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COMMISSIONE EUROPEA – RILANCIO DELL’ AUSTERITÀ CONTRO L’EUROPA DEI POPOLI, L’WELFARE, I CETI POPOLARI

28 Aprile 2023

Antonello Patta*

La commissione europea ha presentato le proprie proposte per la riforma della governance economica europea che dovrebbe subentrare al Patto di stabilità brandito come la spada di Damocle che, senza nuove regole, tornerebbe automaticamente in vigore dal 1° gennaio 2024.
L’obiettivo dichiarato è quello di “preparare l’UE alle sfide future sostenendo i progressi verso un’economia verde, digitale, inclusiva e resiliente e rendendola più competitiva”.
Dichiarazioni di facciata dietro cui c’è un ritorno a politiche fiscali restrittive inique che insieme alle restrizioni monetarie e creditizie prodotte dalla Bce alimentano le spinte recessive, ammazzano gli investimenti nei paesi con debiti più alti aumentano il divario tra paesi europei.
Vengono infatti confermati i vincoli del rapporto debito/pil al 60% e del disavanzo di bilancio al 3% e imposto un percorso “contrattato” di rientro nei parametri indicati, ma entro limiti temporali certi, pena l’inasprimento delle condizioni.
Questo deve avvenire sulla scorta della “traiettoria tecnica per paese” indicata dalla Commissione e contenente prescrizioni inaggirabili tra cui, per i paesi con disavanzo superiore al 3%, una riduzione annuale non inferiore allo 0,5%.
L’indicatore operativo, di cui si avvarranno i controllori europei per la sorveglianza del rispetto dei percorsi di aggiustamento di bilancio, sarà l’effettiva riduzione della spesa pubblica pluriennale dei paesi sotto esame.
Se infine a queste vincolanti indicazioni ex ante aggiungiamo la previsione, contenuta nella proposta, dell’apertura automatica, per i paesi indebitati come il nostro, di una procedura per disavanzo appare chiaro che non siamo di fronte a una restituzione agli stati della “titolarità nazionale” millantata nel testo, ma di fronte a un vero e proprio commissariamento dei paesi come l’Italia da parte dell’asse guidata dalla Germania e della Bce.
Per l’Italia è un ritorno all’austerità che come nel recente passato produrrà tagli molto duri alla spesa pubblica per scuola, sanità, servizi, con pesanti ricadute salariali e occupazionali nel pubblico e in generale con costi sociali gravissimi, riduzione dei consumi e quindi gravi ricadute recessive sull’economia del Paese.
Il governo delle destre e i partiti sovranisti che lo compongono non solo non saranno in grado di contrastare queste scelte, ma si sono allineati in anticipo con i falchi europei anticipando nel Def una stretta fiscale brutale di 70miliardi nel triennio e un avanzo primario a regime di 45 miliardi.
Il passato non ha insegnato nulla. Si torna a politiche economiche che dividono l’Europa aumentando le divergenze economiche tra paesi, massacrano l’welfare, aumentano le disuguaglianze fra popoli e stati, fanno crescere le forze che soffiano sul risentimento popolare verso un’Europa matrigna per i molti e prodiga verso i pochi.
Tutto questo mentre si spendono cifre enormi per la guerra e gli armamenti allineando il continente ai diktat di Usa e Nato.
Si allude nella presentazione delle regole all’obiettivo dell’autonomia strategica dell’Europa; in realtà Il ritorno all’austerità che si vuole attuare e la guerra producono esattamente il contrario: la fine dell’idea di un’Europa in grado di stare alla pari sul piano economico e tecnologico con i grandi attori mondiali e di svolgere un ruolo politico forte nella direzione di relazioni internazionali improntate alla pace, al multilateralismo, alla cooperazione tra i popoli.

*responsabile nazionale lavoro, Partito della Rifondazione Comunista – Sinistra Europea

LEGGE FINANZIARIA DELLA DESTRA: UNA MANOVRA CONTRO I POVERI, IL LAVORO, LE DONNE. SALVI I PROFITTI DEGLI SPECULATORI SUL GAS

25 Novembre 2022

di Antonello Patta* –
Svanite come neve al sole le promesse elettorali, la finanziaria del governo delle destre si pone in perfetta continuità con l’austerità del governo Draghi del quale mantiene i tagli alla scuola e alla sanità a cui i soldi destinati non bastano nemmeno per coprire gli aumenti delle bollette e l’aumento dei costi generali dovuto all’inflazione.

