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Funivia Mottarone, ecco come, la ricerca del profitto a tutti i costi, ha generato una tragedia

PAOLO FERRERO*

La tragedia della funivia di Stresa è vergognosa. Per il comportamento criminale degli imprenditori, per l’ignavia del governo che non ha deciso i funerali di Stato. Eppure, i funerali di Stato sarebbero stati un atto dovuto, non solo per il numero dei morti ma perché il contrasto tra la spensieratezza con cui le famiglie sono andate in gita domenica scorsa e le immagini delle scarpine dei bambini sparse attorno alla cabina frantumata, parla di un problema politico.

Uno Stato che non è in grado di tutelare la sicurezza dei propri cittadini in un momento di relax non è uno Stato, ma un puro accrocchio di potere. Qui non stiamo parlando di un incidente. Qui stiamo parlando di un atto criminale la cui estensione temporale e relativa all’intreccio di responsabilità è ancora da chiarire nei suoi contorni. Un atto criminale che non è il frutto del gesto di un folle, sempre difficile da prevedere, ma un atto criminale costruito nel tempo, probabilmente negli anni, in base all’applicazione di una semplicissima logica: garantire i propri profitti. A Stresa i proprietari dell’impianto – o presunti tali – hanno giocato alla roulette russa con la vita dei passeggeri: hanno sbagliato i calcoli e i passeggeri sono morti.

L’elemento drammatico, che non si può tacere, è che questo azzardo morale sulla vita delle persone motivato dal profitto economico non è un caso, ma la normalità di questo sistema capitalistico fondato sul profitto. Vale per i giochi finanziari, vale nelle attività industriali che inquinano, vale nella tragedia del Mottarone.

Qualche commentatore si scandalizza dicendo che non ci sono più gli imprenditori di una volta. Come se la tragedia del Vajont fosse accaduta per altre ragioni o se il capitalismo, sin dalla sua nascita, non fosse fondato sul maggior sfruttamento possibile, a cominciare da quello dei bambini che tutt’ora producono molte delle merci che usiamo quotidianamente.

Il punto vero è che il sistema capitalistico è fondato sull’irresponsabilità sociale di individui che svolgendo ruoli finalizzati ad ottenere il massimo profitto, fanno scommesse che, se non vanno a buon fine, pagano altri. Questi individui si chiamano imprenditori e fanno i capitani coraggiosi con la vita degli altri. Non perché necessariamente siano cattive persone, ma per una logica sistemica: l’attività economica è fatta per produrre profitto, che sia per il singolo proprietario o per gli azionisti poco importa.

Il punto vero è che nei decenni scorsi eravamo riusciti a fissare delle regole, dei lacci e dei laccioli che obbligavano i padroni a fare gli imprenditori, a rispettare delle regole. Invece adesso i padroni sono tornati a fare i padroni, autorità sovrane prive di limiti e controlli. Perché un altro elemento che pare emergere dalla tragedia di Stresa è che i controlli o sono finti o non funzionano. Chi sgarra non paga o paga molto meno dei danni che ha prodotto, questo è il punto. Non è un incidente di percorso ma la normalità prevista e incorporata nei rischi d’impresa.

Se questo è vero voglio avanzare un’ultima considerazione e una proposta. Se la funivia di Stresa fosse stata pubblica e gestita dal pubblico, la tragedia non sarebbe successa. Nessun dirigente o dipendente pubblico avrebbe rischiato la vita di decine di persone e messo a rischio il proprio progetto di vita per il suo stipendio. Una gestione pubblica, che è fondata sul rispetto delle regole e non dalla ricerca del massimo profitto, avrebbe fermato l’impianto. Penso sia una considerazione incontrovertibile.

Se così è bisogna fermare le privatizzazioni e invertire la tendenza. Se le vite valgono più dei profitti privati, pubblicizziamo completamente l’intero settore del trasporto pubblico: dalle funivie agli autobus. Perché si può rischiare la vita delle persone mettendo un “forchettone” o facendo guidare un autista per 12 ore di fila o non facendo la manutenzione dei mezzi. Tutto pubblico e sottratto alla ricerca del profitto. Perché ognuno di noi ha diritto ad andare in gita la domenica con i propri figli senza che qualcuno possa giocare con la nostra vita per riempire il suo portafogli.

*Paolo Ferrero, Vicepresidente Partito della Sinistra Europea

Legge di bilancio 2021: tutto per il privato, quasi niente per il pubblico. Irresponsabili: si spartiscono il “bottino” invece di usarlo per rilanciare il Paese

Pubblicato il 4 gen 2021

Antonello Patta*

Un’occasione sprecata! È quanto viene da dire leggendo la legge di bilancio per il 2021.

