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Acerbo: «Il voto a Up farà crescere in Italia una sinistra alla Mélenchon»

22 settembre 2022

di Andrea Carugati 

Maurizio Acerbo, segretario di Rifondazione comunista. La vostra lista Unione popolare, guidata da de Magistris, ha ricevuto sostegni da leader stranieri come il francese Mélenchon e lo spagnolo Iglesias. Ha senso in Italia pensare di replicare questi modelli?

La Francia è l’esempio di come solo la ricostruzione di una sinistra popolare può contrastare efficamente l’estrema destra. In Italia è fondamentale il nostro successo per dar vita a una sinistra chiaramente autonoma e alternativa alle politiche liberiste dell’ultimo ventennio. Mélenchon ha costruito la sua credibilità verso i giovani e le classi popolari nel suo contrasto prima al socialista Hollande e poi a Macron.

Il Pd in queste settimane sta abbandonando l’agenda Draghi per posizionarsi più a sinistra. Un esempio è l’addio al Jobs Act.

Come diceva De Andrè: «Dà buoni consigli chi non può più dare il cattivo esempio». Il Pd ha le maggiori responsabilità nella precarizzazione del lavoro, nelle controriforme delle pensioni e nelle privatizzazioni. E a pochi giorni dal voto scopre una vocazione sociale. Ma nel loro programma non c’è l’abolizione del Jobs Act, solo frasi generiche sulla precarietà. Hanno votato contro il reddito di cittadinanza, e la proposta sul salario minimo del ministro Orlando è evanescente e coprirebbe solo una minima parte dei 4,5 milioni di lavoratori a bassissimo reddito. Tra poco scopriranno di essere anche pacifisti per raccattare qualche voto…

Si presentano come l’unico argine alla destra di Meloni.

Letta è il principale alleato di Meloni. La richiesta di scegliere «o noi o loro» spinge molti italiani a guardare a destra. Anche Landini ha detto che oggi non c’è una forza politica che rappresenti il lavoro. Noi stiamo cercando di farlo.

Anche Conte ora vuole accreditarsi come leader di sinistra.

Lo definirei un abbaglio. Il M5S resta il partito dei decreti sicurezza, del taglio dei parlamentari, degli urrà per l’arresto di Mimmo Lucano. Fu Grillo a benedire il governo Draghi e lanciare come ministro Cingolani. E Conte il primo premier a dire sì alla richiesta Nato di portare al 2% del pil le spese militari. A sinistra c’è così bisogno di recuperare una dimensione di forza che si rischia di cadere nelle amnesie. La santificazione di Conte mi pare davvero eccessiva.

Eppure voi avevate proposto a M5S e Sinistra italiana di creare una coalizione.

Il loro rifiuto spiega bene le loro ambiguità. Solo un successo di Up potrà incidere positivamente sull’evoluzione del M5S e delle altre forze di sinistra.

Dopo il voto tornerete a parlarvi?

Con Conte c’è una potenzialità di relazione comunque superiore a quella che abbiamo col Pd.

Con Meloni premier l’Italia correrebbe il rischio di una involuzione democratica?

L’Italia è già una democrazia autoritaria. Penso allo svuotamento del Parlamento, alla concentrazione di tutto il potere nel governi: fenomeni che maturano da tempo.

Non vorrà fare un paragone con l’Ungheria di Orban? Mi riferisco alla libertà di stampa e ai diritti della comunità lgbt.

Sono stato in Ungheria a manifestare con le opposizioni a Orban, ho visitato l’archivio del filosofo marxista György Lukács prima che Orban lo chiudesse. Ricordo che prima di lui al governo c’era un centrosinistra liberista.

Dunque vede il rischio?

