Tag: Rifondazione Comunista

Democratiche le bombe, identiche le tragedie.

GIOVANI COMUNISTI/E

Tornano le bombe e piovono sulla Siria.

Gli Stati Uniti del democratico Biden si sono presentati in politica estera con il bombardamento avvenuto il 25 febbraio nella Siria orientale nei pressi del confine con l’Iran.

L’obiettivo del bombardamento le presunte formazioni militari filo-iraniane situate in quel luogo e responsabili, secondo il Pentagono, dell’attacco missilistico del 15 gennaio registrato nel Kurdistan iracheno, in cui ha perso la vita un mercenario statunitense.

In realtà, l’atto degli USA costituisce un segnale forte e chiaro lanciato a tutti, nemici e alleati.

Torna forte dunque la volontà di influenzare l’area usando qualsiasi mezzo per isolare l’Iran nella sua corsa al nucleare, salvaguardare gli interessi di Israele e spingere a decisioni radicali l’Unione Europea.

Non è un caso infatti che l’ultimo Consiglio Europeo del 26 febbraio ha avuto la militarizzazione al centro dei temi trattati, annunciando un incremento della spesa militare da parte degli Stati UE.

Uno scenario che rischia di farci tornare indietro di anni e di destabilizzare ulteriormente la regione mediorientale.

#GiovaniComunisti#rifondazionecomunista#rifondazione#siria#syria#guerra#nowar#pace#paece#stopbombingsyria#usa#iran#italia#sinistra

DRAGHI, L’UOMO DEI MIRACOLI, IN QUESTI GIORNI HA COMINCIATO A TIRARE FUORI I CONIGLI DAL CAPPELLO.

L’editoriale del n°2 del 27 febbraio di #inforifo – il periodico di informazione politica a cura del comitato regionale lombardo di Rifondazione Comunista – a questo link è possibile scaricare la versione integrale in formato pdf

Onestamente non ci pare che siano magnifici. Che il mitico Brunetta potesse essere annoverato tra le eccellenze della Repubblica non lo avremmo mai sospettato. E dove lo hanno messo? Alla funzione pubblica, in modo che continui a fare danni e propaganda come aveva già fatto durante i governi di Berlusconi. Invece di pensare a come potenziare e far funzionare meglio il settore pubblico, ha subito cominciato a prendersela con i dipendenti. Anche la Gelmini non è male come ministro. Gli studenti ancora se la ricordano. Si potrebbe proseguire con i sottosegretari leghisti. Tra questi spicca la Borgonzoni, che fa la sottosegretaria alla cultura dopo essersi pubblicamente vantata per non aver letto un libro negli ultimi anni. Insomma, questo governo, frutto della battaglia politica di Renzi, il politico più arrogante e antipopolare del paese, è un governo proprio di larghe intese nel senso che c’è dentro effettivamente di tutto. Se però guardiamo ai programmi dei partiti che sono al governo vediamo che su alcune questioni la pensano esattamente nello stesso modo: tutti sono contrari ad una tassa sulle grandi ricchezze e tutti sono favorevoli alla precarizzazione del lavoro. Tra gli stessi Ministri, si possono vedere molti esponenti vicini a Confindustria ma certo nessuno noto per essere un difensore dei lavoratori. In altre parole, l’unità tra centro destra e centro sinistra l’hanno costruito su una cosa molto semplice, sulla classe. Non nel senso dello stile ma perché questo è un governo che vuol fare gli interessi degli industriali, dei banchieri ed in generale dei ceti abbienti. Un governo che non si vuole scontrare con i poteri forti perché è stato messo lì dai poteri forti a spendere i 209 miliardi di finanziamenti. È quindi necessario che chi non è ricco, non è un banchiere o un imprenditore e quindi non è rappresentato da questo governo, faccia sentire la sua voce e dica chiaramente cosa serve, per cosa bisogna usare i 209 miliardi attorno a cui si è costruito questo governo. Bisogna difendere la parte più debole della popolazione e l’ambiente, redistribuire i soldi dai ricchi ai poveri e progettare uno sviluppo del paese che metta al centro le persone e la difesa dell’ambiente. Il libero mercato ci ha portato in questo disastro, per uscirne serve un forte intervento pubblico:

1) Lo stato deve imporre il blocco dei licenziamenti e degli sfratti per tutto il 2021, con relativa Cassa integrazione, abolire la riforma Fornero sulle pensioni.

2) Lo stato deve garantire un reddito sociale a tutti coloro che non hanno il lavoro o che comunque hanno un reddito basso.

