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RIFONDAZIONE: SALVINI PROSEGUE ATTACCO A DIRITTO DI SCIOPERO. ESIBIZIONISMO AUTORITARIO CONTRO COSTITUZIONE

15 Dicembre 2023

Rifondazione Comunista denuncia il nuovo attacco al diritto di sciopero da parte del ministro Salvini che con un’ordinanza immotivata ha ridotto a quattro ore lo sciopero di 24 ore del trasporto pubblico locale indetto per venerdì 15 dicembre dai sindacati di base. La decisione del ministro è un atto assolutamente arbitrario visto che la competente Commissione di garanzia non aveva posto problemi allo svolgimento dello sciopero.
L’esibizionismo autoritario di Salvini è un atto di intimidazione verso lavoratrici e lavoratori che segue alla precettazione in occasione dello sciopero di CGIL e Uil.
Questo governo sta portando avanti un attacco esplicito al diritto di sciopero sancito dalla Costituzione nata dalla Resistenza.
L’Unione Sindacale di Base (USB) ha annunciato di voler disobbedire all’ordinanza di Salvini, confermando lo sciopero per l’intera giornata e annunciando un ricorso al TAR e altre azioni legali. Si tratta di una scelta coraggiosa perché la violazione dell’ordinanza prevede sanzioni fino a 1000 euro per scioperanti e ancor più pesanti per le organizzazioni sindacali promotrici da 2.500 a 50.000 euro.

Rifondazione Comunista sostiene la scelta dell’USB e auspica la costruzione di un ampio fronte sindacale e democratico contro l’attacco al diritto di sciopero sancito dalla Costituzione. C’è bisogno di una risposta forte alla protervia della destra fascioleghista che da un lato assume misure antipopolari che colpiscono i redditi, i diritti e i servizi pubblici e dall’altro reprime le lotte per cancellare le voci che smascherano quelle politiche.

Maurizio Acerbo, segretario nazionale, Antonello Patta, responsabile nazionale lavoro
Partito della rifondazione Comunista/Sinistra Europea

LA SICUREZZA COME BENE COMUNE

30 Marzo 2023

Da diversi anni il tema della sicurezza viene sempre di più percepito dai cittadini come un argomento cruciale e di primaria importanza. La destra italiana ha reso questo tema il suo cavallo di battaglia, e lo affronta quotidianamente in maniera demagogica e qualunquista, senza proporre soluzioni concrete nel lungo periodo. Eppure, un problema reale, serio, richiederebbe un’analisi molto più profonda rispetto ai semplici slogan triti e ritriti.

A Mortara ci sono stati due omicidi nell’arco di tre mesi e sono quasi all’ordine del giorno episodi di spaccio, furti, truffe nei confronti dei più anziani e risse in stazione, nelle campagne e nel centro cittadino. Tante persone hanno paura di uscire alla sera perché non vogliono incontrare individui molesti o comunque poco raccomandabili. Oltre a veder crescere episodi di piccola e grande criminalità, sono aumentate le dipendenze da sostanze e da gioco d’azzardo, gli incendi dolosi e i vandalismi. Il timore che la lunga mano delle organizzazioni mafiose si sia estesa anche da noi è diventato ormai una certezza.

Diffondere l’idea che Mortara non è una città sicura è senza dubbio dannoso per tutti, e non sarebbe nemmeno corretto affermarlo. Al tempo stesso, però, non si può considerare normale un contesto in cui si verificano tutti questi episodi, e dove le persone hanno paura a uscire di casa alla sera.

Come Partito della Rifondazione Comunista, dall’opposizione, abbiamo sempre messo al centro della nostra azione politica temi che stanno a cuore a tutti i lavoratori, i pensionati e gli studenti mortaresi: l’ambiente (Bertè, fanghi ecc.), la cultura (difesa della gratuità delle sale comunali), i trasporti e la viabilità (raddoppio Mi.Mo.Al), il diritto ad abitare e alla salute (sanità pubblica e case popolari), e numerosi altri argomenti.

