenza da droghe, gioco d’azzardo, corruzione ecc. ecc.) che minano la base stessa della convivenza civile.

Questa situazione ha conseguenze “catastrofiche”, oggi rassegnarsi vuol dire condannare l’umanità agli effetti della crisi climatica o della guerra, con conseguenze facilmente prevedibili.
In conclusione, una società per progredire ha bisogno di un sogno, una speranza anche una illusione che domani sia meglio di oggi, ma se questo non c’è abbiamo solo la decadenza.
Invito tutti a studiare le cause della caduta dell’Impero Romano e i secoli bui che sono seguiti alla sua caduta.

Ovviamente quello che accade nel mondo ha riflessi anche in Lomellina, non ti so dire se qui è peggio o meglio di altre zone del Paese ma sicuramente tutto quello che ci siamo detti finora ha i suoi riflessi anche da noi. Individualismo, intimismo, pessimismo sono il tratto generale della nostra epoca. Viviamo una crisi profonda del convivere civile, si è perso il senso di comunità e quindi di solidarietà. Voglio parlarti di tre fenomeni, secondo me significativi.

Il primo è la crisi della tanto decantata FAMIGLIA.

Che questo sia un’ ”istituto” in crisi è evidente, basta vedere il numero di divorzi e famiglie allargate anche nel nostro territorio.
Anche da noi si sta verificando quello che a Milano è già evidente da anni, molta gente vive da sola sono cioè singoli, a Milano il 50% delle famiglie è composta da un unico individuo.
Nemmeno la famiglia regge all’individualismo e l’edonismo imperante, ricordiamo che la famiglia è sempre stata un asse centrale di tutte le civiltà.
Ovviamente come tutti i fenomeni sociale anche la famiglia non è mai stata uguale in tutte le varie epoche storiche e sistemi sociali ma si è modificata a secondo delle mutate condizioni sociali.
Ovviamente non tratto qui la questione dell’emancipazione femminile che ha un ruolo decisivo sulla concezione della famiglia e del suo modificarsi in questa fase storica.
Ma mai si era verificato un fenomeno come quello attuale di persone totalmente sole senza un collettivo solidale a cui fare riferimento.
Di una cosa sono certo, quello che noi stiamo vivendo è una fase transitoria prima o poi dovremo trovare un nuovo modo di ricostruire una socialità che ci permetta di superare l’idea che un persona possa vivere isolato dal contesto reale in cui è collocato.
Come detto in altre parti della nostra chiacchierata, l’uomo è un animale sociale, non può vivere isolato, pena la sua scomparsa.
Le conseguenze anche psicologiche di questo sono evidenti a tutti, se non si appartiene ad un gruppo solidale è ovvio che si è più deboli e spaventati e non si ha fiducia nel futuro.

Denatalità

Questo è un fenomeno tutto Occidentale che in Lomellina si presenta in forme più peculiari.
Da noi stiamo assistendo ad uno spopolamento di molti piccoli paesini, la gente non fa figli per le cose che si diceva prima, paura del futuro edonismo e quant’altro.
Abbiamo poi un problema di lavoro, la nostra zona una volta a vocazione agricola (le famose mondine) poi industriale (i famosi operai) oggi è praticamente un territorio che vive all’ombra della grande Milano.
Sempre più Lomellini sono pendolari verso la grande città, quando addirittura emigrano verso altri paesi.
Questo secondo fenomeno ha cause specifiche riguardano più la voglia di andare a vivere in realtà più dinamiche culturalmente che non la mancanza di lavoro in Italia.
Questo ovviamente impoverisce sempre di più la nostra zona non solo economicamente ma soprattutto culturalmente, non dimentichiamo che sono i giovani i portatori del rinnovamento.
Il mondo di lavoro ha sempre caratterizzato un territorio se il territorio diventa solo un dormitorio non riesce più ad esprimere una cultura locale.
Si può discutere sulla qualità della vita delle società contadine o operaie ma sicuramente esprimevano una cultura popolare che oggi non esiste più.

L’altro fenomeno è l’immigrazione.

