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La letteratura e i classici nella vita contemporanea

8 Aprile 2024

Da Omero a Tolstoj, a Dostoevskij, a Thomas Mann, dai tragici greci a Marguerite Yourcenar e Leonardo Sciascia.

Perché i classici ci possono aiutare nella vita.

Nella sfera individuale e nella sfera sociale e politica.

Partecipa GIORGIO RIOLO (saggista – Rete delle alternative)

COLLETTIVO CULTURALE “ROSA LUXEMBURG” VIGEVANO

Il mal sviluppo in Italia. L’eterna ipocrisia e l’eterna incapacità di programmazione

22 Maggio 2023

Giorgio Riolo

Un breve intervento per alcune considerazioni necessarie oggi. Due temi e due riferimenti per capire. Ci si riferisce qui ai gravi eventi in Emilia Romagna, da una parte, e al modo tutto italiano di trattare la questione dei migranti, dall’altra.

I.

Tra le annose questioni dei caratteri e dei tratti distintivi dello stato-nazione Italia, una importante è la storica mancanza strutturale della programmazione. Non la programmazione scritta. Abbondiamo in buone intenzioni, in piani e leggi. La programmazione e la pianificazione di un paese serio che appresta non solo le misure scritte, ma che mette in fila l’attuazione, la realizzazione pratica con l’indicazione dei vari passi in una visione di lungo periodo. Nella sacrosanta visione della “lunga durata”.

Le ragioni sono molte e si evita di andare troppo indietro nel tempo della storia d’Italia. In gioco sono piuttosto le dinamiche particolari di come si è costituito lo stato unitario, la qualità dei gruppi dirigenti, dei ceti politici, la qualità delle classi dominanti e in particolare della borghesia italiana ecc.

II.

A proposito dei disastri causati dalla calamità in Romagna. Certo all’opera sono il cambiamento climatico e la crisi ambientale generale, planetaria. Ma poi c’è lo specifico dell’Italia. Allora importante è il primo riferimento.

Dopo la grave alluvione dell’autunno 1966 nel Nord Italia e in Toscana, con la disastrata Firenze come simbolo sinistro di tali eventi, il governo italiano si decise ad avviare la “Commissione interministeriale per lo studio della sistemazione idraulica e della difesa del suolo”, cosiddetta “Commissione De Marchi”, dal nome di Giulio De Marchi, ingegnere e professore universitario di grande valore.

De Marchi è stato esponente di quella borghesia intellettuale italiana nella stagione autentica del riformismo italiano. Borghesia illuminata che per fortuna è esistita ed esiste tuttora in Italia. Da contrapporre alla molto diffusa, parassitaria, famelica, corrotta e corruttrice, borghesia. Entro il famoso capitalismo molto assistito dallo Stato. Entro la cattiva gestione pubblica delle risorse, della corruzione, degli sprechi, del voto di scambio, del clientelismo ecc. L’Italia di allora era entro il regime democristiano, anche se mitigato nella stagione dei vari governi del centrosinistra.

Si costituì un ampio gruppo di lavoro di molte figure professionali che dovevano redarre un piano per affrontare il problema per cui venne costituita la Commissione. Questa lavorò dal 1967 al 1970. L’esito fu un documento memorabile, così dettagliato e rigoroso, di ben 2.800 pagine in cinque volumi. Il primo volume apparve nel 1970.

In sintesi, si diceva che occorrevano 30 anni (ripetiamo 30 e non l’effimera durata media di un governo italiano) per realizzare il piano e che per la sua attuazione occorrevano circa 9.000 miliardi di lire di allora. Oggi, rivalutati, ammonterebbero a 70 miliardi di euro.

Il seguito è quello classico italiano. “Adelante Pedro, con juicio”. Tutto è stato vanificato. Gli interessi in campo hanno congiurato allora e congiurano tuttora. Anzi, l’antropizzazione senza freni, la cementificazione e l’uso e l’abuso del suolo aggravati hanno avuto libero corso. Con governi di destra e con governi di centrosinistra, senza distinzione.

Era quella la giusta visione razionale della prevenzione e non della rincorsa a mettere in sesto il territorio dopo le immancabili alluvioni, le immancabili siccità ecc. Una spesa produttiva preventiva di contro alle enormi spese improduttive per riparare i danni agli umani, alle cose, all’industria e all’agricoltura, all’ambiente.