Ma ciò che si può già notare in attesa del testo definitivo e dell’approvazione del Parlamento è che il tratto distintivo della manovra è un feroce segno di classe a vantaggio di lavoratori autonomi, settori imprenditoriali che vivono sullo sfruttamento e sul lavoro nero e povero ed evasori, il nocciolo duro della base sociale delle destre.

Con il taglio del reddito di cittadinanza preparato dalle grida estive sulla mancanza di lavoratori a causa dei fannulloni, e la ridotta rivalutazione delle pensioni si prendono soldi dai poveri e dai pensionati per dare, poco, ad altri poveri e soprattutto ridurre le tasse a settori che già non le pagano e incentivare con sgravi fiscali forme di salario funzionali all’aumento del potere delle imprese sul lavoro. Una serie di misure infine, come l’introduzione dei quozienti familiari in misure fiscali e bonus, e la scelta di vincolare l’età di pensionamento delle donne al numero di figli sono un chiaro segnale di cosa promette per il futuro in termini di attacco ai diritti delle donne l’integralismo familista e patriarcale delle destre.

Ma proviamo ad analizzare i punti della manovra come apparsi sui giornali, lasciando per il momento da parte il suo carattere recessivo su cui torneremo e concentrandoci sui suoi effetti sul lavoro e i ceti popolari. Il primo dato che colpisce è la nessuna considerazione sul tema dei salari medi delle lavoratrici e dei lavoratori italiani, già tra i più bassi d’Europa, crollati drammaticamente sotto i colpi dell’inflazione arrivata ormai al 13%.

I pochi spiccioli messi sono destinati a sgravi fiscali che incentivano il salario di produttività e i bonus aziendali finalizzati a fidelizzare il lavoro al comando d’impresa. Niente nemmeno sul salario minimo la cui assenza è funzionale a lasciare milioni di lavoratori con paghe indegne e in balia di offerte di lavoro le più precarie; la reintroduzione dei famigerati voucher favorisce ancora di più la trasformazione del mercato del lavoro in un suk delle braccia a la carte costrette a sottostare allo sfruttamento fino al limite del lavoro schiavile, un favore a padroni e padroncini diffusi specialmente in agricoltura, nel turismo e nei servizi poveri e nel lavoro domestico.

L’intervento sul cuneo fiscale del lavoro dipendente, che Confindustria avrebbe voluto anche a beneficio delle imprese e molto più corposo in sostituzione di sacrosante rivendicazioni salariali, si limita a confermare la riduzione di due punti già introdotta da Draghi e all’aggiunta di un ulteriore punto per i redditi fino a 20 mila euro, un’altra mancetta che vale da 6 a 10 euro.
Per quanto riguarda le pensioni siamo alla minestra riscaldata: le promesse magnificate durante la campagna elettorale dal duo Berlusconi e Salvini, le pensioni minime a mille euro e la pensione a 41 anni di contributi, sono svanite.

Non si fa nulla per i milioni di pensionati sotto i mille euro. Il millantato aumento sulle pensioni minime attuali si traduce, fatta salva la rivalutazione dovuta per l’inflazione, in una misera mancetta di meno di dieci euro. Così milioni di pensionati saranno costretti a continuare a vivere con 560 – 570 euro! Intanto si continua a utilizzare i pensionati come bancomat per fare cassa riducendo la rivalutazione delle pensioni per gli assegni sopra i 1600 – 1700 euro netti.

Non è andata meglio per chi si era illuso sulla tanto gridata rottamazione della legge Fornero; finita in fumo la promessa della pensione con 41 anni di contributi, per il diritto al pensionamento resta in vigore il doppio criterio dell’età, 62 anni, e degli anni di versamenti, 41, la cui applicazione permetterà solo poche migliaia di pensionamenti, a patto di non superare il valore massimo della pensione di 2670 euro lordi. Infine sempre in tema di pensioni va ricordata una misura che conferma l’ideologia familista sottostante la manovra; opzione donna mantiene gli svantaggi già noti in termini di riduzione dell’assegno di circa il 30% e peggiora ulteriormente diventando una sorta di opzione mamma punitiva verso le donne senza figli: avranno il diritto alla pensione a 58 anni le donne con due figli, a 59 quelle con un figlio, a 60 quelle senza figli.

il tratto di questa manovra che giustamente ha sollevato l’indignazione di molti è stato l’intervento brutale sul reddito di cittadinanza, una vera e propria rapina beffa contro i poveri; viene ridotta la copertura a soli 8 mesi per l’anno in corso per coloro i quali sono inseriti nella categoria inventata all’uopo degli occupabili, mentre da gennaio 2024 la misura viene eliminata del tutto ; è un altro gigantesco regalo alle imprese che fanno profitti su precarietà e paghe infami che completa il quadro degli interventi mirati a colpevolizzare chi il lavoro non lo trova e incentivare la guerra tra i poveri a vantaggio delle imprese.