Parlando di questo fenomeno qui io vedo delle differenze, anche se minime, con altri territori del nostro Paese.
Mi sembra ovvio che una città di mare per tradizione è sicuramente più aperta alle culture diverse rispetto a territori dell’entroterra o di montagna.
Anche nelle grandi città è diverso l’atteggiamento verso il nuovo o verso lo straniero.
Nel nostro territorio, pur essendo presente da decenni il problema dell’immigrazione, prima dal sud Italia ora da altre parti del mondo si tende ad avere un atteggiamento di esclusione e non certo di inclusione.
Questo è un vero peccato perché si perde un tassello importante del nostro arricchimento culturale.
Ti invito a pensare come sarebbe il nostro territorio senza l’immigrazione dei “meridionali” degli anni 50 60 del secolo scorso e senza la recente immigrazione.
Sicuramente un territorio più povero culturalmente.
Su questo problema però io non darei la responsabilità ad un atteggiamento “provinciale” o “chiuso” dei Lomellini, qui io chiamerei in causa i nostri politici.
L’integrazione dello straniero è sempre un processo lungo e complesso, per raggiungere il quale tutti devono collaborare.
Fu così con i meridionali nel recente passato, nessuna forza politica dell’epoca strumentalizzò le difficoltà, anzi ognuno fece la sua parte per favorire l’integrazione.
Oggi non è così, alcune forze politiche hanno fatto la loro fortuna elettorale proprio sfruttando la diffidenza e la paura della gente, questo ha reso tutto molto più difficile.
Ma quello della società ”meticcia” è una tendenza storica inevitabile.

2 continua…

Appello finale

10 Giugno 2022

ADRIANO ARLENGHI

Sono stato nelle piazze nelle giornate bollenti di sole ed in quelle cariche di pioggia per dire no allo spargimento dei fanghi ma soprattutto ad avere maggior rispetto per le matrici ambientali della Lomellina in parti già compromesse, sono stato sulle piazze per chiedere la creazione di un osservatorio sulle infiltrazioni della criminalità organizzata della nostra città dopo il rogo doloso dei fratelli Eredi Bertè.

Sono stato alla stazione infinite volte insieme agli amici del mio comitato, per chiedere che le ferrovie lomelline non fossero più figli di un dio minore e si potesse viaggiare in treno in modo più umano, sono stato ancora in piazza cento giorni fa per la pace, per dire che l’Italia come sta scritto nella Costituzione ripudia la guerra.

Ho scritto infiniti post sulle nuove e vecchie povertà e sul valore del volontariato, sulla necessità di contrasto al gioco d’azzardo, sulla necessità di portare anche a Mortara progetti di partecipazione pubblica a partire dalle consulte ambientali ai Consigli Comunali dei ragazzi, sulla necessità di costruire l’idea di una città amica dei bambini e capace di dare generatività sociale a chi è diversamente giovane.

Ho proposto diverse cose, per la verità più nel mondo del volontariato che in quello dei partiti, perché ho sempre avuto l’impressione chi i primi fossero più attenti a leggere i nuovi bisogni e a dare risposte adeguate, anche se riconosco che è poi la politica quella che ha gli strumenti per costruire la nuova idea di città.

Si sta avvicinando il giorno del silenzio elettorale e dico agli amici, soprattutto a chi legge i miei post e sa che dentro a quelli ci sono tutti i miei entusiasmi, le mie contraddizioni, i miei pensieri, ed anche tutte le mie paure, di valutare se la mia lista vale un voto.

Da parte mia io non ho dubbio alcuno sulla coerenza, onestà, umanità e capacità del mio candidato sindaco.

Giuseppe Abbà.

Per questo sono stato felice di fare parte della sua squadra.

Per questo io voto Rifondazione.

PENSIERI

5 Giugno2022

ADRIANO ARLENGHI

Siamo nel pieno della campagna elettorale. Una campagna costosa, sembra di capire, dal momento che tutti i candidati si prodigano ad affittare sale prestigiose, ad aprire sedi provvisorie nei negozi del centro, ad affittare camioncini pubblicitari dove appiccicare la propria faccia in modo che sia più visibile a tutti, a spedire migliaia di brochure con i francobolli. Senza contare i giornali locali pieni di pubblicità a pagamento. Tutte legittimo, ci mancherebbe.

