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Dietro il “merito” i soldi

29 Ottobre 2022

di Loredana Fraleone, Responsabile Scuola Università Ricerca PRC/SE

La Scuola di Giovanni Gentile, varata quasi un secolo fa, era funzionale ad una società ben definita dal punto di vista delle classi sociali. Il censo era il criterio di fondo che la disegnava: i ricchi e il ceto medio alto mandavano i figli prima alla scuola media poi al liceo per poter accedere all’università. Tutti gli altri, se andava bene, a 11 anni potevano accedere all’avviamento professionale, un binario morto, alla cui conclusione non si poteva andare oltre, ma solo al lavoro.

Una situazione chiaramente di classe, che escludeva i ceti popolari dai ruoli dirigenti e dalle professioni. Non trascurò il fascismo neanche la formazione ideologica alla guerra, con il famoso slogan: “libro e moschetto, fascista perfetto”.

La Costituzione repubblicana, figlia della liberazione dal fascismo, introdusse principi di uguaglianza sostanziale e avviò un percorso di riforme del sistema di istruzione, che fu però tardivo e lungo, solo le lotte degli anni sessanta e settanta riuscirono ad avviarlo con la Scuola media unica obbligatoria e altre riforme.

Tra queste, la n. 517/77 capovolse la pratica prevalente dell’attenzione verso i più bravi, per concretizzare il diritto costituzionale, sancito dall’articolo 3, al raggiungimento del “massimo sviluppo della persona umana”.

Dagli anni ottanta però, la subordinazione allo sviluppo economico, purché sia, di una sinistra sempre più irriconoscibile e collusa con gli interessi della Confindustria, avviò una sorta di retromarcia, un processo di allontanamento graduale, ma costante dai principi costituzionali. Venne aperta la strada alla “meritocrazia”, con un ridisegno privatistico della Scuola pubblica e finanziamenti alle scuole private per vie indirette e sempre più spudoratamente dirette

Ora da un ministero, che ha perso da tempo la dicitura di pubblico, passiamo a quello di “Istruzione e merito”. Rispetto a ciò che da implicito diventa esplicito, vi sono reazioni di giusta condanna, nel mondo della Scuola, tra pedagogisti, qualche intellettuale e giornalista, ai quali era forse sfuggito però che l’istruzione da tempo veniva sempre più improntata al “merito” (dei soldi).

I costi per l’istruzione ormai esorbitanti, denunciati in questi giorni da alcuni media, non riguardano ancora questo governo, che certamente accentuerà i mali del sistema attuale. L’alternanza Scuola/lavoro sarà sempre più spesa, come già avviene, in ambito militare (libro e moschetto?). Il disciplinamento di studenti e personale della Scuola sarà ancora più accentuato.

Siamo chiamati urgentemente ad una nuova Resistenza, che deve però rilanciare attivamente un’idea di scuola inclusiva, di valorizzazione di tutti, con l’elevamento dell’obbligo scolastico a 18 anni, con un sistema di valutazione finalizzato al miglioramento e al recupero delle capacità, a fondi adeguati e così via.

Negli anni in cui si gridava: “no alla Scuola dei padroni” si sono fatte conquiste importanti, lo slogan è ancora più attuale.

Scuola: nuovo ministro, vecchio copione

Pubblicato il 16 feb 2021

Loredana Fraleone*

C’è da scommettere che il ministro Bianchi metterà o cercherà di mettere un ulteriore tassello al puzzle, che è stato disegnato alla fine del secolo scorso da Luigi Berlinguer, in consonanza con gli obiettivi per l’istruzione di Confindustria. I danni provocati dall’autonomia scolastica dovrebbero essere sotto gli occhi di tutti, per l’abbandono e la confusione di cui hanno sofferto le scuole, eppure per alcuni sindacati si vorrebbe ancora puntare su questo “rimedio”, che suggeriscono al nuovo governo, per rispondere alle difficoltà prodotte ancora dal Coronavirus. Per tutti coloro che riponevano speranze di discontinuità sulle politiche per l’istruzione, col nuovo governo, la nomina di Patrizio Bianchi rappresenta una palese smentita, essendo già presente, come consulente di quello precedente, in una posizione chiave, come quella di presidente del comitato di esperti per il rilancio della Scuola nel contesto della pandemia.

C’è da pensare ad esempio che possa essere stata sua l’idea dei banchi a rotelle,  che tanto malumore e al contempo umorismo ha suscitato nei confronti dell’Azzolina, e che risponde non tanto all’esigenza del distanziamento, apparso appunto come provvedimento ridicolo per lo scopo, quanto alla serissima concezione di una trasformazione del gruppo classe in senso “flessibile”, attraverso una rottura di quella piccola comunità nelle diverse fasi di apprendimento, verso il modello anglosassone fondato prevalentemente sull’addestramento, rincorso affannosamente da qualche decennio, nonostante i suoi evidenti fallimenti. È una delle idee presentate nel documento “La scuola del futuro”, della Commissione coordinata da Bianchi e istituita dall’Azzolina.