3) Lo stato deve potenziare la sanità pubblica, l’istruzione pubblica, l’assistenza pubblica assumendo a tempo indeterminato tutte le persone che servono.

4) Lo stato la deve smettere di dare soldi a pioggia agli industriali e finalizzare le risorse al mantenimento dell’occupazione, alla riduzione dell’orario di lavoro ed alla riconversione ambientale delle produzioni.

5) Lo stato deve riprendere una politica pubblica per la ricerca, per produrre le cose indispensabili – come i vaccini contro il Covid – o per fare quei lavori che i privati non fanno perché non rendono abbastanza, come il riassetto idrogeologico del territorio.

6) Lo stato deve ridurre le tasse sui redditi medio bassi, aumentare le tasse sui redditi alti e fare una tassa sulle grandi ricchezze al di sopra del milione di euro.

MILANO: RIFONDAZIONE COMUNISTA CON LE LAVORATRICI E I LAVORATORI DELLO SPORT

Domani 25 febbraio alle dalle 10.00 alle 12.00 i lavoratori e le lavoratrici dello sport saranno in piazza davanti alla Prefettura di Milano, in corso Monforte, per un presidio organizzato da NIDIL e SLC CGIL.

La situazione del sistema sportivo è attualmente nel dimenticatoio: le indennità per i lavoratori di gennaio e febbraio ferme e il 28 febbraio scadranno i termini per l’approvazione della Riforma dello sport e del lavoro sportivo.

Se il Consiglio dei Ministri non dovesse varare il decreto, per circa 1 milione di lavoratrici e lavoratori sfumerà la possibilità di avere una riforma del settore di cui c’è estremo bisogno.

Se si interrompesse l’iter della legge si aprirebbe uno scenario di grande incertezza.

La scomparsa del Ministero dello Sport non è un bel segnale.

Invitiamo tutti e tutte a partecipare al presidio per tenera alta l’attenzione su un settore che, come la cultura, è quasi del tutto privo di tutele e fermo ormai da un anno.

Milano, 24/02/2020

La segreteria provinciale del Partito della Rifondazione Comunista / Sinistra Europea – Federazione di Milano.

DRAGHI NON E’ UNA PARENTESI

Pubblichiamo il documento approvato dal Comitato politico nazionale, di Rifondazione Comunista il 21 febbraio 2021 

DRAGHI NON E’ UNA PARENTESI.

COSTRUIRE L’OPPOSIZIONE PER L’ALTERNATIVA

La nascita del governo Draghi non è una parentesi ma il disvelamento di una tendenza di fondo della politica italiana, la sostanziale convergenza sulle scelte strategiche tra centrodestra e centrosinistra a cui si è aggiunto il M5S.

Nello stato di eccezione – ieri lo spread, oggi la pandemia – si conferisce la guida del governo direttamente a un banchiere, già parte della Troika, espressione della governance neoliberista europea e del “legame di ferro” con gli USA e la Nato.

Dobbiamo disvelare – a dispetto della narrazione dell’Ue diventata solidale e del banchiere keynesiano – come la scelta di Draghi sia funzionale a garantire un uso del Recovery fund per una ristrutturazione del sistema produttivo italiano in un  rapporto di accordo e competizione con  i progetti  franco tedeschi funzionali ad una riorganizzazione delle filiere europee centrata sulla costruzione  di “campioni  europei”, specie nelle nuove aree ad alta tecnologia, in grado di competere con USA e Cina  nella nuova “globalizzazione”  per aree regionali seguita alla  crisi  del  modello precedente completamente sbilanciato verso le esportazioni extraeuropee.

Draghi non ha la funzione di rovesciare le politiche di Conte, ma di garantire che il nuovo debito pubblico vada a finanziare il debito privato, dando garanzie maggiori alla BCE e alla UE; di garantire le grandi opere e quel settore di industria italiana a alta partecipazione statale delle infrastrutture e dell’estrattivismo (Eni, Snam, Enel, ecc.) che in borsa rappresentano 160 miliardi di euro di capitalizzazione (e dei cui interessi Renzi si fa interprete da anni).