In queste righe vogliamo affrontare un tema altrettanto sentito dai cittadini: la sicurezza

Innanzitutto, fissiamo subito alcuni concetti. La sicurezza è un bene comune, essenziale allo sviluppo, mentre l’insicurezza mina l’accesso ad altri beni comuni, quali il lavoro, l’educazione, la giustizia, la sanità, la qualità dell’ambiente.

La criminalità minaccia la qualità della vita dei lavoratori, dei pensionati, degli studenti e dei cittadini tutti, costituisce un trauma per le vittime e indebolisce il ruolo dell’associazionismo e la vitalità civica.

La sicurezza urbana intesa come diritto di poter usufruire liberamente dei beni comuni e degli spazi cittadini senza correre il rischio di subire un furto o di subire molestie, deve andare a braccetto con altre forme di sicurezza, tra cui la sicurezza sul luogo di lavoro, la sicurezza di un salario adeguato, la sicurezza nell’avere una casa, la sicurezza di poter accedere liberamente a cure mediche e psicologiche e la sicurezza di poter vivere in un ambiente sano. Tutte queste forme di sicurezza, che sembrano non avere nulla a che fare l’una con l’altra, sono per la verità inscindibili, e hanno molte più cose in comune di quel che si possa pensare.

Non può esistere, infatti, una lotta efficace contro la microcriminalità senza una cultura della legalità e senza contrastare la povertà da cui la microcriminalità nasce. Infatti, se alcune persone, italiane e straniere, compiono furti, oppure si dedicano allo spaccio di droghe, ciò avviene perché sono portate a farlo dalle condizioni economiche e sociali marginali in cui sono cresciute, dal contesto familiare e scolastico da cui provengono.

Da qui l’esigenza di riportare “i margini al centro”, perché la sicurezza non si può ottenere solo con più telecamere o con più forze dell’ordine in città, non si può ottenere solo con il ripristino della Polfer o con più personale in stazione. Senz’altro potrebbero essere soluzioni utili nel breve periodo, ma nel lungo periodo è necessario andare alle radici del fenomeno e affrontare le vere cause, economiche e sociali, che conducono le persone verso la devianza e la delinquenza.

Nel caso specifico degli stranieri, che vengono strumentalizzati e accusati dalla destra di essere la causa di tutti i mali dell’Italia, un concetto che va messo bene in chiaro è che l’accoglienza senza un sistema di integrazione efficace non ha senso di esistere.

Un’accoglienza fine a sé stessa, senza la garanzia per chi arriva di poter uscire dalla povertà, di ottenere un lavoro ben retribuito, di accedere liberamente all’istruzione e alle cure mediche e psicologiche, non ha senso di esistere. Eppure, noi in Italia ci ritroviamo proprio in una situazione di questo tipo: si accoglie senza essere in grado di integrare efficacemente e poi ci si stupisce se qualcuno è portato a scegliere la strada più facile, ovvero la delinquenza e lo spaccio.

Dal momento che siamo tutti umani, siamo tutti compagni o siamo tutti fratelli, e visto che abbiamo vissuto anche noi italiani nella nostra storia situazioni in cui ci siamo ritrovati ad essere migranti, la soluzione razionale non è respingere le persone alle frontiere, bensì regolamentare i flussi migratori (superando la legge Bossi-Fini, il memorandum Italia-Libia e i decreti Minniti prima e Salvini poi) e costruire un sistema veramente adeguato che preveda la possibilità di un’integrazione efficace, magari facendoci aiutare anche dai nostri partner europei.

Nel lungo periodo costerebbe sicuramente meno di quanto spendiamo oggi per affrontare le conseguenze della mancata integrazione.

A Mortara la nostra battaglia affinché il Centro Provinciale di Istruzione Adulti ottenesse una collocazione stabile non è mai stata una battaglia ideologica, bensì voleva essere un primo passo per costruire quei percorsi efficaci di integrazione necessari per tutti i nuovi arrivati nella nostra città. Un altro importante passo per un’integrazione efficace potrebbe essere quello di tradurre in altre lingue (francese, arabo, albanese, cinese ecc.) gli avvisi pubblici presenti in città e che vengono distribuiti casa per casa.