Dopo tutto i grandi partiti hanno a disposizione il finanziamento pubblico, generato dagli elettori con la scelta del due per mille.

E tuttavia a me sembra che lo scontro di idee o per meglio dire il confronto di idee, quello che serve per determinare la propria visione di città, viene così sostituita da un grande rumore di fondo.

Quasi tutti i candidati impazziscono, dicono di essere i più belli e più bravi, i migliori, tempestano amici e parenti chiedendo atti di fede. Promettono luna e lanterne.

La mia compagine politica invece ha fatto una scelta diversa, anche perché non avendo parlamentari non ha la possibilità di devoluzioni pubbliche.

Nessuna pubblicità sui giornali e unica eccezione la spesa di qualche decina di euro per moltiplicare il programma sui social.

E poi lunghe e faticose marce attraverso le strade della città, per depositare con la propria mano la brochure nelle cassette postali.

Un’operazione faticosa, soprattutto se ci sono giornate di grande caldo, come oggi. Una scelta che però contiene un messaggio forte che non tutti capiscono. Molti si, però.

Io sudo per venire da te, faccio fatica per venire da te, perché tu mi stai a cuore, non come elettore, non come votante, ma come cittadino.

Una scelta che si può definire antiquata e che certo va in direzione ostinata e contraria rispetto alle campagne elettorali prevalenti. Le quali poi tutte si schiudono con i big del panorama nazionale che vengono a fare passerella in città.

Antico o no, questo metodo a me piace.

Quest’anno, per diversi motivi non ho potuto fare la mia parte in quanto a suole consumate, ma conosco tutti coloro che invece hanno percorso le strade della città.

Non hanno rubato il lavoro ai postini, hanno incontrato gente, hanno visto dove la gente vive, quali bisogni esprime, hanno preso nota di lamentele, richieste, critiche ed apprezzamenti.

Ne faranno tesoro.

FERMARE IL DDL CONCORRENZA, DIFENDERE ACQUA, BENI COMUNI

14 maggio 2022

ADRIANO ARLENGHI

Non ne parla nessuno, sembra che non interessa a nessuno, eppure ci sono cose come questa, magari anche un po’ difficili da capire, che sono essenziali per il nostro futuro. Per la verità il “solito” Abbà aveva presentato una mozione in consiglio comunale. Vergognosamente cassata da tutti i partiti. Di che si tratta?

Il governo Draghi ha presentato di recente il disegno di legge sulla concorrenza e il mercato, riforma chiesta anche per l’accesso ai fondi europei del PNRR.

Il DDL Concorrenza tuttavia è un manifesto ideologico che, dietro la riproposizione del mantra “crescita, competitività, concorrenza”, si prefigge una nuova ondata di privatizzazioni di beni comuni fondamentali, dall’acqua all’energia, dai rifiuti al trasporto pubblico locale, dalla sanità ai servizi sociali e culturali, fino ai porti e alle telecomunicazioni.

Il Ddl all’art. 6 individua nel privato la modalità ordinaria di gestione dei servizi pubblici rendendo residuale la loro gestione pubblica, per cui gli Enti Locali che opteranno per tale scelta dovranno “giustificare” il mancato ricorso al mercato. Espropriando le comunità locali dalla scelta sui beni comuni (spingendole comunque a gestioni in forma mercantili, come le società per azioni). Azzerando la storica funzione pubblica e sociale dei Comuni.

Questa cosa contraddice la volontà popolare espressa con i referendum del 2011 contro la privatizzazione dell’acqua e dei beni comuni. Per questo anche in questa campagna elettorale Rifondazione dice di no alle privatizzazioni.

Perché? Semplice, perché portano al sovra sfruttamento delle risorse naturali, peggiorano i servizi, aumentano le tariffe, annullano il controllo democratico, riducono i diritti del lavoro, l’occupazione e i salari, aumentando la profittabilità e la precarietà.

Veniamo da un periodo di emergenza sanitaria, siamo immersi dentro una drammatica crisi eco-climatica e dentro un drastico peggioramento delle condizioni di vita delle persone, ed ora anche dentro una nuova guerra all’interno dell’Europa.