Particolarmente grave è quanto deciso per “contrastare” il carovita in un contesto in cui crisi epocali e un inflazione alle stelle riducono i salari reali, aumentano la povertà anche di chi ha un lavoro, con milioni di famiglie che non riescono a pagare bollette esorbitanti e spese condominiali, a far fronte a mutui resi più gravosi dalle scelte monetarie recessive della Bce; Vengono messi pochi soldi per lavoratori e ceti popolari solo per qualche mese contro il carovita con un bonus sociale che copre meno del 30% degli aumenti delle bollette e dei generi alimentari per chi ha fino a 15 mila euro di reddito, per gli altri poco o nulla. Dimezzati gli sconti sui carburanti. Non si calmierano i prezzi dei beni di prima necessità.

E tutto ciò avviene mentre si tagliano le tasse ai lavoratori autonomi fino a 85 mila euro di reddito che diventano fittizi perché con la flat tax anche sugli incrementi di reddito fino a 40 mila euro si supera di gran lunga questa soglia; un iniquità assurda che premia di nuovo il lavoro autonomo andando a ridurre ancora di più le tasse che paga rispetto a un lavoratore dipendente di pari reddito. Gli autonomi pagheranno il 15% contro il il 23% minimo dei dipendenti, che arrivano al 43% a 50.000 € di stipendio; si premia l’evasione fiscale con nuovi condoni e la si incentiva con il tetto del contante a 5 mila euro; si continua a non colpire gli extra profitti (vedi le aziende dell’energia), favorendo la speculazione. Tutto ciò mentre continua l’aumento delle spese militari, si continua vergognosamente a non tassare le grandi ricchezze.

Oggi più che mai, di fronte a questa manovra ferocemente classista, occorre ripetere che le destre possono essere sconfitte solo rilanciando le lotte sociali e unificando tutti i soggetti colpiti in una grande mobilitazione popolare contro questa legge finanziaria per difendere il reddito dei dipendenti, dei pensionati e dei ceti popolari; per rafforzare e riqualificare lo stato sociale e la previdenza pubblica; per investimenti significativi nella scuola e nella sanità pubbliche; per difendere il diritto delle donne alla parità in famiglia e sul lavoro. Uniamoci e mobilitiamoci!

Antonello Patta, responsabile nazionale lavoro del Prc

* Responsabile nazionale lavoro, Partito della Rifondazione Comunista – Sinistra Europea

CONTRO LA GUERRA E L’AUMENTO DELLE SPESE MILITARI, PER LA PACE E LA COSTITUZIONE

Pubblicato il 5 apr 2022

Documento approvato dal Comitato Politico Nazionale del Partito della Rifondazione Comunista sabato 2 aprile

Il Comitato politico nazionale ribadisce le posizioni espresse dalla direzione con il documento FUORI LA GUERRA DALLA STORIA. CONTRO PUTIN E LA NATO, approvato lo scorso 5 marzo. 

Diciamo no all’aumento delle spese militari condiviso da tutte le forze di governo e dalla finta opposizione di destra che compete col PD per la testa dello schieramento guerrafondaio. L’aumento al 2% della spesa militare significa sottrarre enormi risorse alla sanità, all’istruzione, alla riconversione ecologica, ai servizi sociali, alla ricerca, all’occupazione. E’ una scelta che prepara ulteriori scenari di guerra e non ha alcuna motivazione di difesa del nostro paese.

Difendiamo la Costituzione “pacifista” che ci ha lasciato in eredità la Resistenza italiana e accusiamo il governo Draghi e la stragrande maggioranza del parlamento per la palese e gravissima violazione dell’articolo 11 che sancisce il ripudio della guerra con la scelta dell’invio delle armi, delle sanzioni, della co-belligeranza e dell’aumento delle spese militari. L’Italia è di fatto entrata nel conflitto e ormai siamo dentro un’economia di guerra le conseguenze ricadranno e già stanno ricadendo sulle cassi lavoratrici e popolari.