Poteva rappresentare, dopo anni di tagli dettati dall’austerità,  l’occasione per  avviare un’inversione di rotta rispetto  alle politiche neoliberiste che hanno prodotto il ridimensionamento  del  Pubblico e del comune a vantaggio del privato, la perdita di diritti, il declino dell’economia, la precarizzazione , l’impoverimento del lavoro, il degrado ambientale e la distruzione del territorio.
Invece vediamo che le risorse che il covid ha obbligato a render disponibili , vengono  sprecate  da una classe dirigente  indegna di questo nome, interessata soprattutto  a   coltivare, con un’ inedito profluvio di bonus,  i propri orti elettorali. E ad elargire la gran parte delle risorse, sia quelle legate all’emergenza covid sia quelle di natura espansiva, alle imprese, senza vincoli di sorta, né occupazionali, né salariali, né ambientali.
Oltre all’assenza di un serio progetto di politiche industriali, nel DDL approvato manca totalmente  e in modo assolutamente irresponsabile, anche  un piano per il lavoro in grado di affrontare seriamente il grave problema occupazionale attuale che diventerà drammatico  con la fine del blocco dei licenziamenti che sembra data per certa al 31 marzo 2021.
Le risorse  per investimenti, che sono il pacchetto più cospicuo della manovra, sono date per di più a pioggia senza nessun indirizzo  che prefiguri un  futuro economico e produttivo diverso  e migliore dì quello attuale risultato di anni di politiche orientate alla libertà discrezionale dei mercati.
Una parte consistente delle risorse continua a essere erogata alle imprese come incentivi alle assunzioni che non solo come si è già visto, non risolvono il problema, ma perpetuano il vizio di gran parte delle imprese italiane di  puntare sulla competizione  sul basso costo del lavoro, invece che su innovazioni di processo, di prodotto e  gestionali, favorendo quella spirale spinge  il nostro sistema produttivo sempre più in basso nella gerarchia delle catene del valore europee e mondiali.

Ma la considerazione più negativa su questa manovra, che induce forti preoccupazioni sulle intenzioni del governo per quanto riguarda la  struttura del recovery plan, attiene alla totale assenza di investimenti strutturali sul Pubblico a cominciare da sanità e scuola.
Sulla sanità le cifre stanziate, detratti gli aumenti previsti per il personale, le risorse per i tamponi antigenici, e le assunzioni  a tempo determinato già  previste, non sono sufficienti  nemmeno  a coprire i costi di misure già deliberate come l’assunzione degli  infermieri di comunità, i  piani di potenziamento dei servizi territoriali e di assistenza domiciliare ,i limitati piani di potenziamento degli ospedali.
Anche la Corte dei conti ha segnalato la mancanza di quasi 1,5 miliardi di risorse.
Anche gli incrementi di spesa previsti per i prossimi anni  sono assolutamente inadeguati a recuperare il pluriennale definanziamento della sanità pubblica, che vede l’Italia largamente al di sotto della spesa di importanti Paesi europei.
Riguardo alla scuola la situazione è, se possibile, anche peggiore: mancano totalmente misure strutturali che indichino l’intenzione di voler almeno avviare la risoluzione dei gravissimi problemi che affliggono la scuola italiana e negano l’universalità del diritto all’istruzione collocando l’Italia agli ultimi posti in Europa per diplomati e laureati.
Non ci sono risorse per la riduzione di alunni per classe, il tempo pieno, l’estensione della scuola  dell’obbligo e la generalizzazione della scuola d’infanzia pubblica.
La straordinaria  lezione impartita a caro prezzo dalla pandemia sulla necessità di rafforzare il Pubblico i nostri governanti fingono  di averla fatta propria  nei talk show o quando cercano consenso a basso prezzo con la retorica sugli eroi, ma poi nei fatti, come dimostra la legge di bilancio,  si muovono in direzione opposta.
Rafforzare il Pubblico è una necessità per l’oggi e per il domani, per i cittadini e per il paese, per dare risposte alle domande dei cittadini cui il privato ha mostrato di essere  per sua natura insensibile, invertire l’estensione delle disuguaglianze e affrontare i problemi strutturali dell’economia e dell’ambiente con quello sguardo di lungo periodo che è sempre mancato al privato e al mercato orientati al profitto a breve.
Il recovery plan se gestito mettendo al centro i diritti e il bene comune potrebbe essere la grande occasione per ricostruire un Pubblico in grado di affrontare positivamente quelle attuali e le future sfide  sul piano della tutela della salute, del diritto all’istruzione, a un reddito dignitoso, del contrasto alla povertà e alle disuguglianze, della ricostituzione delle  competenze professionali, progettuali e gestionali delle amministrazioni e degli enti pubblici distrutte da anni di tagli, indispensabili per gestire le risorse e processi oramai irrinviabili come la riconversione ambientale dell’economia e delle produzioni con l’attenzione rivolta  agli interessi generali e non di pochi.
E’ urgente e necessario che si facciano contemporaneamente due cose: Investire  le risorse necessarie  sia  per il potenziamento  e la riqualificazione  di tutto il Pubblico , sia per un deciso ampliamento,  con almeno 500 mila assunzioni,  dei suoi organici  per  riportarli  progressivamente a livelli “europei”.
Così  non solo si rafforzerebbe  tutto il paese , ma si metterebbe un tassello importante nella costruzione di  un grande  piano per il lavoro   indispensabile  per  dare un futuro a milioni di cittadini, specie donne e giovani di cui sono stati privati da decenni di disoccupazione e precarietà.
Sappiamo bene che per fare ciò occorre sconfiggere  l’ispirazione neoliberista dei  nostri governanti così radicata da non riuscire nemmeno più a vedere, diversamente da altri colleghi europei, come  questa contrasti da tempo non solo con i diritti dei cittadini, ma con gli interessi generali del Paese.
Serve subito  una nuova stagione di lotte in grado di unificare tutti i soggetti  che stanno pagando i costi della crisi e i movimenti che non hanno smesso di lottare, su una piattaforma che, oltre alla richiesta di investimenti che restituiscano centralità al Pubblico  assuma tra gli  obiettivi la garanzia del reddito per tutte e tutti, l’estensione a tutto il 2021 del blocco dei licenziamenti e degli ammortizzatori sociali  accompagnati da un vero piano per il lavoro connesso con la  riduzione dell’orario di lavoro a parità di salario, il  blocco degli sfratti .

Non è facile ma è il compito di una sinistra degna di questo nome.

*Responsabile nazionale lavoro Prc