Affrontare queste sfide richiede un radicale stop a un modello sociale basato sui profitti, per costruire un’altra società fondata sul prendersi cura, sulla riappropriazione sociale dell’acqua e dei beni comuni, sulla gestione partecipativa di tutti i servizi pubblici.

Per questo invito gli amici a dire di no, nella maniera che ritengono più opportuna, social, giornali, lettere, al DDL Concorrenza a partire dall’art. 6 e dai provvedimenti su sanità, servizi sociali, trasporti, rifiuti, energia, porti e telecomunicazioni e invito alla più ampia e partecipata mobilitazione per impedire un esito di diffuse privatizzazioni.

Ci sono cose che ci riguardano da vicino e di cui dobbiamo proprio occuparcene. Se non noi chi altro lo deve fare?

Oro blu

24 marzo 2022

ADRIANO ARLENGHI

E’ un gesto semplice. Basta girare il rubinetto. Ci stupiremmo che non accadesse.

Un’acqua chiara e trasparente affonda nelle nostre mani e pulisce la nostra faccia, ogni mattina. A questo miracolo non ci facciamo poi molto caso. Tanto che spesso l’acqua la sprechiamo.

Anche se ora costa un po’ di più la utilizziamo in modo irrazionale. Non sarà così per sempre. Ormai la siccità che vediamo nei nostri campi, nelle rogge e nei fiumi maggiori, inizia a spaventarci.

Noi che siamo la terra più ricca di acqua vediamo scarseggiare la disponibilità. Guardiamo il cielo ed è sgombro di nuvole.

Ci fa piacere e inforchiamo la bici felici, ma siamo tirati per la giacchetta dai campi e dagli alberi che hanno sete e fanno man bassa delle riserve che conservano nelle radici.

Parliamo dell’oro blu. Ci ricordiamo di quella volta, quando Danielle, la figlia prediletta di Mitterand ci disse che le prossime guerre non sarebbe più state combattute per il petrolio od il gas come avviene ora, ma per l’accesso all’acqua.

Chiare fresche e dolci acque, ove le belle membra pose colei che sola a me par donna, recitava il Petrarca.

Altri tempi. Tempi felici. Il cambiamento climatico generato da un sistema economico che ha bisogno di essere corretto o cambiato, ci fa sapere che è quasi troppo tardi, oppure che avremo a disposizione una ventina di anni o poco più per interventi radicali, per cambiare strada e stili di vita.

Ma noi che diciamo di volere bene ai nostri nipotini e di fare i salti mortali per costruire per loro un futuro almeno accettabile, in realtà ce ne freghiamo.

Affondati nella società liquida del presente tendiamo a scacciare la parola futuro. E’ troppo faticosa da reggere e da coniugare. Ci penseranno i posteri, ci diciamo. Oppure la tecnologia, la scienza, il destino, il fato, la fortuna, la creatività, o qualcosa d’altro. Sappiamo che non sarà così, ma il pensarlo ci sgrava l’anima dal rimorso. Così regaliamo colombe e non prospettiva, giocattoli e non opportunità.

E poi ecco che invece di coalizzare l’umanità in una grande battaglia, l’unica etica, per riequilibrare risorse e giustizia, farnetichiamo sull’importanza di annettere pezzi di terra e bruciare le città con carri armati e bombe al fosforo. Che danni terribili producono non solo all’umanità che li sperimenta dentro alle proprie lacrime, ma anche all’ambiente.

Non è più possibile oggi nemmeno cantare, come suggeriva in una sua ballata Fabrizio De Andrè “e c’è chi aspetta la pioggia, per non piangere da solo”…

Lettera alla città

19 marzo 2022

ADRIANO ARLENGHI

Mentre noi sosteniamo il disarmo e la nonviolenza per la pace, i governi (e il nostro Parlamento nella quasi totalità) e tutto il complesso militare industriale, non perdono occasione per accrescere le spese militari.

Mentre un mare di associazioni dal basso si spendono per la cura dell’ ambiente, della salute, dell’ istruzione e per il sostegno ai poveri di questa nostra triste umanità, in alto si ragione diversamente.