L’organicità del nuovo ministro all’impresa e al mercato è apparsa subito palese e viene da alcune parti più accorte segnalata, ma va più evidenziato, a mio avviso, il ruolo giocato dal nostro da più tempo. Per stare a quelli recenti, lo troviamo tra gli estensori della “Buona Scuola” del governo Renzi, dove è emersa chiaramente la filosofia della subordinazione all’impresa, con l’alternanza Scuola/Lavoro e non solo, ma anche la necessità, per mantenerne e rafforzarne l’egemonia di disciplinare l’intero mondo dell’istruzione, con la riduzione dei poteri degli organi collegiali, l’accentuazione del ruolo dell’INVALSI per espropriare il corpo docente di una sua fondamentale prerogativa, come quella della valutazione e guidarne così a monte l’azione educativa nei contenuti e metodi d’insegnamento, verso l’acritica acquisizione di “competenze” slegate tra loro.

Alcuni aspetti della “Buona Scuola” sono stati a suo tempo moderati da una forte quanto sconfitta reazione di un mondo da troppo tempo lasciato solo sulle barricate. Sono saltati infatti alcuni provvedimenti della legge tra i più difficili da digerire in quel momento, come l’incarico diretto del personale da parte dei dirigenti scolastici, la cui principale associazione guarda con favore al nuovo ministro, non a caso. Questione che potrebbe tornare in campo insieme al contentino di qualche stabilizzazione in più e di un concorso per titoli e servizio, come richiesto da tempo dalle Organizzazioni sindacali.

La discesa in campo diretta dei più organici rappresentanti dell’impresa e del mercato, come Draghi e il suo ministro dell’istruzione, disvela molto anche dell’uso che verrà fatto dei fondi europei, già indirizzati, dalle linee guida del PNRR del precedente governo, verso un più stretto legame tra scuola superiore e Università con le imprese. Anche il bluff pentastellato verrà presto smascherato, a prevalere sarà la concezione di uno sviluppo quantitativo, funzionale ai profitti, a scapito di ogni idea di riconversione ecologica dell’economia.

*Responsabile Scuola Università Ricerca PRC-S.E.

No alle “classi pollaio”.

Loredana Fraleone*

Nello spazio brevissimo, avuto a disposizione, abbiamo presentato il nostro emendamento sul numero degli alunni per classe in Senato, dove Rifondazione Comunista è rappresentata dalla senatrice Paola Nugnes.

Il Parlamento italiano funziona ormai come se avesse una sola Camera, dal momento che le leggi finanziarie arrivano in Senato, in tempi talmente ristretti, da poter incidere poco o nulla su ciò che è già stato deciso alla Camera.

L’emendamento, che avrebbe aumentato la quota di spazio per alunno all’interno delle classi e con un numero non superiore ai 15, non è stato ammesso in commissione, a riprova che le “classi pollaio” non sono un problema per maggioranza e opposizione, nonostante i proclami sull’importanza della scuola e della formazione per il futuro del paese.

Questo tentativo, che avrebbe comportato una vera inversione di tendenza, necessaria da tempo, ma urgente per i problemi posti dalla pandemia, ha suscitato interesse e aspettative diffuse, rappresentate nei pressi del Senato da un presidio di compagne e compagni di Rifondazione contingentati dall’autorizzazione della polizia per un numero non superiore ai 20.

Che la questione delle classi numerose sia un problema di sicurezza, ma anche di relazione didattica efficace è difficilmente confutabile, ma la resistenza a incrementare i fondi per l’istruzione, per avvicinarli almeno alla media europea, è dettata da un’idea di società e di futuro, in cui non sia necessaria cultura diffusa e tanto meno cultura critica.

Meno risorse al sistema pubblico più spinta verso quello privato; non sia mai che un settore della società sia sostanzialmente fuori dal mercato.

Vale per la scuola come per Università, Ricerca e tutti i settori pubblici, sanità compresa.

La pandemia però apre contraddizioni rimaste in ombra fino ad ora e la centralità della sicurezza comincia a entrare nel senso comune.

Non può rimanere tutto come prima e anzi peggiorare.

Le omissioni e le bugie sulla situazione del pubblico in Italia, messo in contrapposizione al “bello del privato”, cominciano a ricevere colpi significativi, anche dai dati sulla media europea dei finanziamenti per l’istruzione, ben più alti dell’Italia, e da ultimo su quella del numero degli alunni per classe, che in Europa è intorno ai 15, mentre in Italia è al 20,34%, con punte superiori al 21% in Emilia Romagna, Lombardia e Toscana.

La nostra battaglia non si ferma all’emendamento al documento di contabilità, la riprenderemo in sede istituzionale in altre occasioni e insieme a tutti i soggetti che si sono pronunciati a favore di questa proposta, continueremo a sostenerla in tutti i modi, per rendere strutturale una condizione della Scuola vivibile ed efficace.

*Responsabile Scuola Università Ricerca di Rifondazione Comunista / Sinistra Europea