La maggioranza trasversale che votò per l’introduzione del pareggio di bilancio nella Costituzione si riproduce in questo parlamento che si delegittima da solo.  La campagna martellante di populismo dall’alto non viene contrastata da partiti che sono da tempo subalterni e consenzienti. La quasi totale unanimità intorno alla figura di Draghi per l’incarico a Presidente del Consiglio, e per l’elezione a breve a Presidente della Repubblica, esplicita l’orientamento di fondo delle principali forze politiche e aumenta la distanza crescente tra il Palazzo ed i bisogni popolari. Se il vasto consenso parlamentare e mediatico al Governo Draghi ha disvelato la falsità della narrazione dell’alternanza nel bipolarismo e la strumentalità degli appelli al voto utile per battere le destre e delle riproposizioni di grandi alleanze per salvare l’Italia dal pericolo fascista (vedi Pd e LeU che governano con Salvini), rende anche netta la dicotomia tra élite economica e “aristocrazia” dei Palazzi, da un lato, e società e classi popolari dall’altro. Dobbiamo lavorare a rendere visibile questa dicotomia cancellata dai media, organizzare un vasto e efficace conflitto sociale e popolare.

Draghi nel rivolgersi al Parlamento e esporre le sue linee programmatiche non ha citato la Costituzione e tantomeno ha fatto riferimento all’antifascismo e alla Resistenza. Una “dimenticanza” che esprime la reale natura di questo Governo votato dall’arco “incostituzionale” delle formazioni politiche che hanno sostituito la governance neoliberista e i trattati europei alla Costituzione del 1948.

L’utilizzo strumentale dell’antifascismo e della giusta repulsione verso la destra da un lato e il presunto sovranismo populista antisistema dall’altro, sono stati accantonati per far nascere quello che il quotidiano comunista francese L’Humanitè ha definito giustamente “il governo della vergogna”.

Significativo che in parlamento nessun partito abbia assunto una posizione di netta chiusura a Draghi per il suo profilo e la sua storia. Anche i distinguo si sono concentrati al massimo sul perimetro della coalizione e il coinvolgimento di Forza Italia e della Lega. Le scelte di LeU confermano che quel progetto non poteva incarnare “la sinistra nuova e radicale” di cui ci sarebbe bisogno nel paese. Il voto contrario di SI è immediatamente contraddetto dalla riproposizione dell’alleanza strategica con il PD e il Movimento Cinque Stelle dentro la logica del bipolarismo. Salutiamo positivamente le dichiarazioni di voto delle senatrici che hanno correttamente individuato la necessità di una alternativa di sinistra e ambientalista. Oggi più che mai si pone per noi il tema della ricostruzione di una sinistra che sia espressione delle classi lavoratrici e popolari, di un punto di vista e di una piattaforma programmatica alternativa al neoliberismo.

Le ragioni del nostro immediato no all’incarico al banchiere – la cui storia è legata alle privatizzazioni, all’imposizione dell’austerity e delle “riforme” antioperaie e antipopolari, all’uso dello spread come arma di ricatto su popoli e governi – sono uscite confermate dalle linee programmatiche e dalla composizione del governo.

E’ emblematico che l’unico tratto progressista vantato da Draghi – quello “ambientalista” – si traduca in un Ministero della Transizione ecologica affidato direttamente a Confindustria e che la delega all’istruzione sia stata attribuita a un ministro che ha elaborato e sostenuto le “riforme” renziane.

Questo governo è nato per affrontare la crisi e la pandemia come occasione di ristrutturazione del capitalismo italiano che ne aumenti, se è possibile, il comando e lo sfruttamento del lavoro affidando a “tecnici” espressione del mondo delle banche e delle grandi imprese la gestione delle risorse del Recovery Fund. Il governo del banchiere non fa neanche finta di incarnare l’interesse generale del paese dato che è palesemente connotato dal prevalere di una destra antimeridionale e degli interessi del capitalismo industriale del Nord.

Il commissariamento di fatto è scattato quando di fronte alla crisi e all’ingente quantità di risorse per fronteggiarla è emerso il bisogno di una gestione forte da accompagnare con “riforme”.

Il governo non sarà la copia carbone dell’esecutivo guidato da Monti in un’altra fase. Le risorse del Recovery fund verranno intelligentemente usate per continuare la lotta di classe dall’alto e prevenire quanto più possibile elementi di conflitto sociale dal basso, attraverso la costruzione di un welfare parcellizzante e non universale.

La riconferma di Guerini e Di Maio ai dicasteri di Difesa ed Esteri prelude ad una continuità con la trentennale belligeranza nel quadro NATO, con l’industria bellica e le Forze Armate elevate ufficialmente a strumenti privilegiati della politica estera dell’Italia.

La nuova “guerra fredda” contro Russia e Cina, riconfermata dall’amministrazione Biden, vede così ribadita la disponibilità dell’Italia a porsi come rampa di lancio degli sconsiderati piani egemonici statunitensi .