Fin dalla sua nascita come istituzione politica, l’Unione Europea si è definita come promotrice di pace, democrazia e diritti umani. Negli ultimi anni, tuttavia, ha cambiato rotta e ha iniziato a tracciare un percorso militarista che sta alimentando una nuova corsa agli armamenti e ponendo le basi per la guerra.

Obiettivo passare dai circa 25 miliardi l’anno attuali (68 milioni al giorno) ad almeno 38 miliardi l’anno (104 milioni al giorno). Io non so e non voglio sapere se Putin, Zelensky e gli altri oligarchi hanno pronta l’isola, il bunker, l’astronave per Marte o se sono semplicemente meno empatici, meno svegli, meno liberi o più malati di come ce li raccontiamo.

So che la guerra i popoli non la vincono mai, nemmeno quando la vincono i loro governi. I soldati muoiono o tornano a casa feriti nel corpo e nell’anima, spesso inadatti alla vita che avevano.

Gli ospedali, i ponti, le fabbriche le stazioni, le scuole vengono distrutte, le famiglie terrorizzate e divise, le terre bruciate e chi vive di questo – andando a scuola, coltivando la terra, guidando un treno, lavorando in fabbrica o in un ospedale – si ritrova senza la vita che aveva da vivere, con tutto da rifare.

La pace, invece, si fa una fatica porca a farla e a chiederla, ma è l’unica soluzione praticabile per chi di casa ne ha una e di stipendio pure e ha i figli sotto le armi e rischia ogni giorno in più di guerra di perdere tutto quello che ha.

La guerra è praticabile solo per chi produce e vende armi e non le imbraccia, solo per chi le guerre le sta a guardare in tv come si guardano le partite di calcio, facendo il tifo per una squadra e per l’altra senza capire quali sono realmente le squadre in campo: gli oligarchi contro i poveri cristi, in ogni guerra.

La pace, per i poveri cristi, non è un’utopia: è un’utopia la guerra, la pace e il disarmo sono l’unica via.

E’ necessario, a mio avviso, costruire anche a Mortara un Comitato per la Pace con alcune caratteristiche precise.

Il Comitato per la Pace si ispira ai valori della Costituzione Italiana e in particolare al ripudio della guerra così come sancito dall’articolo 11:“L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali; consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo”.

Si ispira inoltre all’articolo 118 della Costituzione Italiana che all’ultimo comma recita: “Stato, Regioni, Città metropolitane, Province e Comuni favoriscono l’autonoma iniziativa dei cittadini, singoli e associati, per lo svolgimento di attività di interesse generale, sulla base del principio di sussidiarietà”.

Si ispira inoltre ai valori di pace dello Statuto comunale. Il Comitato per la Pace è un organismo per la tutela di interessi collettivi, diffusi nella comunità, e intende dare rappresentanza comune paritetica ad associazioni e cittadini impegnati per la pace, richiedendo alle istituzioni di dare attuazione del principio di sussidiarietà sopra citato.

Il Comitato per la Pace:

1. è impegnato nella difesa della Costituzione

2. si ispira ai valori dell’antifascismo;

3. attua ogni iniziativa non violenta utile ad attuare l’articolo 11 della Costituzione;

4. opera nelle scuole proponendo l’educazione alla pace;

5. è basato sul volontariato, promuove la cittadinanza attiva e la partecipazione democratica;

6. richiede alle istituzioni l’attuazione del principio di sussidiarietà contenuto nell’articolo 118 della Costituzione in modo che venga favorita l’iniziativa dei cittadini, singoli e associati, per lo svolgimento delle attività di ripudio della guerra e di promozione della pace quali attività di interesse generale riconosciute e tutelate dalla Costituzione.

7. organizza manifestazioni pubbliche, cortei, sit-in, convegni, attività culturali e civili e ogni altra attività di sensibilizzazione, informazione e formazione.

Chiudiamo la televisione, scendiamo in strada e costruiamo dal basso una cultura ed un umanesimo che manca.

Ci avete rotto!