Denunciamo la fine del tabù nucleare. Ormai l’uso delle armi nucleari è tornato nel dibattito pubblico come opzione possibile persino nelle dichiarazioni dei presidenti di Russia e Stati Uniti. Il fatto che dal 1945 non sia esplosa la guerra atomica non ne cancella la minaccia. Mai come oggi è all’ordine del giorno la rivendicazione del disarmo nucleare.

Condanniamo l’invasione russa dell’Ucraina che costituisce una aperta violazione del diritto internazionale e l’espansionismo della NATO che ha determinato un’escalation irresponsabile. Siamo contro la guerra senza se e senza ma.

Rimaniamo fedeli agli ideali internazionalisti della migliore tradizione socialista, comunista e antifascista. La lotta contro la guerra parte dalla consapevolezza, per dirla con Brecht, che “il nemico marcia alla tua testa”.

Respingiamo le accuse di essere a favore di Putin rivolte a chi cerca di fermare la spirale della guerra e critica chi la alimenta. Non nutriamo alcuna simpatia per il revanscismo nazionalista, per le logiche di potenza, per le tendenze conservatrici di Putin che ne hanno fatto un punto di riferimento per la destra italiana. Non tifiamo per gli oligarchi russi, arricchiti grazie al saccheggio delle risorse e della proprietà pubblica dell’ex-URSS, né per gli oligarchi dell’ovest.

Diciamo no all’invio di armi da parte dei paesi dell’UE e della NATO all’Ucraina. Più si inasprisce il conflitto e più aumenta il numero delle vittime.

Diciamo no alla guerra per procura tra NATO e Russia di cui la prima vittima è il popolo ucraino. Ribadiamo che non si aiutano gli ucraini sostenendo gli orientamenti nazionalisti più oltranzisti e armandoli per una prosecuzione della guerra “fino alla vittoria”. Abbiamo denunciato fin dall’inizio l’intenzione di USA, Gran Bretagna e NATO di trasformare l’Ucraina in un nuovo Afghanistan. E’ evidente il palese impegno di USA e Gran Bretagna nell’ostacolare il negoziato e allontanare una soluzione pacifica del conflitto, come precedentemente nella delegittimazione degli accordi di Minsk.

Il riconoscimento del diritto dello stato ucraino alla difesa dall’invasione non implicava la rinuncia a svolgere un ruolo di mediazione da parte dell’UE e della stessa Italia con la scelta della co-belligeranza. Rivendichiamo il diritto di criticare le caratteristiche del nazionalismo ucraino, la riabilitazione dei criminali filonazisti come Stepan Bandera diventati eroi nazionali, le politiche discriminatorie, l’aggressione alle repubbliche di Donetsk e Lugansk, il mancato rispetto degli accordi di Minsk.

Rivendichiamo la nostra partecipazione alle carovane e alla solidarietà antifascista e internazionalista verso le popolazioni del Donbass e alla lotta contro i neonazisti ucraini responsabili di stragi atroci, a partire da quella di Odessa. Contro ogni revisionismo, denunciamo il silenzio complice della Ue sul coinvolgimento di forze neonaziste nel processo iniziato con Euromaidan nel 2014. Il rispetto della volontà popolare e dei diritti delle popolazioni russofone – attraverso il riconoscimento delle Repubbliche di Donesk e Lugansk o l’autonomia prevista dagli accordi di Minsk – avrebbe prevenuto la strumentale aggressione militare da parte del governo russo. La garanzia di un’Ucraina neutrale al di fuori della NATO avrebbe probabilmente evitato l’escalation.

Non facciamo analogie con il 1939 perchè la reductio ad hitlerum serve a chiudere lo spazio del dialogo e della trattativa indispensabili per costruire la pace. Quanto sta accadendo ricorda sempre più il 1914. Il mondo è sull’orlo della terza guerra mondiale.

La nuova guerra fredda con cui gli USA rispondono alla crisi della propria egemonia economica e politica planetaria sta diventando sempre più “calda”. L’Unione Europea ha finora scelto la subordinazione nel ricompattato blocco occidentale a guida USA con la scelta del riarmo nonostante una spesa già enormemente superiore a quella di Russia e Cina.