Ribadiamo la nostra ferma opposizione alla collocazione “atlantista” dell’Italia ed al conseguente utilizzo dei fondi del Recovery Plan per finanziare il “complesso militare-industriale”  italiano, vero e proprio “piazzista di morte e distruzione”. Siamo da sempre a favore della drastica riduzione delle spese militari e per la riconversione dell’industria bellica: abbiamo bisogno di medici e non di bombe!

Escono confermate le valutazioni espresse nel documento approvato dalla Direzione nazionale del 9 febbraio 2021 e la scelta del nostro partito di collocarsi in una posizione di netta opposizione a questo governo.

Di fronte alla nascita del governo Draghi è compito del nostro partito contribuire alla costruzione di una larga opposizione culturale, sociale e politica.

Culturale perché questo è il governo del “pensiero unico”. Sociale perché questo è il governo delle banche e delle grandi imprese. Politica perché l’ammucchiata che coinvolge persino i razzisti della Lega richiede di dare forza e progetto alla necessità di un’alternativa ai poli esistenti.

La nostra opposizione al governo Draghi nasce dal segno complessivo – il capitale che prende esplicitamente il posto del lavoro come fondamento della Repubblica – e dal fatto che non mette in discussione le coordinate di fondo delle politiche dell’ultimo trentennio ma le rimodula nel nuovo contesto.

Per affrontare la crisi sociale e ambientale bisogna combattere le disuguaglianze, mettere al centro i diritti delle classi lavoratrici e popolari, rilanciare il ruolo del pubblico e del welfare, mettere in discussione il modello di sviluppo, sostenere il movimento femminista che ci ricorda come le donne siano state più colpite, sia nella perdita dei posti di lavoro, spesso precari, e nell’aggravio delle condizioni di vita e lavoro determinate dal lavoro da casa (mentre il Governo unisce ancora una volta Pari opportunità e famiglia).

Per questo motivo è necessario lanciare subito un manifesto che chiami alla mobilitazione, centrato sulle questioni concrete vissute da ampi settori sociali come reddito, salute, lavoro, licenziamenti, sfratti, scuola, autonomia differenziata, un manifesto su cui costruire la più ampia convergenza, connettere e moltiplicare la costruzione di una alternativa a partire dalla società.

Alla torsione autoritaria e oligarchica del sistema politico-istituzionale che concentra il potere nell’esecutivo e affida le politiche economiche e sociali al cosiddetto “pilota automatico” bisogna contrapporre il rilancio della democrazia costituzionale, la partecipazione, il pluralismo a partire dalla lotta per una legge elettorale proporzionale pura e dalla difesa dell’unità della Repubblica contro il disegno disgregativo del regionalismo differenziato.

La nostra piattaforma programmatica è alternativa a questo governo. Di fronte alla crisi in atto, noi sottolineiamo in primo luogo alcune priorità:

1. Una proposta di uscita dalla crisi non asservita alle logiche di ristrutturazione del capitale, ma finalizzata alla costruzione di una società solidale. Per queste ragioni si deve partire dall’utilizzo delle risorse assumendo come priorità la lotta alla disoccupazione, la riqualificazione dello stato sociale, a partire dalla sanità e dalla scuola, il superamento del divario inaccettabile fra il nord e il sud, una riconversione ecologica che non sia asservita alle logiche del capitale;

2. In quest’ottica, essenziale è ribadire il ruolo centrale che deve avere lo stato, e in generale l’azione pubblica, di cui vanno potenziate: la capacità di intervento diretto nell’economia e non semplicemente di supporto alle attività esistenti, la definizione degli assi di espansione dei settori produttivi, il risanamento ambientale dei territori, il potenziamento dello stato sociale, l’estensione dei diritti;

Alle forze sociali e politiche che condividono il giudizio negativo sul governo Draghi e sul suo significato, noi proponiamo l’avvio di una fase di confronto per la costruzione di un impegno comune nella promozione di una ampia mobilitazione sociale. Siamo coscienti che tale impegno non sarà facile, ma siamo convinti che solo l’unità intorno ad una proposta comune possa consentire la costruzione di un fronte adeguato.

L’iniziativa del partito deve articolarsi su più livelli:

–         sviluppare campagna in corso “Draghi? No, grazie” in tutto il paese anche con iniziative tematiche e in particolare riprendendo i temi del lavoro, sociali e del rilancio del pubblico;

–         lavorare per la più larga mobilitazione unitaria di tutta la sinistra antiliberista, anticapitalista, ambientalista, femminista e sostenere lotte e vertenze, a partire dallo sciopero dell’8 marzo;

–         promuovere sui territori assemblee No Draghi cercando di costruire il più largo coinvolgimento possibile di realtà della sinistra, del mondo del lavoro, dell’ambientalismo, del femminismo, dei movimenti, dell’associazionismo.

