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COMMISSIONE EUROPEA – RILANCIO DELL’ AUSTERITÀ CONTRO L’EUROPA DEI POPOLI, L’WELFARE, I CETI POPOLARI

28 Aprile 2023

Antonello Patta*

La commissione europea ha presentato le proprie proposte per la riforma della governance economica europea che dovrebbe subentrare al Patto di stabilità brandito come la spada di Damocle che, senza nuove regole, tornerebbe automaticamente in vigore dal 1° gennaio 2024.
L’obiettivo dichiarato è quello di “preparare l’UE alle sfide future sostenendo i progressi verso un’economia verde, digitale, inclusiva e resiliente e rendendola più competitiva”.
Dichiarazioni di facciata dietro cui c’è un ritorno a politiche fiscali restrittive inique che insieme alle restrizioni monetarie e creditizie prodotte dalla Bce alimentano le spinte recessive, ammazzano gli investimenti nei paesi con debiti più alti aumentano il divario tra paesi europei.
Vengono infatti confermati i vincoli del rapporto debito/pil al 60% e del disavanzo di bilancio al 3% e imposto un percorso “contrattato” di rientro nei parametri indicati, ma entro limiti temporali certi, pena l’inasprimento delle condizioni.
Questo deve avvenire sulla scorta della “traiettoria tecnica per paese” indicata dalla Commissione e contenente prescrizioni inaggirabili tra cui, per i paesi con disavanzo superiore al 3%, una riduzione annuale non inferiore allo 0,5%.
L’indicatore operativo, di cui si avvarranno i controllori europei per la sorveglianza del rispetto dei percorsi di aggiustamento di bilancio, sarà l’effettiva riduzione della spesa pubblica pluriennale dei paesi sotto esame.
Se infine a queste vincolanti indicazioni ex ante aggiungiamo la previsione, contenuta nella proposta, dell’apertura automatica, per i paesi indebitati come il nostro, di una procedura per disavanzo appare chiaro che non siamo di fronte a una restituzione agli stati della “titolarità nazionale” millantata nel testo, ma di fronte a un vero e proprio commissariamento dei paesi come l’Italia da parte dell’asse guidata dalla Germania e della Bce.
Per l’Italia è un ritorno all’austerità che come nel recente passato produrrà tagli molto duri alla spesa pubblica per scuola, sanità, servizi, con pesanti ricadute salariali e occupazionali nel pubblico e in generale con costi sociali gravissimi, riduzione dei consumi e quindi gravi ricadute recessive sull’economia del Paese.
Il governo delle destre e i partiti sovranisti che lo compongono non solo non saranno in grado di contrastare queste scelte, ma si sono allineati in anticipo con i falchi europei anticipando nel Def una stretta fiscale brutale di 70miliardi nel triennio e un avanzo primario a regime di 45 miliardi.
Il passato non ha insegnato nulla. Si torna a politiche economiche che dividono l’Europa aumentando le divergenze economiche tra paesi, massacrano l’welfare, aumentano le disuguaglianze fra popoli e stati, fanno crescere le forze che soffiano sul risentimento popolare verso un’Europa matrigna per i molti e prodiga verso i pochi.
Tutto questo mentre si spendono cifre enormi per la guerra e gli armamenti allineando il continente ai diktat di Usa e Nato.
Si allude nella presentazione delle regole all’obiettivo dell’autonomia strategica dell’Europa; in realtà Il ritorno all’austerità che si vuole attuare e la guerra producono esattamente il contrario: la fine dell’idea di un’Europa in grado di stare alla pari sul piano economico e tecnologico con i grandi attori mondiali e di svolgere un ruolo politico forte nella direzione di relazioni internazionali improntate alla pace, al multilateralismo, alla cooperazione tra i popoli.

*responsabile nazionale lavoro, Partito della Rifondazione Comunista – Sinistra Europea

La povertà in Italia: una deriva drammatica

8 luglio 2022

Antonello Patta

La fotografia sull’andamento della povertà assoluta in Italia fornita oggi dall’Istat conferma la deriva drammatica che ha vissuto il paese negli ultimi decenni.