Siamo per l’uscita dalla NATO e il suo scioglimento. La NATO ha da tempo abbandonato ogni profilo “difensivo” assumendo il ruolo di forza militare globale ed è diventata un fattore di destabilizzazione.

Non ci arruoliamo e non mettiamo l’elmetto in testa. Restiamo umani. Rifiutiamo la propaganda di guerra, l’isteria bellicista, l’indecente ondata di russofobia, le ricostruzioni manichee.

Siamo al fianco di chi lotta per la pace in Russia e Ucraina, siamo contro la repressione del dissenso in Russia e in Ucraina. Siamo dalla parte delle vittime e dei popoli trascinati dentro la spirale della guerra.

Chiediamo un’accoglienza senza discriminazioni. L’invasione dell’Ucraina, così come tutti i conflitti di questo secolo, ha colpito soprattutto le popolazioni civili e costretto alla fuga chi non vuole o non può combattere. Ad oggi sono oltre 4 milioni i profughi, per lo più rimasti nei paesi confinanti in attesa di poter rientrare. Quasi 80 mila quelli giunti in Italia, al 90% donne e bambini. Due sono le considerazioni da fare: l’evacuazione è stata, nonostante i bombardamenti, resa possibile dall’applicazione per la prima volta da 21 anni della direttiva europea 55/2001 che consente di entrare in UE e ottenere una protezione valida fino a 2 anni, avere diritto all’assistenza sanitaria, all’istruzione, a poter lavorare, senza dover affrontare una complessa trafila burocratica. Una direttiva che non è stata applicata per nessun conflitto e che, per imposizione del gruppo Visegrad, non riguarderà coloro che fuggono dall’Ucraina ma non ne sono cittadini, in particolare studenti e persone che vi lavorano. L’applicazione della direttiva risale al 3 marzo, solo il 28 il Consiglio d’Europa ha deciso di fornire anche un minimo di sostegno economico ai profughi e il trasporto gratuito per chi vuole raggiungere un altro Paese europeo. La seconda considerazione riguarda l’Italia. Il Dpcm che ha recepito la direttiva è giunto solo il 31 marzo. Ad oggi il ministero dell’Interno ha garantito solo 13 mila posti per chi arriva, molte persone arrivate hanno trovato sostegno fra la comunità ucraina in Italia, la più grande d’Europa e fra le famiglie. Sono state fatte promesse ma, per l’ennesima volta, questo si dimostra un governo cialtrone e ipocrita, capace di trovare in poche ore centinaia di milioni per gli armamenti ma non di trovare le risorse per poche decine di migliaia di donne e bambini. Il tutto in un contesto che vede sempre più deprivarsi i diritti di chi giunge da altri paesi e da altre guerre in cui il colore della pelle di chi fugge è diverso. Rifiutiamo ogni trattamento differenziato e discriminatorio. Lavoriamo per una solidarietà e un’accoglienza per tutte/i.

Le classi popolari già stanno pagando il costo della guerra che aggiunge un nuovo disastroso fattore alla crescita del carovita con l’aumento delle bollette, del prezzo della benzina, dell’inflazione. La guerra viene usata dalla nostra classe dirigente anche per mettere in discussione la transizione ecologica con il ritorno al carbone e lo sblocco di progetti bloccati dalle lotte ambientaliste.

Bisogna coniugare la lotta per la pace a quella per la difesa delle condizioni di vita delle classi popolari e lavoratrici. La nostra campagna sociale va intrecciata con la mobilitazione contro la guerra. Vanno promossi in tutti i territori comitati contro la guerra, le spese militari e il carovita. Sosteniamo la petizione no alle spese militari.

Lavoriamo per lo sviluppo del movimento per la pace in Italia e in Europa su poche ma chiare discriminanti. Il successo della manifestazione convocata da Gkn, la convergenza con i Fridays For Future e ampie aree di movimento, è un segnale importante nella direzione giusta. Le posizioni di Cgil, Anpi, Arci, associazionismo pacifista segnalano – come i sondaggi – l’incrinatura del consenso verso le scelte del governo del PD e del governo.