Oggi lo scatenamento degli spiriti animali negazionistici delle destre destre al governo, contro ambientalisti e contro chi governa attualmente la Regione Emilia Romagna, è solo vergognoso e ributtante. Ma nessuno si ritenga assolto, destre e centrosinistra. E chi pensa di continuare come per l’innanzi, in alto in primo luogo, ma anche in basso. È la prova provata che così non si può andare avanti. Per il cambiamento climatico in atto e per come si gestiscono normalmente i territori italiani.

III.

Un altro riferimento alla congenita mancanza di piano e di programmazione. È ormai ampiamente assodato che l’Italia, come molti paesi europei e occidentali, è in calo demografico e con l’invecchiamento progressivo della popolazione. Alcuni settori del capitalismo italiano e dei gruppi dirigenti politici ed economici parlano apertamente di necessità di manodopera straniera per ovviare a questa tendenza. C’è chi parla di almeno 500 mila lavoratori. Anche in presenza della tendenza storica al labour saving, al “risparmio di lavoro”, con le nuove tecnologie e con i nuovi processi di produzione. Occorre nuova forza-lavoro, occorre nuova linfa vitale.

A suo tempo, dopo il 2011 e dopo l’arrivo di profughi siriani soprattutto, assieme a migranti di altre provenienze, il ministro degli interni tedesco Thomas De Maizière, entro il governo Merkel, disse apertamente che la Germania abbisognava nei due decenni successivi di almeno 10 milioni di lavoratori stranieri, a misura del grave calo demografico tedesco. Programma quindi della durata di 20 anni. E indicava le misure affinché questo assorbimento fosse ordinato e profittevole. Ordinato e profittevole, ovviamente, per il capitalismo tedesco.

Non impulso solidaristico, non filantropia. Piuttosto la maniera teutonica della programmazione, del modo ordinato di condurre le cose. Scuole di tedesco per questa forza-lavoro (la lingua è il primo divario da colmare per un migrante), abitazioni, assistenti sociali, accordi tra imprese e sindacati ecc. Un programma, un piano insomma.

La cosiddetta “integrazione” non ci piace. Ma è sempre meglio del far west all’italiana. Anche se si ha bisogno di forza-lavoro migrante, questa dinamica deve risultare ancor più profittevole. Forza-lavoro senza diritti, senza pretese. Nessuna programmazione. Il migrante serve come manodopera nei famosi lavori “5 p” (precari, pesanti, pericolosi, poco pagati e penalizzati socialmente).

Il calco è quello classico. Mi servi, ho bisogno di te, ma non debbo considerati un vero interlocutore, una persona depositaria di dignità e di umanità. Debbo disumanizzarti, debbo toglierti l’umanità. Il modello è sempre lo Untermensch (sottouomo) descritto da Primo Levi.

Così ti posso sfruttare meglio, senza remore, come lavapiatti, muratore, bracciante agricolo, badante, manovale, lavoratore della logistica ecc. Anche nel lavoro specializzato. È il classico (Marx) “lavoro in pelle nera” che mi serve anche per incalzare e per ricattare “il lavoro in pelle bianca”.

Con l’opportuna e manipolatoria campagna culturale e mediatica onde evitare la pericolosa solidarietà tra questi due mondi del lavoro. Il migrante è sempre da considerarsi indesiderato, clandestino. Anche se nella realtà la gran parte arriva in Italia non con i barconi e via mare.

Tutto ciò accade nel paese che nella storia, tra Ottocento e Novecento, è secondo, dietro la popolosa Cina, come numero di popolazione migrante nel mondo. Noi ci ostiniamo a non fare i debiti conti con la nostra triste storia di emigrazione.

IV.

“Il vero è l’intero”, diceva Hegel. L’invito è pertanto sempre di guardare oltre il contingente e oltre il breve periodo. Oltre la nostra limitata esperienza e il nostro limitato orizzonte. Crisi sociale e crisi ecologico-climatica si tengono assieme. Le soluzioni non possono mai essere di breve periodo, nella contingenza, nella soluzione dell’emergenza.