Il numero di individui in povertà assoluta è quasi triplicato dal 2005 al 2021, passando da 1,9 a 5,6 milioni; gravissimo e significativo il dato che riguarda i giovani tra i 18 e i 34anni per i quali l’incidenza della povertà è oggi ben 4 volte superiore a quella del 2005.E’ il risultato di anni di attacchi ai redditi dei lavoratori e dei ceti popolari che hanno prodotto salari e pensioni da fame e precarietà selvaggia all’origine della diffusione del lavoro povero tra i giovani, non a caso i più impoveriti.

Un altro dato fornito oggi suona come uno schiaffo a politici e imprenditori che puntualmente all’inizio dell’estate si scagliano contro il reddito di cittadinanza: “le misure di sostegno economico erogate nel 2020, in particolare reddito di cittadinanza e di emergenza, “hanno evitato a un milione di individui di trovarsi in condizione di povertà assoluta”;

E ancora: “L’intensità della povertà, senza sussidi, nel 2020 sarebbe stata di 10 punti percentuali più elevata, raggiungendo il 28,8%, fronte del 18,7% osservato”.

L’altra faccia della medaglia è data dalla continua, spudorata concentrazione della ricchezza nelle mani di un’oligarchia sempre più ristretta di super ricchi che non si è fermata nemmeno durante la fase più acuta della pandemia. Nei 21 mesi della pandemia intercorsi tra il mese di marzo 2020 e novembre 2021 il numero dei miliardari italiani nella Lista Forbes è aumentato da 36 a 49.

Oggi i 40 miliardari italiani più ricchi posseggono l’equivalente della ricchezza netta del 30% degli italiani più poveri (18 milioni di persone adulte).

Soltanto una grande insorgenza ci salverà!

Inflazione al 4,8%, ridateci la scala mobile

4 Febbraio 2022

Con un’inflazione al 4,8% lavoratrici e lavoratori vedono decurtati salari che già sono tra i più bassi in Europa. E’ ora di reintrodurre la scala mobile per fare fronta al carovita e difendere il potere d’acquisto delle classi popolari. E’ indispensabile un meccanismo di recupero automatico annuale dell’inflazione reale, una nuova scala mobile che tuteli anche il lavoro precario.

Le lavoratrici e i lavoratori più giovani, forse neanche lo ricorderanno ma dal 1945 al 1992 in Italia c’era la scala mobile, un meccanismo di adeguamento di salari e pensioni al costo della vita.
Fu introdotta dopo la Liberazione grazie alla forza che avevano le sinistre e la Cgil guidata da Giuseppe Di Vittorio nei confronti di un padronato ancora debole perché era stato complice e sponsor del regime fascista.

La scala mobile divenne bersaglio del primo taglio nel 1984 da parte del governo Craxi con l’accordo di Cisl e Uil. Fu l’ultima battaglia di Enrico Berlinguer quella per un referendum che fu sconfitto nel 1985. L’economista Federico Caffè si schierò in difesa di questo strumento.

Fu abolita dopo lo scioglimento del PCI quando gli ex-comunisti spinsero tragicamente la Cgil verso una linea di concertazione e di cedimento al governo Amato e a Confindustria che avrebbe inaugurato una lunga stagione di ritirata e perdita di diritti.

Anche per questo l’Italia è diventata l’unico paese europeo in cui il monte salari complessivo è diminuito dal 1990.

Rifondazione Comunista ha sempre proposto la reintroduzione della scala mobile e nel 2006 raccogliemmo le firme per una legge di iniziativa popolare che prevedeva di tutelare anche il lavoro precario. E’ ora di rilanciare questa rivendicazione insieme all’introduzione di un salario minimo orario legale di 10 euro e alla cancellazione delle leggi che hanno precarizzato il lavoro.

Maurizio Acerbo, segretario nazionale, Antonello Patta, Responsabile lavoro, Partito della Rifondazione Comunista – Sinistra Europea

IN PENSIONE A 71 ANNI

9 dicembre 2021

Antonello Patta

I giovani che in Italia entrano nel mercato del lavoro oggi lavoreranno fino a 71 anni di età, 5 anni in più dell’età media degli altri paesi.