Proponiamo a tutte le organizzazioni sindacali di rispondere alle scelte del governo con lo sciopero generale contro la guerra e l’aumento delle spese militari, per il blocco di tutti gli aumenti dei prezzi e delle bollette, consistenti aumenti salariali, il ripristino di meccanismi di difesa dall’inflazione per salari e pensioni, il contrasto ai licenziamenti, alla precarietà e al ripristino della Fornero, la richiesta di investimenti per la buona e piena occupazione, anche attraverso la riduzione dell’orario di lavoro a parità di salario, nella riconversione ecologica delle produzioni e nel rilancio della sanità, della scuola, delle politiche per il diritto all’abitare, per i diritti sociali. Ci impegniamo a far crescere, dentro e fuori le organizzazioni sindacali, la parola d’ordine dello sciopero generale.

La guerra non ha fatto che confermare la necessità della costruzione di uno schieramento, di una coalizione sociale e politica, di alternativa alle forze politiche neoliberiste e guerrafondaie.

Riaffermiamo la linea uscita dal congresso anche in relazione alle prossime elezioni amministrative in cui tutto il partito è impegnato nella costruzione di liste e/o coalizioni alternative ai poli esistenti.

Lavoriamo per la convergenza dei movimenti, il rapporto unitario con le altre formazioni della sinistra, l’interlocuzione con tutte le aree della sinistra sociale e politica nella costruzione dell’opposizione, l’apertura del dibattito a livello nazionale a partire dagli appelli (per la sinistra, rossoverde, dei lavoratori) che in queste settimane hanno espresso un orientamento che va nella direzione da noi ampiamente condivisa. La nascita della componente Manifesta alla Camera è un passo positivo nella direzione che auspichiamo e per cui siamo attivamente impegnati.

Di fronte alla gravità dei fatti che stanno accadendo è giunto il tempo di costruire uno schieramento, una forza plurale, un movimento che si proponga al paese come alternativa al neoliberismo e alla guerra.

Firma la petizione. No agli aumenti delle spese militari!

31 marzo 2022

Paolo Ferrero

Ciao, vi invito a firmare e a far girare questa petizione contro l’aumento delle spese militari lanciata dal Comitato Pinerolese contro la guerra, le spese militari e il carovita.

Al Parlamento italiano

Petizione lanciata dal Comitato pinerolese contro la guerra, le spese militari e il carovita.

La scelta di portare la spesa militare da 25 a 38 miliardi di euro – immediata o spalmata negli anni che sia – è completamente sbagliata e dannosa per il popolo italiano. 

Si tratta di una somma enorme, destinata a ripetersi negli anni, che toglie risorse alla spesa sociale. Da notare che il risparmio che lo stato ottiene con la sciagurata Legge Fornero – che manda la gente in pensione a 70 anni e produce milioni di giovani disoccupati – è meno di 8 miliardi all’anno. In pratica, se non aumentassimo la spesa militare, potremmo portare le pensioni a 60 anni, fare una vera assistenza per le persone non autosufficienti, migliorare il reddito di cittadinanza per i disoccupati, rendendola una misura stabile ed universale, aumentare la spesa per la sanità e l’istruzione pubblica. Con 13 miliardi di euro si possono fare un mucchio di buone cose mentre le spese militari possono solo portare morte e distruzione.

In secondo luogo questi soldi prima o poi dovremo restituirli. E’ assurdo buttare dalla finestra 13 miliardi di euro per poi, nei prossimi anni, essere nuovamente obbligati a fare sacrifici per restituire i soldi con cui il governo vuole comprare armi.

L’Italia non deve comprare armi per fare guerre offensive vietate dalla Costituzione. Queste spese servono solo a finanziare il complesso militare-industriale che produce pochi posti di lavoro, lauti profitti per gli azionisti e grandi benefit per i politici riciclati a dirigere queste imprese. Bene che vada sono uno spreco, male che vada un danno.

Per questo chiediamo che il governo italiano:

– Tagli le spese militari invece di aumentarle.

– Riduca le tariffe del gas e blocchi i prezzi dei generi alimentari di largo consumo.

– Reintroduca la scala mobile, aumenti le pensioni al di sotto dei mille euro e introduca il salario minimo a 10 euro l’ora.

– Si adoperi per l’immediato cessate il fuoco, per la pace, per la trattativa tra le parti e cessi subito la fornitura di armi in Ucraina.

Il Comitato pinerolese contro la guerra, le spese militari e il carovita. 