11 marzo 2022

ADRIANO ARLENGHI

Come se non bastassero la crisi ecologica e quella climatica, prossima al punto di non ritorno, la crisi economica e sociale che ha aumentato drammaticamente le diseguaglianze fra le persone, la crisi sanitaria che ha stravolte per due anni e non è ancora finita le nostre vite e le relazioni sociali, è tornata oggi anche la guerra nel cuore dell’Europa, a due passi da casa, a scandire la nostra quotidianità.

Sulla crisi ecologica sono stato impressionato dalle immagini diffuse poco tempo fa di Ceresole Reale, dove un tempo c’era un enorme lago ed ora c’è il deserto. Non era mai successo.

La crisi economica ha il volto delle centinaia di pacchi che le associazioni mortaresi creano ogni mese, per una folla con Isee sempre più faticosi da reggere.

E per quanto riguarda la guerra, le immagini della televisione sono tremende, pornografiche, perché la guerra è sempre una sconfitta per l’umanità, lo è per tutte le guerre che attraversano il pianeta che mai hanno prodotto né vincitori , ma solo vinti ed una enorme collettiva sofferenza.

Come varie associazioni, siamo stati nelle piazze della nostra città, dove in molti hanno acceso candele, elevato preghiere, esposto bandiere della pace. Ci siamo sentiti impotenti, animali rari, perché sappiamo che la guerra ci mette poco a generare simboli apparentemente vincenti, lavora per dividere e crea fratture dove ogni tentativo di dialogo faticano ad abitare, genera la sensazione che non ci possano esser altre strade possibili oltre all’esercizio primordiale e stupido della forza.

Soprattutto ci ha spaventato come i media e i cosiddetti grandi della terra, parlino con scioltezza e incuria della possibilità di usare le armi nucleari, di giungere ad una terza catastrofica guerra nucleare. Il terrore delle parole . Ci chiediamo chi mai ha dato loro il diritto anche solo di pensare che si possa sterminare l’umanità. Siamo alla follia. Io dichiaro che mai nessun politico o generale possa discettare di queste cose anche a mio nome.

Le parole che diciamo, che scriviamo, quelle che ci raccontiamo mentre facciamo collette e cerchiamo viveri e coperte da spedire a chi fugge piangendo dalla barbarie: basta bombardamenti, cessate il fuoco, pace subito, trattare, trattare e ancora trattare, fuori la guerra dalla storia, ne con Putin né con la Nato, svuotare gli arsenali e riempire i granai, vogliamo un Europa neutrale e senza atomiche e ancora diplomazia dal basso, ci sembrano parole che non creano storia, politica, che non hanno la forza per sopravvivere. Anche se le viviamo come le uniche praticabili.

Non ci stupiamo di questo, l’abbiamo già visto in altri teatri di guerra, teatri che abbiamo “visitato di persona”. L’orrenda favola della guerra continua ad esercitare un fascino sinistro. Le lacrime di chi fugge ci sembrano quelle che ci hanno fatto commuovere una volta, quelle di un’attrice famosa in un film in cui siamo comodamente seduti in prima fila. Lo strazio delle sirene che preannunciano incendi e bombe non si ode nelle notti piene di luna della nostra città.

Davanti alla stupidità del mondo, non arretriamo di un passo. Anzi in una manciata di amici di Mortara, pochi per ora, stiamo pensando di creare una consulta, associazione, comitato di pace, un gruppo di persone che vuole raccontare le verità scomode su ciò che c’è di lurido nella politica e nelle industrie che fabbricano armi, sperimentare lo studio di forme di difesa popolare nonviolenta.

In poche parole: non ci fidiamo più di chi ci governa. Per salvare l’umanità abbiamo bisogno di una società della cura che non hanno in mente.

Avremmo bisogno anche di poeti. Diceva Tiziano Terzani “Mi piaceva pensare che i problemi dell’umanità potessero essere risolti un giorno da una congiura di poeti: un piccolo gruppo si prepara a prendere le sorti del mondo perché solo dei poeti ormai, solo della gente che lascia il cuore volare, che lascia libera la propria fantasia senza la pesantezza del quotidiano, è capace di pensare diversamente. Ed è questo di cui avremmo bisogno oggi: pensare diversamente.”