Una riflessione ulteriore, poi, si deve porre sul fatto che, se è vero che esistono gli spacciatori, è vero anche che esiste chi consuma le sostanze. E forse non si dovrebbero chiudere gli occhi su questo, perché chi fa uso di droga è spesso (anche a nostra insaputa) nostro figlio, il nostro migliore amico o il nostro vicino di casa. L’insicurezza in tutte le sue forme, il senso di solitudine, la precarietà, l’individualismo sfrenato, la dinamicità e la frenesia che appartengono alla vita di tutti i giorni portano molte persone, italiane e non, a trovare rifugio nelle dipendenze: c’è chi fuma, c’è chi si droga, c’è chi beve, c’è chi gioca d’azzardo e poi c’è chi si isola completamente dal resto del mondo. L’abuso di alcol è la prima causa di morte fra i giovani, e due italiani su tre sopra gli 11 anni consumano bevande alcoliche. Si tratta di circa 40 milioni di persone, e tra questi più di un quarto bevono alcolici ogni giorno. Molti sono i cosiddetti “binge-drinkers”, che consumano anche più di sei bicchieri di bevanda alcolica in un’unica occasione.

È sempre più frequente vedere ragazzi di 12 o 13 anni fumare sigarette di ogni tipo. A Mortara vengono spesi ogni anno più di 50 milioni di euro nel gioco d’azzardo. È in costante aumento pure l’uso di droghe tra gli adolescenti. I servizi pubblici e le comunità terapeutiche, però, non sono in grado di intercettare questo bisogno inespresso, e sempre più sommerso, delle dipendenze giovanili. Il mercato degli stupefacenti è cambiato, diventando sempre più capillare sul territorio, con costi delle droghe sempre più bassi e dall’inizio dell’epidemia Covid con una nuova forma di approvvigionamento, quella dei siti web.

I servizi territoriali che cercano di affrontare queste situazioni hanno sempre meno fondi e su questi temi, che pure sono cruciali e di cui nel dibattito pubblico non si parla abbastanza, la prevenzione, che è necessaria, di fatto non esiste. Sono poche anche le forme di contrasto alla solitudine, che interessa tutti, ma che riguarda soprattutto le persone più anziane, spesso vittime di truffe di non poco conto.

La domanda dei cittadini è semplice: poter continuare a vivere in una città sicura, dove anche i nostri figli e nipoti possano muoversi e incontrarsi senza rischi.

La risposta che le istituzioni sono tenute a dare è più difficile: far sì che le piazze e le strade di Mortara continuino ad essere luoghi di incontro sani, e sviluppare nuovi spazi di aggregazione, di socialità e di coesione sociale e culturale.

Ogni atto che crea insicurezza, infatti, costringe le persone a rimanere in casa, aumenta la solitudine e l’esclusione sociale, amplia le paure e il rifugio nelle dipendenze, e si entra in un circolo vizioso.

La soluzione migliore per affrontare concretamente e nel lungo periodo il tema della sicurezza è di andare alla radice del problema, come si diceva prima, oppure (che è la stessa cosa) “rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale”, come afferma l’articolo 3 della nostra Costituzione.

Massimiliano Farrell
Giovani Comunisti/e Partito della Rifondazione Comunista di Mortara

Nel “Giorno della Memoria” diciamo No a tutti i fascismi vecchi e nuovi

Pubblicato il 27 gen 2023

Rita Scapinelli*

Nel “ giorno della memoria”, istituito dal Parlamento italiano, all’unanimità, con la legge n.211 del 20 luglio 2000 ricordiamo i sei milioni di ebrei sterminati nei campi di concentramento, le persecuzioni subite e le deportazioni di massa che hanno riguardato anche militari e politici italiani invisi al regime, sinti e rom, omosessuali, disabili e “asociali”, nei lager nazisti: tutte vittime di una ideologia nefasta e irrazionale alla base di un regime dittatoriale che aveva annullato ogni forma di democrazia.

Il 27 gennaio vuole ricordare da un lato la follia e insieme la lucidità del sistema di sterminio messo a punto dai nazisti con la collaborazione attiva dei fascisti italiani, dall’altro però anche l’umanità e il coraggio di quanti si opposero allo sciagurato progetto, protessero i perseguitati e salvarono molte vite.