Clicca sul link:

https://chng.it/7FTw4wbC6m

Contro l’aumento delle spese militari serve la mobilitazione popolare

31 Marzo 2022

PAOLO FERRERO

La scelta del governo italiano di portare la spesa militare da 25 a 38 miliardi di euro è completamente sbagliata e dannosa per il popolo italiano.

In primo luogo perché si tratta di un mucchio di soldi sprecati. Stiamo parlando di una spesa che è destinata a ripetersi ogni anno e che equivale quasi ad un punto di PIL. Una cifra enorme che con ogni evidenza viene tolta alla spesa sociale. Faccio notare che il risparmio annuale che lo stato ottiene con la sciagurata legge Fornero che manda la gente in pensione e 70 anni e produce milioni di giovani disoccupati, è meno di 8 miliardi.

In pratica se non aumentassimo la spesa militare potremmo portare le pensioni a 60 anni, fare una vera assistenza per gli anziani non autosufficienti, migliorare il reddito di cittadinanza per i disoccupati rendendola una misura stabile e universale, aumentare la spesa per la sanità e l’istruzione pubblica.

Con 13 miliardi all’anno si possono fare un mucchio di buone cose.

Invece il governo sceglie le spese militari che possono solo portare morte e distruzione.

In secondo luogo perché questi soldi prima o poi dovremmo restituirli. Com’è noto Draghi è stato messo a fare il presidente del Consiglio perché doveva garantire l’Europa e i poteri forti sulla spesa dei 200 miliardi arrivati dall’Europa. Draghi ha fatto il suo lavoro usando questi soldi non per sviluppare lo stato sociale ma per finanziare – senza vincoli – il sistema delle imprese. Adesso sta continuando nel suo lavoro con l’aumento delle spese militari. Mentre negli anni scorsi il Draghi presidente della BCE continuava a predicare ed imporre sacrifici, il Draghi Presidente del Consiglio ha speso come se non ci fossero problemi. Ma tutti sappiamo che i due terzi dei soldi che Draghi ha speso saranno da restituire. Non è pensabile che adesso buttiamo dalla finestra 13 miliardi di euro per le spese militari e poi nei prossimi anni ci verranno a dire che dobbiamo nuovamente fare i sacrifici perché dobbiamo restituire i soldi con cui abbiamo comprato armi…

In terzo luogo è del tutto evidente che con la guerra e le sanzioni boomerang che i governi della NATO hanno fatto, l’economia italiana crescerà molto di meno di quanto previsto. Quindi il rapporto deficit PIL è destinato a peggiorare e tra breve i rigoristi dell’unione europea ci porranno nuovamente il problema di tagliare.

Da ultimo queste spese militari sono in larga parte inutili anche sul piano strettamente militare: Non siamo una potenza nucleare, non siamo in grado di sviluppare tecnologie in grado di mettere fuori gioco gli armamenti altrui (come i missili ipersonici russi che faranno rottamare miliardi di difese antimissile della NATO) e non dovremmo fare guerre offensive che sono palesemente vietate dalla Costituzione del nostro paese. Per difendere il suolo patrio servirebbe un serio programma sulla difesa popolare che poco o nulla ha a che vedere con il nostro esercito inquadrato nella NATO e con queste spese militari miliardarie. Queste spese servono solo a finanziare il complesso militare industriale che produce pochi posti di lavoro, lauti profitti per gli azionisti e grandi benefit per i politici riciclati a dirigere queste imprese. Bene che vada sono uno spreco, male che vada un danno.

L’aumento delle spese militari non si deve fare perché è una misura contro il popolo italiano: bisogna tagliare la spesa militare e non aumentarla!

Draghi, forte dell’appoggio del sodale Mattarella ha detto che sarebbe andato avanti. Conti, che da premier ha impegnato i suoi Governi con la Nato a raggiungere una spesa militare pari al 2% del Pil – e che anche nel primo anno della pandemia ha aumentato i fondi per la difesa – adesso dice che è contrario.

Conti ha quindi messo in campo un comportamento altalenante, tipico di quella furbizia, di quella demagogia politica contro cui era nato il movimento cinque stelle. Altri tempi…..

Non possiamo quindi affidarci ai nostri governanti, che o hanno l’elmetto in testa oppure sono così ondivaghi da risultare meno credibili di un ubriaco.

L’unica strada è quella che il popolo italiano, che nella sua maggioranza è totalmente contrario all’aumento delle spese militari, faccia sentire la sua voce, in modo che il governo e il parlamento ne debbano tener conto.