Per la soluzione della povertà e delle gravi diseguaglianze, su scala nazionale e su scala mondiale, e per la soluzione, qualora fossimo a tempo, della grave crisi ecologico-climatica occorrono molti decenni. Occorrono programmazione e pianificazione. Parole molto indigeste, perché pongono regole e vincoli, per il neoliberismo e per il capitalismo in generale. Parole “bolsceviche”. Ma se non si inizia i 30-50 anni si spostano sempre più in là. Con il pericolo serio per la civiltà umana e per la vita nel pianeta.

Ma adesso destra e centrosinistra, assieme agli immancabili apparati di persuasione di massa, sono molto occupati a servire Usa e Nato. Altro che crisi sociale e crisi climatica. Altro che programmazione. Solerti nell’isteria di guerra e nella produzione e nell’uso delle armi. Giustizieri mondiali, assieme ai guerrafondai Usa e Nato. Naturalmente senza il consenso della maggioranza del popolo italiano.

Il movimento altermondialista e le vicende di Genova G8. Le necessarie riflessioni a venti anni dagli eventi

Testo a cura di Giorgio Riolo

I.
Scrivevo nel precedente articolo, dedicato ai vent’anni del Forum Sociale Mondiale e
del movimento altermondialista, che si possono avere due modalità. Una è la
semplice rievocazione. Molto importante comunque, poiché la memoria storica è
sempre minacciata nella frenesia neoliberista e postmoderna del tempo brevissimo
del presente e del dileguare di ogni esperienza nell’effimero e nel frammento, negante ogni possibile sedimentazione, antropologica, culturale e politica. A favore
nondimeno di un’altra sedimentazione. Consumistica, improntata alla forma-merce,
al dato, alla superficie, al non porsi domande di senso e di carattere generale del
proprio vivere, della propria condizione, dei propri veri, profondi desideri di una vita
migliore.

L’altra modalità è invece quello di cogliere l’occasione per riflettere e per ponderare
alla luce dei due decenni trascorsi. Per cercare di trarre le lezioni e per proiettare
nell’oggi e nel futuro ciò che necessariamente impariamo nel cammino. Per
progettare, per costruire alternative, per costruire società, comunità, istituzioni e
assetti nazionali e internazionali alternativi al corso dominante.

E per decidere la propria agenda in questo cammino, in questo processo che
necessariamente abbisogna il tempo lungo, tipico delle costruzioni storiche non
effimere, non evanescenti. Nel nostro caso, per non cadere nella strategia dei
dominanti, i quali con la feroce repressione, come avvenuto nei giorni di luglio 2001
a Genova, miravano e mirano a bloccare il processo e a cacciare indietro, a porre
necessariamente i movimenti e le persone nella difensiva. Tragica difensiva,
beninteso. Il modo migliore per i dominanti nel porre all’ordine del giorno la “loro”
agenda. Così come è la loro agenda un vertice qualsiasi, come era allora il G8.

II.
Che cosa avvenne e soprattutto perché la straordinaria esperienza del G8 di Genova.
La chiamata, il proposito di andare a Genova per contestare il vertice dei potenti, non
fu casuale. Fu un passaggio nel processo del risveglio dei tanti soggetti che
chiamammo a suo tempo movimenti antisistemici, novecenteschi e non (il
movimento operaio, socialista e comunista rimonta almeno al secolo XIX). Negli
anni Novanta a misura della sfida totalizzante del capitalismo nell’era del
neoliberismo e della cosiddetta “globalizzazione”, soggetti e correnti del movimento
del lavoro, operaio e contadino, di pezzi del movimento sindacale, del movimento ambientalista, del movimento pacifista, del movimento femminista, del movimento
dei popoli indigeni, del movimento dei diritti civili, del movimento del solidarismo,
cattolico, protestante e laico ecc. cominciarono a dialogare, a porsi in una relazione
efficace, se non di collaborazione. Tutto ciò sfocerà nella protesta al vertice del Wto a
Seattle di fine 1999 e poi nella costruzione delle alternative al sistema con il Forum
Sociale Mondiale, a cominciare dal Fsm di Porto Alegre di gennaio 2001.