Vanno proseguite le campagne europee sui vaccini e il reddito e costruita la mobilitazione contro il G20 che si svolgerà in varie città italiane.  Confermiamo la nostra contrarietà alla firma e ratifica dei Trattati di Libero Commercio (TLC) da parte della UE, fortemente voluti dalle multinazionali, ultimo in ordine di tempo quello tra la UE ed il Mercosur. Sono trattati nefasti che, se approvati, avranno un enorme  impatto diretto sulle nostre vite, in particolare su agricoltura, salute, ambiente, e PMI.

In questa difficile fase, segnata dalla sproporzione tra le nostre ragioni e le nostre forze, è più che mai necessaria una forte coesione del nostro partito e l’attuazione concreta della linea che ci siamo dati a tutti i livelli, condizione necessaria per la credibilità che richiede la costruzione di una sinistra sociale e politica alternativa.

Il Partito della Rifondazione Comunista si rivolge a tutte le soggettività e le persone che condividono l’urgenza di lavorare insieme alla costruzione di un percorso aperto e plurale per l’alternativa sociale, culturale e politica ai poli e agli schieramenti politici esistenti, per un’alternativa di sinistra, antiliberista, ambientalista, femminista.

La nascita del governo Draghi ha già alimentato una disarticolazione del sistema politico e una sua ridefinizione. Non sappiamo come tale processo evolverà, tuttavia, è essenziale che in questo processo si rafforzi il ruolo di una sinistra che si ponga in alternativa del governo Draghi. Le prossime elezioni amministrative saranno un’occasione per allargare la rappresentanza di quanti vogliano dar vita ad una sinistra non omologata al pensiero unico.

Il cpn decide a tal fine di dare il via ad un programma di incontri e assemblee a livello nazionale e locale, che coinvolga tutto il partito, con tutti i soggetti interessati a questa proposta al fine di condividerla e di costruire insieme un percorso.

In questo tornante storico, il congresso del Prc deve avere l’ambizione non solo di superare la crisi organica del nostro partito, ma di un salto di qualità, di una rifondazione teorica e organizzativa del partito stesso, di una vera discontinuità, di una costante apertura e interlocuzione con tutta la sinistra di classe, antiliberista, ambientalista, femminista: dobbiamo riorganizzare le comuniste e ai comunisti, e più in generale la sinistra, in questa nuova fase storica, rifondarci per essere all’altezza della nostra funzione nel presente, aprire un nuovo ciclo nell’anno del centenario del Pci e trentennale del Prc.

La nostra proposta politica sarà al centro del congresso nazionale che, se lo consentiranno l’andamento della pandemia e il rinvio delle elezioni amministrative, il CPN convoca per i giorni 16/17/18 luglio.

Elenco delle piazze di mobilitazione per il diritto alla salute e alla difesa della sanità pubblica.

📌 SABATO 20 FEBBRAIO 2021 – Ad un anno dal “paziente uno” Per una sanità pubblica, preventiva, sociale, universale, partecipata👉 Ecco l’elenco delle Piazze e degli interventi che domani dalle 10:00 daranno il via alla giornata di mobilitazione per il diritto alla #Salute e per la difesa della #sanitàpubblica indetta dal Coordinamento Lombardo Per Il Diritto Alla Salute.🔴 Tutta l’iniziativa verrà trasmessa in diretta streaming sulle pagine: 👉Coordinamento Lombardo Per Il Diritto Alla Salute👉Medicina Democratica

Rifondazione, Vaccini differenziati: prove spinte di autonomia vaccinale

Come se non bastasse il disastro della sanità regionalizzata, messo drammaticamente in luce dalla pandemia, ecco, affacciarsi, l’autonomia vaccinale.

A fare da apripista sono stati Veneto, Lombardia, Emilia Romagna (non è una novità), a cui si è unito il Friuli Venezia Giulia. Queste regioni intendono rivolgersi autonomamente al mercato internazionale per rifornirsi di vaccini da destinare agli abitanti del proprio territorio, in aggiunta e in parallelo alle forniture nazionali. Tra l’altro non sono chiari gli eventuali canali di intermediazione attivati dai fornitori ai quali i presidenti di regione intenderebbero fare riferimento.

Con questa opaca “autonomia vaccinale” i cittadini italiani avrebbero accesso differenziato alla vaccinazioneia a seconda della regione di appartenenza. Alla faccia della eguaglianza dei diritti.