Le posizioni di Meloni, simili a quelle dell’ultradestra Usa e degli spagnoli di Vox, non sono una novità. Eppure Letta è andato alla festa di Atreju e con lei ha fatto un patto per tenere questa legge elettorale che rischia di consegnare alla destra una maggioranza assoluta che non c’è nel paese. Dunque non è legittimato a strumentalizzare l’antifascismo e i diritti civili per la solita campagna sul “voto utile”. Contro questa destra servirà una opposizione combattiva e legata ai movimenti, altrimenti prevarrà la pulsione al consociativismo. Letta e Meloni sono più vicini di quanto si dica: penso alla guerra ma non solo.

E il rischio autoritario?

Certo, con Meloni al governo la degenerazione della democrazia farebbe un salto ulteriore, persino fuori dai principi liberali. Per questo serve una opposizione vera. Il Pd la contrasterebbe sui conti pubblici e sulla fedeltà alla Nato.

Voi però non avete la spinta propulsiva di Mélenchon.

La nostra è una strada in salita, Up è nata da poco, in nessun paese la sinistra è arrivata in doppia cifra in un battibaleno. Ma un nostro successo sarebbe l’unico fatto nuovo di queste elezioni, aprirebbe una prospettiva. Serve che tante persone di sinistra escano dalla rassegnazione, dalla tentazione di votare il meno peggio.

Perché un elettore incerto dovrebbe scegliere voi rispetto a M5S o Sinistra italiana?

Su Conte ho detto. Il gruppo di Sinistra italiana si staccò da noi nel 2009 per spingere a sinistra il Pd, ma non ci sono riusciti, anzi, sono subalterni. Ora Letta dice che non farebbe mai un governo con loro. Mi stupisce che neppure l’atteggiamento guerrafondaio dei dem abbia convinto Si a staccarsi.

fonte: il manifesto

RIFONDAZIONE: BONOMI DIFENDE DELOCALIZZAZIONI, ORLANDO COME AL SOLITO OBBEDIRÀ

Il Presidente di #Confindustria#Bonomi maltratta il ministro Orlando anche al Meeting ciellino. Bonomi rivendica il diritto di delocalizzare e lancia anatemi con la solita arroganza contro la proposta di un decreto.

Il padronato se ne frega degli interessi del paese da cui è abituato a succhiare denaro pubblico.
Come per il blocco dei licenziamenti ci sembra la solita pantomima che si conclude con il ministro e il governo allineati con Confindustria. La bozza di decreto che circola è assolutamente inefficace per contrastare le chiusure delle aziende e le delocalizzazioni e salvare contemporaneamente, come sarebbe necessario, posti di lavoro e produzioni strategiche.

La legge, oltre a valere solo al di sopra dei 250 dipendenti, cosa che escluderebbe dal suo ambito di applicazione molte delle aziende attualmente a rischio chiusura(per esempio Gianetti e Timken) si limita a definire procedure meno selvagge per arrivare a chiudere.

La bozza Orlando non mette in discussione la possibilità di chiudere, non distinguendo nemmeno tra attività strategiche e non, semplicemente ne allunga i tempi e introduce penalità assolutamente insufficienti di fronte ai vantaggi economici e finanziari perseguiti da chi decide di delocalizzare.

Le ricollocazioni dei lavoratori restano aleatorie affidate come sono alla buona volontà di aziende che hanno mostrato con i licenziamenti via whatsapp in quale conto tengano i diritti e il futuro dei lavoratori.

Tanto più con un governo che a fronte del dramma occupazionale del paese non ha un piano per il lavoro e per la riqualificazione delle produzioni nazionali.

Non ci stupisce la faccia tosta di Bonomi che attacca il provvedimento come punitivo per le imprese cui attribuisce il merito della ripresa della produzione sputando nel piatto da cui arrivano le valanghe di miliardi che hanno permesso loro di affrontare la crisi e di ristrutturarsi nei prossimi anni.

Siamo a fianco delle lavoratrici e i lavoratori della Gkn che hanno organizzato per giovedì 26 alle 20.30 un’assemblea per costruire dal basso insieme ai giuristi e giuslavoristi democratici una proposta di legge seria.

Maurizio Acerbo, segretario nazionale e Antonello Patta, responsabile lavoro del Partito della Rifondazione Comunista#SinistraEuropea