Chi vuole far parte nel gruppo e lavorare con noi, ce lo scriva. Inizieremo con il porci una domanda difficile: come mai, in questi anni non siamo riusciti, purtroppo, ad appassionare i giovani alla Pace?

8 Settembre

Adriano Arlenghi

Oggi è l’8 settembre, un anniversario importante perché segna l’inizio della Resistenza In Italia.

Una data che molti tendono a dimenticare ma che è importante perché da lì è partita la costruzione di un Paese democratico.

Una data importante per chi conserva ancora i ricordi di quel periodo, pur non avendoli vissuti direttamente per motivi anagrafici.

E chi intervistare per contestualizzare quel periodo, se non Giuseppe Abbà, che la storia e le storie di quel tempo se le ricorda come se fossero di ieri? Anche perché Giuseppe non fa fatica a raccontare e così spesso accade che il tempo vola via in un attimo, carico di vicende ed accadimenti, che ti sembra quasi che siano avvenuti ieri.

In verità sono passati ben 78 anni e pure essi rimangono sempre importanti e fondamentali nella ricostruzione di come eravamo e di come siamo ora.

Dice dunque Giuseppe, che fu proprio l’otto di settembre la data in cui fu annunciato l’armistizio e l’esercito abbandonato vilmente dal re e dai gruppi dirigenti alla mercè dei nazisti. Allora i primi gruppi partigiani cominciarono a dare battaglia contro i nazi fascisti. Il 9 settembre a Porta San Paolo a Roma.

Poi i combattimenti proseguirono in molti altri luoghi. La vera e propria guerriglia partigiana, però iniziò un poco più tardi. Qui nella nostra pianura si formarono alcuni gruppi. In parte salirono in montagna ma altri agivano sul nostro territorio. Erano i cosiddetti gappisti, ovvero i gruppi di azione partigiana. Il compagno a cui tra l’altro abbiamo dedicato la sezione, Angelo Mascherpa, era un giovane di neanche vent’anni che aveva già partecipato insieme ai compagni di Vigevano a contrapporsi alla barbarie. Insieme a lui il mitico Giovanni Marcuzzi detto il Rosso.

Le sue prime azioni erano quelle di disarmo dei militi fascisti per procurarsi le armi per la resistenza. Una sera osò affrontare davanti alla stazione di Mortara il famoso Comandante, dico famoso ma vorrei dire famigerato, della polizia Militare tedesca di Mortara, che si chiamava Oscar.

Oscar fu nell’azione più svelto di lui e lo ferì gravemente alle gambe, fu catturato dai nazisti e portato in carcere. Abbandonato senza cure. Di conseguenza la gamba andò in cancrena e morì dopo un po’ di tempo. Questa è la storia di Angelo. Tra l’altro di questo Oscar, mi ha raccontato mio padre, che lui se la scampò e non cadde, nella resa del conti alla fine della guerra, il 25 aprile.

Catturato dai partigiani ci fu una specie di processo popolare. Dimostrò che in realtà non era organico al fascismo e che sapeva di un partigiano nascosto alla cascina Romentino che non aveva voluto catturare. In realtà fu a causa sua che Mascherpa morì.

Aldo invece era il fratello di Angelo e poi divenne attivista del Partito comunista, di Rifondazione, dell’Anpi, fino all’ultimo. Fu catturato dai fascisti e mandato in campo di concentramento. Arrivò a Bolzano, snodo importante di transito verso la Germania. Se fosse giunto ad un campo, difficilmente sarebbe tornato vivo. Invece in quel periodo la linea del Brennero fu bombardata e interrotta dagli Alleati e così non ci furono più trasferimenti di prigionieri ai tedeschi. Poi dopo la Liberazione, già ai primi di maggio, con una carovana della Croce Rossa Svizzera riuscì a tornare a Mortara. Pesava la metà in seguito alle sofferenze. Peraltro lui era un omone ma al ritorno pesava nemmeno quaranta chili.

Questa è la storia dei due fratelli Mascherpa, che voglio ricordare oggi, conclude Giuseppe Abbà, nell’anniversario dell’8 settembre. Con riconoscenza per quello che hanno fatto per tutti noi.

Nella foto Aldo Mascherpa nella veste di presidente Anpi