Anche la Puglia vorrebbe accodarsi: dopo la scuola “a la carte” con cui si è scaricata sulle famiglie la scelta di avvalersi delle lezioni in presenza o a distanza; dopo la scandalosa operazione della struttura covid alla Fiera del Levante, inaugurata il 16 gennaio e a tutt’oggi bloccata per mancanza di bagni (sic!) e di personale sanitario; ora ci si vorrebbe cimentare con lo shopping “fai da te” di vaccini.

Il presidente Draghi ha qualcosa da dire su questa pericolosa deriva separatista o l’unità nazionale e “l’amore per l’Italia” evocati nel suo discorso alla Camera sono solo un esercizio retorico?

Rifondazione Comunista, ribadisce che il diritto alla salute è universale, che i vaccini vanno garantiti a tutte le persone e soprattutto le vaccinazioni debbono avvenire in piena sicurezza!

Segreteria PRC-SE
Tonia Guerra, resp. autonomia differenziata
Rosa Rinaldi, resp. Sanità

Conferenza nazionale delle lavoratrici e dei lavoratori

📌CONFERENZA NAZIONALE DELLE LAVORATRICI E DEI LAVORATORI “Uniti per il lavoro, l’uguaglianza di genere, i diritti, l’ambiente”

🕐Sabato 27 febbraio 14:00 – 19:00
🕐Domenica 28 febbraio 9:30 – 13:00
👉L’iniziativa verrà trasmessa in diretta streaming sulla pagina facebook del Prc e su Prima le Lavoratrici e i Lavoratori

Acerbo (PRC-SE): Draghi non ha citato la Costituzione. E’ il governo dell’arco incostituzionale

Nel suo discorso Mario Draghi non ha citato la Costituzione, la Resistenza e l’antifascismo. Forse è meglio così. Ci evita l’ipocrisia di altri.

Il solco su cui nasce il governo è la fedeltà ai trattati europei che vanno in direzione opposta rispetto agli obiettivi programmatici della carta costituzionale.

Questo è un governo che unisce l’arco incostituzionale dei partiti che dagli anni ’90 hanno condiviso – pur litigando per i telespettatori – le politiche neoliberiste che hanno prodotto fine dell’intervento pubblico, devastazione dello Stato sociale

Il suo discorso è stato una minestra riscaldata che echeggiava gli esecutivi dell’ultimo ventennio che si sono più o meno adeguati alla governance europea di cui Draghi è una delle più autorevoli espressioni.

Draghi non ha detto nulla sulla precarizzazione del lavoro né sui bassi salari né sul fatto che il nostro settore pubblico – a partire dalla sanità – ha molti meno dipendenti della media europea, sulle autostrade che crollano grazie ai miliardari a cui quelli come lui le hanno regalate.

Per farlo dovrebbe ammettere che le sue lettere da Bruxelles hanno creato disuguaglianza, precarietà e indebolito la capacità del nostro paese di fronteggiare la pandemia.

Neanche sui vaccini ha avuto la forza morale di schierare l’Italia dalla parte di chi chiede di liberare i brevetti per garantire rapidità e accesso per tutti. Parla di sprechi ma non ha detto che non si possono buttare ancora miliardi per comprare armi mentre mancano medici e infermieri.

Draghi non cita l’antifascismo ma ha rivolto un messaggio di apertura al fascista Erdogan.

Sentiamo puzza di regime. La Questura di Roma ci ha negato il permesso di manifestare davanti a Montecitorio domani.
Non era mai accaduto. Neanche durante l’elezione del Presidente della Repubblica.

Saremo dalle 14 in Piazza San Silvestro per un presidio unitario contro il governo di banche e grandi imprese.

Maurizio Acerbo, segretario nazionale del Partito della Rifondazione Comunista – Sinistra Europea

Conferenza nazionale delle lavoratrici e dei lavoratori del Partito della Rifondazione Comunista