Ieri a Napoli Draghi è stato contestato.

Costruire la mobilitazione in tutta Italia contro questo scempio dell’aumento delle spese militari non solo è giusto: è un vero e proprio dovere civile di ogni cittadino responsabile.

Pubblicato sul mio blog sul fatto

50 PREMI NOBEL CHIEDONO TAGLIO SPESE MILITARI, GOVERNO DRAGHI LE AUMENTA

5 Gennaio 2022

La spesa militare globale è raddoppiata negli ultimi venti anni ed ha quasi raggiunto i 2000 miliardi di dollari. Una follia mentre milioni di persone muoiono di fame e malattie e si nega accoglienza a chi fugge da guerre.

Per questo 50 premi Nobel hanno firmato un appello rivolto ai governi del mondo per ridurre del 2% le spese militari e destinare le risorse così risparmiate nella risoluzione dei gravi problemi che affliggono l’umanità: pandemie, crisi climatica, povertà estrema.

Sosteniamo l’appello di assoluto buonsenso dei 50 Nobel ma dobbiamo denunciare che il governo italiano fa l’esatto contrario e continua a aumentare le spese militari.

Il nostro governo è un fedele esecutore delle direttive della Nato e gli USA che sempre più si configurano come una minaccia per la pace, il motore della corsa agli armamenti (anche nucleare).

Secondo il Sipri di Stoccolma l’80,4% del mercato mondiale delle armi e dei sistemi d’arma è controllato da multinazionali del blocco euro-atlantico (più paesi alleati Israele, Turchia ed Emirati Arabi).

Non solo, l’internazionalizzazione della filiera industriale militare che coinvolge decine di paesi nel mondo è sempre legata alle multinazionali e governi di cui sopra.

Se è vero che la spesa militare cinese (1,4 mld. di persone) è seconda a quella statunitense (330 milioni di persone) è pur vero che essa non comprende basi, flotte e interventi armati in ogni angolo del pianeta.

La responsabilità per la trentennale guerra mondiale a pezzi che stiamo vivendo (e relativa corsa agli armamenti) è quasi esclusivamente una responsabilità euroatlantica: Stati Uniti, Europa, Nato e relativi alleati strategici.

Non è un caso che Julian Assange, che ha denunciato i crimini di guerra, sia prigioniero delle “democrazie” occidentali e rischi di passare il resto della sua vita in un carcere statunitense.

Non ci stanchiamo di esigere il taglio delle spese militari e la liberazione di Julian Assange.

Anche in questo caso il governo italiano non ascolta appelli di Nobel come Adolfo Perez Esquivel.

Una concreta politica di disarmo globale e distensione non può che partire da una chiara presa di coscienza delle responsabilità di guerra del blocco euro-atlantico.

Anche per rilanciare la lotta per la pace c’è bisogno di uno schieramento alternativo ai poli esistenti.

Maurizio Acerbo, segretario nazionale e Gregorio Piccin, responsabile pace del Partito della Rifondazione Comunista – Sinistra Europea

Marcia della Pace Perugia-Assisi 2021. L’Italia è un Paese belligerante da trent’anni.

Marcia della Pace Perugia-Assisi 2021

L’Italia è un Paese belligerante da trent’anni.

É  secondo per soldati e mezzi inviati all’estero nelle missioni Nato dopo gli Stati Uniti.
È nono nella “top ten” mondiale per produzione di armi e sistemi d’arma.
È il quinto avamposto militare statunitense a livello globale.

I nostri porti sono un nodo strategico nella logistica dei trasferimenti di armamenti mentre Camp Darby, che si serve del porto di Livorno, è il più grande arsenale statunitense al di fuori dai confini della madre patria.

La nostra spesa militare si attesta tra i 70/80 milioni di euro al giorno in costante aumento.

In trent’anni abbiamo accumulato pesantissime responsabilità di guerra.

L’Italia non ha bisogno della Nato e dei suoi nemici inventati, delle basi e delle bombe nucleari statunitensi né di un esercito professionale concepito per l’offesa.

Servono risorse per la sanità pubblica, per la scuola, per i trasporti, per il reddito.

Ridurre le spese militari
Cambiare modello di Difesa
Uscire dalla Nato.

Andrea Ferroni, coordinatore Gc e segr. Fed. Perugia
Gregorio Piccin Responsabile Nazionale Pace