Ma, mentre partecipiamo alle iniziative e alle celebrazioni che da diverse parti si tengono, mossi dal dovere della memoria, ci chiediamo perché sia potuto accadere tutto questo, con quale inaccettabile motivazione, in tante e tanti siano stati artefici o complici di crimini di tale dimensione.

Nel libro “Dodicesima Disposizione”, curato dal Dipartimento Antifascismo del nostro partito, si dedica un capitolo all’alleanza di Mussolini con Hitler, all’antisemitismo alla promulgazione delle leggi razziali: si dice che i due movimenti, nazismo e fascismo, erano accomunati dal nazionalismo, l’anticomunismo, il disprezzo per la democrazia, l’uso della violenza e il razzismo, la costruzione di capri espiatori su cui riversare il fallimento e i danni della crisi del 1929, la guerra e lo sterminio scientificamente pianificato degli oppositori, come soluzione finale. Emblematica è l’assurdità delle leggi razziali, una serie di norme discriminatorie nei confronti degli ebrei che a partire dal 1938 vennero promulgate ricalcando le leggi razziali naziste di Hitler del 1935, e che hanno realizzato una delle pagine più buie della storia italiana in Italia. Ci si inventò la “razza ebraica” come nemica del popolo italiano, e per questo fu pubblicato il famigerato “Manifesto della Razza” in cui si esalta il concetto di purezza ariana da preservare con ogni mezzo. Nel manifesto, con farneticazioni di ogni genere , si afferma l’esistenza di una fantomatica identità razziale italiana (anche un paese frutto di infinite mescolanze viene dichiarato “ariano”) e si incitano gli italiani a proclamarsi “francamente razzisti” . Il dramma è che questo testo, riportato integralmente nel nostro libro, fu sottoscritto da oltre 360 accademici ed intellettuali tra i quali anche cattolici, docenti universitari, pediatri, giuristi. Scriviamo, nel libro, che mai la cultura e la scienza italiane erano cadute così in basso.

A sostegno delle teorie folli esplicitate, nacque inoltre una rivista dichiaratamente antisemita “La difesa della razza” il cui segretario di Redazione era Giorgio Almirante futuro leader del Movimento Sociale partito formato da nostalgici del fascismo ed ex repubblichini nato poco dopo la Liberazione. L’MSI entra in Parlamento nel 1948 e vi resta fino al 1995 quando dal suo scioglimento si forma Alleanza Nazionale che porterà poi a Fratelli d’Italia. Mi sembra doveroso qui ricordare che FdI, che, dopo le ultime elezioni politiche, esprime la presidente del governo e diversi ministri, non ha mai rinnegato le proprie origini e mantiene ancora nel suo simbolo la fiamma tricolore simbolo inventato dai reduci della Repubblica di Salò quando fondarono l’MSI. 

A supporto di ciò, Ignazio “Benito” La Russa, Presidente del Senato, e Isabella Rauti, sottosegretaria alla Difesa, figlia di Pino Rauti, personaggio al centro delle trame nere degli anni Settanta, ricordano sui social il 76° anniversario della nascita del MSI con le parole “Onore ai fondatori e ai militanti missini” ben sapendo che il Movimento Sociale si poneva in continuità ideologica con la Repubblica Sociale di Salò.

Con che coraggio quindi eredi morali del disciolto partito fascista, esponenti di un partito definito posfascista possono rappresentare le istituzioni democratiche nelle celebrazioni della Giornata della Memoria?

Con che coraggio hanno giurato fedeltà alla Costituzione nata dalla Resistenza contro il fascismo, e basata su valori assolutamente antifascisti e quindi anche antirazzisti?

Per anni abbiamo fatto parlare i testimoni della Shoah e del Porrajmos, quando questi volevano o riuscivano a parlare, ora non possiamo lasciare che tutto venga dimenticato, perché conoscere la storia è necessario per poter combattere nuove forme di fascismo non così apertamente riconoscibili in quanto non potranno ripresentarsi con le stesse modalità. I neofascisti di oggi, hanno sostituito i migranti ai “diversi” da opprimere nel secolo scorso, praticano un razzismo simile a quello dei propri avi, sognano un’artificiale “comunità nazionale”, in contrapposizione al rischio della mondializzazione e della immaginaria “sostituzione etnica” con cui si giustificano politiche criminali contro chi fugge verso l’Europa. Sono tante le similitudini e le differenze su cui siamo chiamati a ragionare, per evitare che fra passato e presente si realizzi una pericolosa continuità.

