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FERMARE IL DDL CONCORRENZA, DIFENDERE ACQUA, BENI COMUNI

14 maggio 2022

ADRIANO ARLENGHI

Non ne parla nessuno, sembra che non interessa a nessuno, eppure ci sono cose come questa, magari anche un po’ difficili da capire, che sono essenziali per il nostro futuro. Per la verità il “solito” Abbà aveva presentato una mozione in consiglio comunale. Vergognosamente cassata da tutti i partiti. Di che si tratta?

Il governo Draghi ha presentato di recente il disegno di legge sulla concorrenza e il mercato, riforma chiesta anche per l’accesso ai fondi europei del PNRR.

Il DDL Concorrenza tuttavia è un manifesto ideologico che, dietro la riproposizione del mantra “crescita, competitività, concorrenza”, si prefigge una nuova ondata di privatizzazioni di beni comuni fondamentali, dall’acqua all’energia, dai rifiuti al trasporto pubblico locale, dalla sanità ai servizi sociali e culturali, fino ai porti e alle telecomunicazioni.

Il Ddl all’art. 6 individua nel privato la modalità ordinaria di gestione dei servizi pubblici rendendo residuale la loro gestione pubblica, per cui gli Enti Locali che opteranno per tale scelta dovranno “giustificare” il mancato ricorso al mercato. Espropriando le comunità locali dalla scelta sui beni comuni (spingendole comunque a gestioni in forma mercantili, come le società per azioni). Azzerando la storica funzione pubblica e sociale dei Comuni.

Questa cosa contraddice la volontà popolare espressa con i referendum del 2011 contro la privatizzazione dell’acqua e dei beni comuni. Per questo anche in questa campagna elettorale Rifondazione dice di no alle privatizzazioni.

Perché? Semplice, perché portano al sovra sfruttamento delle risorse naturali, peggiorano i servizi, aumentano le tariffe, annullano il controllo democratico, riducono i diritti del lavoro, l’occupazione e i salari, aumentando la profittabilità e la precarietà.

Veniamo da un periodo di emergenza sanitaria, siamo immersi dentro una drammatica crisi eco-climatica e dentro un drastico peggioramento delle condizioni di vita delle persone, ed ora anche dentro una nuova guerra all’interno dell’Europa.

Affrontare queste sfide richiede un radicale stop a un modello sociale basato sui profitti, per costruire un’altra società fondata sul prendersi cura, sulla riappropriazione sociale dell’acqua e dei beni comuni, sulla gestione partecipativa di tutti i servizi pubblici.

Per questo invito gli amici a dire di no, nella maniera che ritengono più opportuna, social, giornali, lettere, al DDL Concorrenza a partire dall’art. 6 e dai provvedimenti su sanità, servizi sociali, trasporti, rifiuti, energia, porti e telecomunicazioni e invito alla più ampia e partecipata mobilitazione per impedire un esito di diffuse privatizzazioni.

Ci sono cose che ci riguardano da vicino e di cui dobbiamo proprio occuparcene. Se non noi chi altro lo deve fare?

Oro blu

24 marzo 2022

ADRIANO ARLENGHI

E’ un gesto semplice. Basta girare il rubinetto. Ci stupiremmo che non accadesse.

Un’acqua chiara e trasparente affonda nelle nostre mani e pulisce la nostra faccia, ogni mattina. A questo miracolo non ci facciamo poi molto caso. Tanto che spesso l’acqua la sprechiamo.

Anche se ora costa un po’ di più la utilizziamo in modo irrazionale. Non sarà così per sempre. Ormai la siccità che vediamo nei nostri campi, nelle rogge e nei fiumi maggiori, inizia a spaventarci.

Noi che siamo la terra più ricca di acqua vediamo scarseggiare la disponibilità. Guardiamo il cielo ed è sgombro di nuvole.

Ci fa piacere e inforchiamo la bici felici, ma siamo tirati per la giacchetta dai campi e dagli alberi che hanno sete e fanno man bassa delle riserve che conservano nelle radici.

Parliamo dell’oro blu. Ci ricordiamo di quella volta, quando Danielle, la figlia prediletta di Mitterand ci disse che le prossime guerre non sarebbe più state combattute per il petrolio od il gas come avviene ora, ma per l’accesso all’acqua.

Chiare fresche e dolci acque, ove le belle membra pose colei che sola a me par donna, recitava il Petrarca.

Altri tempi. Tempi felici. Il cambiamento climatico generato da un sistema economico che ha bisogno di essere corretto o cambiato, ci fa sapere che è quasi troppo tardi, oppure che avremo a disposizione una ventina di anni o poco più per interventi radicali, per cambiare strada e stili di vita.

Ma noi che diciamo di volere bene ai nostri nipotini e di fare i salti mortali per costruire per loro un futuro almeno accettabile, in realtà ce ne freghiamo.

Affondati nella società liquida del presente tendiamo a scacciare la parola futuro. E’ troppo faticosa da reggere e da coniugare. Ci penseranno i posteri, ci diciamo. Oppure la tecnologia, la scienza, il destino, il fato, la fortuna, la creatività, o qualcosa d’altro. Sappiamo che non sarà così, ma il pensarlo ci sgrava l’anima dal rimorso. Così regaliamo colombe e non prospettiva, giocattoli e non opportunità.

E poi ecco che invece di coalizzare l’umanità in una grande battaglia, l’unica etica, per riequilibrare risorse e giustizia, farnetichiamo sull’importanza di annettere pezzi di terra e bruciare le città con carri armati e bombe al fosforo. Che danni terribili producono non solo all’umanità che li sperimenta dentro alle proprie lacrime, ma anche all’ambiente.

Non è più possibile oggi nemmeno cantare, come suggeriva in una sua ballata Fabrizio De Andrè “e c’è chi aspetta la pioggia, per non piangere da solo”…