Pubblicato il 17 feb 2021


L’unità della classe contro il liberismo per l’alternativa di società

La pandemia
La tragedia della pandemia, col suo portato di morti, contagiati, distruzione di posti di lavoro, aumento delle povertà e delle marginalità sociali e accelerazione della crescita delle disuguaglianze, ha reso evidente in tutto il mondo il fallimento del capitalismo fondato sul primato dell’impresa e del mercato e su un  modello sviluppistadella crescita che confligge con la finitezza delle risorse e con gli equilibri naturali del pianeta; la stessa pandemia è il prodotto del sistema che per superare le sue crisi ha accentuato il suo carattere predatorio, la spinta a estrarre sempre più valore saccheggiando la società, la natura e il lavoro, mostrando di essere incompatibile con la vita del pianeta e il progresso umano.
E’ un monito per il futuro dell’umanità quando le pandemie rischiano di diventare più frequenti e catastrofi di portata anche più grandi come quella ambientale si trovano già vicine al punto di non ritorno.
Nei paesi ricchi dell’occidente capitalistico dove la sovrabbondanza di beni, risorse e tecnologie avrebbe potuto permettere  di affrontare positivamente la pandemia si sono invece  verificate    gravissime sofferenze sociali  a causa della gestione neoliberista dell’economia e della società.
In Italia a fronte di una  politica condizionata dalla subalternità all’impresa e ai profitti,  conseguenze sanitarie ancor  più gravi sono state evitate da quel che di pubblico è rimasto, ma sul piano economico e sociale l’impatto, finora parzialmente  limitato dalle scelte di UE e  della Bce, rischia di diventare nei prossimi mesi  gravissimo a causa  delle fragilità sociali ed economiche  del Paese prodotte da anni  di austerità  e di politiche neoliberiste tese a smantellare il pubblico a vantaggio del mercato e  del privato giustificate con i  vincoli di bilancio  e il peso del debito . Da decenni queste politiche producono declino economico e produttivo e attacco ai diritti delle lavoratrici e dei lavoratori.

I costi sociali  delle politiche neoliberiste
Si è pagato a carissimo  prezzo il pesante ridimensionamento  delle strutture sanitarie   e dell’organico del personale medico e infermieristico, la distruzione  del sistema di prevenzione e medicina territoriale, o l’avere una scuola che si regge sui precari, con patrimonio edilizio vecchio e insufficiente, dotazioni didattiche inadeguate,  classi sovraffollate.
Altrettanto gravi sono state le conseguenze del  sottofinanziamento del welfare e della  riduzione  del sistema di protezioni  su pensioni,  diritto alla casa, alla salute, ai servizi sociali. Il risultato sono milioni di persone senza una pensione dignitosa, l’enorme diffusione della povertà che colpisce in modo particolare i giovani e le donne doppiamente penalizzate dal carico del lavoro di cura  e di un lavoro spesso precario, una diffusa  fragilità sociale di fronte alla quale il reddito di cittadinanza ha mostrato  le sue insufficienze.
Nel 2019 restano infatti in condizione di povertà assoluta 4,6 milioni di persone e sono ben 8,8 milioni quelle in povertà relativa mentre l’altissima percentuale della popolazione a rischio povertà (25,6%) testimonia l’estensione della piaga sociale dei lavoratori poveri (working poor)in crescita costante dal 2008 in quasi tutti i paesi europei, dove nel 2019 il 9,5% dei lavoratori era a rischio di povertà.
Il mondo del lavoro arriva all’appuntamento con la pandemia in grandissima sofferenza sul piano materiale e sul piano dei diritti. Il dato statistico sul numero di occupati a fine 2019 apparentemente assimilabile a  quello del 2007, nasconde il fatto che i posti a tempo pieno sono diminuiti di circa un milione di unità mentre sono aumentati i rapporti di lavoro a orari ridotti (Part time per gran parte involontario, unica forma di lavoro in aumento nel 2019, +4%)  e con carattere discontinuo, cresciuti moltissimo nel 2017 e 2019. Il lavoro precario e  part time, che per un terzo delle imprese italiane (549 mila) diffuse nel turismo e nei servizi, spesso esternalizzati dal pubblico, è l’unica forma di rapporto di lavoro, colpisce in modo particolare le donne: su 4,3 milioni di persone impegnate i tre quarti sono donne e  di queste il 60% sono part time involontari.
L’occupazione ne esce fortemente penalizzata collocando l’Italia agli ultimi posti d’Europa con il tasso di occupazione femminile inferiore di 20 punti rispetto a quello maschile ed un “gender pay gap” (differenza di salario a parità di mansioni ed anni lavorati) di circa il 10,5% (in un anno, le operaie guadagnano in media 2.688 euro in meno degli operai),  mentre  per  tasso di disoccupazione  siamo tra i primi: fanno peggio di noi  solo  Grecia e Spagna. Aumentano gli squilibri territoriali  con  disoccupazione al sud tripla rispetto al nord e un tasso di occupazione inferiore di circa 20 punti; il tasso di disoccupazione giovanile in diverse regioni del sud supera il 50%.
I salari delle lavoratrici e dei lavoratori italiani a tempo pieno sono tra i più bassi d’Europa a fronte di un maggior numero di ore lavorate. La precarietà estrema, spesso una forma di disoccupazione mascherata, è diventata esistenziale per milioni di persone specie giovani
Questi i frutti avvelenati di un offensiva neoliberista   che ha fatto della distruzione della capacità contrattuale del lavoro e dei diritti il perno per ridefinire a vantaggio del capitale i rapporti di forza tra le classi.