A confermare ciò che denunciamo da tempo è il rapporto “Pensions at a Grance 2021” dell’organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (OCSE).

E’ la conseguenza del fatto che l’Italia, grazie alla riforma Fornero, è uno dei sette Paesi dell’Ocse che per obbligare ad andare in pensione più tardi fanno dipendere l’entità dell’assegno pensionistico non solo dagli anni di contributi versati, ma anche dalla speranza di vita attesa; facendo finta di non sapere che le medie sull’aspettativa di vita nascondono il fatto che si vive meno in base al lavoro svolto e alle condizioni materiali di esistenza.

Tutto ciò viene giustificato col fatto che il sistema con l’invecchiamento della popolazione non reggerebbe. In realtà i loro calcoli sono truccati dal fatto che si conteggia nella spesa pensionistica quella per l’assistenza e si dà per scontato un mercato del lavoro con milioni di disoccupati (che non versano contributi) milioni di lavoratrici e lavoratori precari e discontinui mentre gli orari di lavoro restano tra i più alti d’Europa.

Con la pensione a 60 anni, meno anni di lavoro per le donne e per chi svolge lavori pesanti, riduzione dell’orario di lavoro e un piano vero per l’occupazione daremo un futuro ai giovani, avremo molte più forze al lavoro in rapporto ai pensionati e casse in grande attivo.

Con questa prospettiva occorre rilanciare la lotta pe abolire la legge Fornero che il governo Draghi ha ripristinato integralmente.

RIFONDAZIONE: BONOMI DIFENDE DELOCALIZZAZIONI, ORLANDO COME AL SOLITO OBBEDIRÀ

Il Presidente di #Confindustria#Bonomi maltratta il ministro Orlando anche al Meeting ciellino. Bonomi rivendica il diritto di delocalizzare e lancia anatemi con la solita arroganza contro la proposta di un decreto.

Il padronato se ne frega degli interessi del paese da cui è abituato a succhiare denaro pubblico.
Come per il blocco dei licenziamenti ci sembra la solita pantomima che si conclude con il ministro e il governo allineati con Confindustria. La bozza di decreto che circola è assolutamente inefficace per contrastare le chiusure delle aziende e le delocalizzazioni e salvare contemporaneamente, come sarebbe necessario, posti di lavoro e produzioni strategiche.

La legge, oltre a valere solo al di sopra dei 250 dipendenti, cosa che escluderebbe dal suo ambito di applicazione molte delle aziende attualmente a rischio chiusura(per esempio Gianetti e Timken) si limita a definire procedure meno selvagge per arrivare a chiudere.

La bozza Orlando non mette in discussione la possibilità di chiudere, non distinguendo nemmeno tra attività strategiche e non, semplicemente ne allunga i tempi e introduce penalità assolutamente insufficienti di fronte ai vantaggi economici e finanziari perseguiti da chi decide di delocalizzare.

Le ricollocazioni dei lavoratori restano aleatorie affidate come sono alla buona volontà di aziende che hanno mostrato con i licenziamenti via whatsapp in quale conto tengano i diritti e il futuro dei lavoratori.

Tanto più con un governo che a fronte del dramma occupazionale del paese non ha un piano per il lavoro e per la riqualificazione delle produzioni nazionali.

Non ci stupisce la faccia tosta di Bonomi che attacca il provvedimento come punitivo per le imprese cui attribuisce il merito della ripresa della produzione sputando nel piatto da cui arrivano le valanghe di miliardi che hanno permesso loro di affrontare la crisi e di ristrutturarsi nei prossimi anni.

Siamo a fianco delle lavoratrici e i lavoratori della Gkn che hanno organizzato per giovedì 26 alle 20.30 un’assemblea per costruire dal basso insieme ai giuristi e giuslavoristi democratici una proposta di legge seria.

Maurizio Acerbo, segretario nazionale e Antonello Patta, responsabile lavoro del Partito della Rifondazione Comunista#SinistraEuropea