Genova non avrebbe avuta quella straordinaria mobilitazione e quella straordinaria
partecipazione di movimenti, associazioni, partiti, semplici persone e famiglie, dai
gruppi di religiosi e di religiose ai gruppi radicalizzati dei centri sociali, se prima non
si fosse svolto il Fsm di Porto Alegre. Sulla spinta di quel straordinario,
impressionante evento, nei mesi dal gennaio 2001 fino al luglio 2001, si tennero
numerose assemblee di analisi del Fsm, da una parte, e di preparazione quindi a
Genova G8, dall’altra. Assemblee partecipate, di grande dibattito, non celebrative e di
contenuti notevoli.

Senonché a tante assemblee vi partecipavano anche alcuni funzionari della Digos. A
uno di loro che si fermò a parlarmi, dopo una di queste assemblee, chiesi perché si
voleva “appiattire” una mobilitazione di popolo pacifica e così profonda di contenuti,
riconosciuti come notevoli questi contenuti dal funzionario stesso, e farne solo una
“questione di ordine pubblico”. “Ordini dall’alto, per evitare disordini”. Fu la
risposta.

Poi capimmo molto bene cosa ciò significava.

Il Genoa Social Forum e i vari organismi che si mobilitarono per l’evento
organizzarono conferenze e dibattiti sui contenuti prima delle giornate fatidiche dal
19 al 22 luglio. Poi tutto precipitato nello stato d’eccezione che si creò volutamente.
Con l’azione repressiva dei cortei di inaudita violenza a opera dei vari apparati
repressivi dello Stato. Con la modalità tipica in quella occasione. L’uso strumentale
delle esibizioni dei cosiddetti Black Bloc, e anche di gruppi mai visti nelle
mobilitazioni, inspiegabilmente non intercettati nei giorni precedenti dalla stretta
sorveglianza nell’arrivo a Genova. Queste attività di detti soggetti in prossimità o
entro i cortei, come giustificazione per attacchi e violenze efferate compiuti contro
gente inerme, compresi anziani e donne di evidente ispirazione pacifista.
Nella mente della catena di comando, dal livello politico italiano (Fini presente in una
caserma a Genova) al livello dei singoli comandi delle forze repressive, l’occasione
per dare una lezione definitiva a un movimento, a ragione ritenuto pericoloso per il
sistema. Pericoloso perché forte di ragioni storiche, di idee, di cultura, di etica, di
partecipazione, di passioni durevoli e non effimere.

Il culmine di questa esibizione della faccia feroce ed eversiva dello Stato furono i
criminali pestaggi nella caserma di Bolzaneto e nella macelleria messicana operata
alla scuola Diaz. Con l’uccisione di Carlo Giuliani in piazza Alimonda come tragico
suggello. Suggello di questo incredibile, quasi surreale, anche agli occhi di incalliti
oppositori al sistema come eravamo molti di noi partecipanti, forgiati dalla militanza
dal ‘68 e anni Settanta in avanti.

III.
Il problema per i dominanti mondiali, a mo’ di mandanti, nei loro incontri di G8, e
per i loro esecutori nelle strade di Genova è stato che quell’evento alla fine è risultato
uno degli eventi più fotografati, più filmati, più testimoniati da migliaia di giornalisti
e di attivisti della comunicazione, della storia. Migliaia di foto, di video, di
registrazioni, di cronache e di articoli di giornalisti onesti e non asserviti.
Vero problema e saltati tutti i tentativi di creare false prove, false testimonianze ecc.
per giustificare i comportamenti e per scagionare esponenti delle forze dell’ordine
palesemente colti in flagranza di reato.

La verità giornalistica e storica e la verità giudiziaria, grazie anche al lavoro di
squadre di avvocati e di esperti di vari campi, vicini al movimento altermondialista, e
grazie a esponenti della magistratura, obbedienti alla legge e alla Costituzione e non
al potere, alla fine sono state sanzionate, sancite.

Fermo restando che molti capi e funzionari di detti apparati, giudicati colpevoli nelle
varie sentenze di vario grado, la “eterna continuità dello Stato”, ma anche “l’eterno
fascismo italiano”, l’eterna impunibilità di dirigenti del molto avariato Stato italiano,
di cui dirò dopo, addirittura sono stati promossi e hanno continuato il normale, tipico
cursus honorum della vera casta di intoccabili.