Le parole d’ordine “devi ricordare”, “la memoria è un dovere” perché “senza memoria le generazioni non hanno futuro” non devono essere parole vuote, dobbiamo fare i conti anche con le dimenticanze e i silenzi colpevoli di questi anni.

Finita la guerra con la Liberazione inizia un periodo nel quale anziché processare e condannare i fascisti responsabili di tanti crimini, in nome di una pacificazione e di un tentativo di ripristinare un ordine democratico nel paese non si procede a nessuna epurazione, anzi, prefetti, vertici militari, personale dei Ministeri, giudici che avevano operato durante il regime fascista vengono ricollocati ai loro posti.

Inizia invece un processo alla Resistenza, forse per il fatto che la maggior parte dei partigiani era comunista, e si cerca di mettere sullo stesso piano le diverse parti in lotta.

È evidente invece che in quel periodo drammatico ci fu chi percepì con chiarezza il senso della giustizia, della lotta per la democrazia guardando ad ideali più alti perdendo la vita nella Resistenza, mentre altri, spesso per scelta, non vollero opporsi e battersi contro la barbarie nazi-fascista, o non osarono farlo per viltà o timore. Non può essere messo sullo stesso piano chi ha combattuto per la democrazia e la libertà e chi invece ha combattuto a favore di una dittatura responsabile di anni di terrore e crimini nei confronti di una parte dell’umanità. Non ci può essere nessuna assoluzione per chi stette dalla parte dei fascisti e dei nazisti e nessun tentativo di revisionismo storico può e deve essere accettato.

Ed è ancor meno accettabile che, nel tentativo di giustificare il silenzio sui crimini fascisti, si sia voluto equiparare il fascismo al comunismo, come nella risoluzione del Parlamento europeo del 19 settembre, 2019 nella ricorrenza degli 80 anni dalla seconda Guerra mondiale. Oppure, come ha fatto recentemente, il ministro dell’Istruzione e del “Merito” , con una lettera agli studenti di tutte le scuole di ogni ordine e grado, si parla di totalitarismo del Comunismo dimenticandosi e volendo far dimenticare, che in Italia il termine totalitarismo è stato coniato per descrivere il fascismo mentre i comunisti il fascismo lo hanno combattuto ed hanno contribuito, insieme ad altre forze politiche democratiche, dopo il 25 aprile, a ricostruire la democrazia in Italia, andando oltre le appartenenze. Insieme hanno scritto la Costituzione che porta la firma in calce di Umberto Terracini, antifascista comunista. Quella Costituzione composta da una serie di articoli in cui si afferma l’esatto contrario di tutto ciò che stava alla base del fascismo. I padri e le madri costituenti avevano vissuto sulla propria pelle la tragedia del regime fascista e, con la scrittura di questo testo, si prefiggevano l’obiettivo di cancellare per sempre la possibilità di un ritorno di questa ideologia criminale.

Quella Costituzione mai applicata del tutto e spesso non rispettata. Ne è un esempio la mancata applicazione dell’articolo 11, “L’Italia ripudia la guerra……come mezzo di di risoluzione delle controversie internazionali…” quando il Parlamento italiano vota e rivota l’invio delle armi all’Ucraina divenendo così paese cobelligerante.

Occorre oggi un rinnovato impegno rivolto alla difesa della nostra Costituzione di fronte ai tentativi di modificarla col fine di renderla meno vincolante per chi fa del liberismo la sua bandiera: presidenzialismo, autonomia differenziata, smantellamento dello stato sociale, sono tutti tentativi di modificare il carattere sociale e antifascista della Costituzione italiana.

Fare fronte comune per la difesa della Costituzione, è il modo migliore per celebrare la Giornata della Memoria.

*Responsabile nazionale Antifascismo PRC-SE