IV.
Genova G8 costituì un vero e proprio shock. Nelle manifestazioni, nelle attività di
movimento, successive a luglio 2001, nei gruppi tematici di lavoro e di studio ecc. si
ritrovarono, e ritrovammo, molti attivisti e militanti, molte semplici persone, che non
vedevamo da molto tempo. I tanti e tante delusi dalle dinamiche autoreferenziali e
settarie anche dei vari pezzi della sinistra, storica e nuova, i quali non conducevano
più alcuna militanza o attività pur rimanendo con testa e cuore a sinistra, nel
solidarismo, nei valori di riferimento della loro fase precedente. Un rinnovato
protagonismo si palesò. Una febbrile attività fu lo scenario.

Poi, come è avvenuto nella storia dei Forum Sociali Mondiali e nel movimento
altermondialista, un lento venir meno di questa passione e di questo fervore, di questo
protagonismo e di questo attivismo.

V.
Alcune considerazioni finali.

La ragione (cultura, idee, studi ecc.) e la passione (scelta etica, qualità morali,
volontarismo, attivismo ecc.) sono necessarie, ma non sufficienti. Per dare continuità
a questa grande cosa che pensammo, vale a dire “un altro mondo è possibile”,
occorreva e occorre sempre “forza” e “organizzazione”.

Nozioni completamente diverse dalla forza e dall’organizzazione dei dominanti, da chi esercita e vive di potere. Nozioni aliene dalla gerarchia e dalla burocrazia di organismi abituati a
operare con gerarchia e burocrazia.

Un lavoro paziente di lunga durata per tenere assieme culture, sensibilità, matrici
culturali, di diversa ispirazione e di diversa indole, ma tutte miranti a dare un volto
umano a questo mondo e a questo pianeta, ormai in pericolo nella sua stessa
costituzione di civiltà, a causa delle enormi, incredibili diseguaglianze, e nella sua
stessa costituzione materiale.

È possibile riprendere il cammino interrotto dei Fsm e del movimento
altermondialista. E quindi delle passioni e delle ragioni di Genova G8. Indicavo
alcuni passaggi nel precedente articolo dedicato ai venti anni del Fsm.

Infine, senza riforma dello Stato italiano, senza riforma degli apparati dello Stato,
senza riforma della Pubblica Amministrazione ecc., senza la ferrea selezione
costituzionale e culturale dei dirigenti, ricadiamo nella condizione dell’eccezione e
nell’anomalia italiane. Non solo Genova, non solo Santa Maria Capua Vetere, non
solo Stefano Cucchi, non solo caserma dei carabinieri di Piacenza ecc., ma ogni
episodio eversivo, di quelli noti e di quelli ignoti, per i quali non abbiamo filmati,
testimonianze ecc. perché semplicemente occultati, nel passato, nel presente e nel
futuro, perché quello di cui discutiamo è solo la punta dell’iceberg. Chissà quale
montagna di altri episodi simili.

Dicevo “cultura” e “Costituzione”. Ma anche il livello antropologico di chi
semplicemente porta la divisa, si sente sotto la copertura e la protezione e l’omertà
anche di essere rappresentante dello Stato, della Pubblica Amministrazione. Un
tempo dicevamo “Forti con i deboli e deboli con i forti”. Le frustrazioni di persone
non formate, non educate e che pertanto considerano sudditi i cittadini e le cittadine.
Così come d’altra parte inculcano loro il livello politico e il livello dirigenziale di
detti apparati. Così è. E a farne le spese soprattutto i più deboli, i migranti, gli
stranieri, i “senza documenti”. Attendiamo di sapere, per esempio, che ne è del
detenuto algerino di cui testimonia uno dei reclusi bastonati nel carcere in questione.

Concludo.

Dicevamo “l’eterno fascismo italiano”, “il sovversivismo delle classi dominanti”, lo
“spagnolismo” tipico italiano. Privilegi, status, potere “con qualunque mezzo
possibile”. Todo modo, evocato da Leonardo Sciascia, e “Io so, ma non ho le prove”
negli Scritti corsari di Pier Paolo Pasolini.