Globalizzazione e industria in italia
Siamo da trent’anni sotto un attacco sostenuto dalla narrazione delle magnifiche sorti della globalizzazione che avrebbe reso tutti più liberi dalla schiavitù del lavoro operaio grazie allo sviluppo della tecnologia e dell’automazione, del primato del privato rispetto al pubblico, delle virtù vivificanti della concorrenza e della flessibilità rispetto alla morta gora del posto fisso .
Nella prima fase della globalizzazione  le privatizzazioni delle grandi aziende pubbliche, le delocalizzazioni e la deindustrializzazione di vaste aree, la fuga dei capitali privati verso la finanza e le commodities, la perdita di quasi tutte le grandi filiere produttive nazionali, avevano modificato profondamente l’economia nazionale, frammentato e indebolito il mondo del lavoro.
Ne è risultato un sistema economico e produttivo con prevalenza di piccole e piccolissime imprese strutturato per competere sui prezzi, orientato all’esportazione, basato su bassi salari e bassa qualità del lavoro, scarse tutele, che non investe più sull’innovazione di processo e di prodotto, ricerca e formazione; e proprio per questi motivi, oltre che per il nanismo di imprese a gestione familiare, a bassi tassi di produttività e valore aggiunto rispetto al resto d’Europa.
Dopo il 2008: s’intensifica l’offensiva neoliberista
Dopo la grande crisi del 2008-2009 non viene meno l’orientamento neoliberista di fondo dei governi e delle diverse frazioni del capitale, anzi! Il vincolo sul debito e le politiche di austerità vennero  usati, con i governi da Monti a Renzi, seguiti da Regioni e comuni  per smantellare massicciamente il pubblico, estendere le privatizzazioni, colpire brutalmente con la Fornero i pensionati, indebolire ancora di più i lavoratori: sul piano dei diritti delle tutele   con leggi come il jobs act e l’eliminazione dell’articolo 18 che hanno  deregolamentato e frammentato ancor di più il mercato del lavoro per trasformarlo in una merce completamente asservita alle imprese; con un durissimo attacco al salario e alla contrattazione, portata avanti congiuntamente dal pubblico e  dal privato. Un attacco che Invece degli aumenti di crescita e occupazione falsamente promessi produrrà, come l’insieme delle politiche di austerità, un ulteriore calo della domanda interna e l’aggravamento della condizione economica del paese.
Tra il 2002 e il 2018 gli investimenti pubblici e privati calano dell’8% mentre nei paesi europei avanzati aumentano del 20% e le spese in ricerca aumentano del doppio rispetto all’Italia che rimane agli ultimi posti in Europa e a fine 2019 il pil nazionale è ancora sotto il livello del 2007. Alla contrazione dell’economia Italiana concorre dopo il 2008 una nuova fase in cui   la globalizzazione vacilla e la Germania con la crisi delle esportazioni in Cina sposta parte delle filiere dell’auto e delle catene di fornitura nei paesi dell’est e riduce gli scambi col sud Europa   e gli stessi industriali italiani intensificano la delocalizzazione delle produzioni in quei paesi alla ricerca di salari e tasse più bassi. Già nel 2016 secondo la Cgia di Mestre erano 27 mila le aziende italiane nei paesi dell’est  con 1,5 milioni di occupati. Nel periodo considerato si riduce di 4 punti  la quota di pil dell’Italia in Europa, aumenta il divario produttivo e occupazionale tra il sud e il nord del paese.

Covid 19: una nuova crisi
La gravissima crisi economica prodotta dalla pandemia, è di tipo nuovo perché agisce dal lato dell’offerta, promette effetti molto gravi su tutta l’economia a causa della fermata delle attività economiche, del crollo della domanda di beni e consumi, degli scambi a livello nazionale e internazionale. A fine 2020 in Italia, unico paese europeo a non aver recuperato  ancora a fine 2019 i livelli del 2007, si registra il calo del pil più alto dell’eurozona (-8,8%),la produzione industriale cala di 11,4% , tutti gli indicatori macroeconomici  precipitano  ai livelli del 1990. Viene colpito duramente il mondo del lavoro, specie le sue componenti, diffuse nei servizi e nel turismo, meno tutelate ed esposte alle mille forme di precarietà, sottosalari, stagionalità, sfruttamento; enorme è la perdita di reddito per vasti settori della popolazione compresi i lavoratori coperti da cassa integrazione che perdono quote rilevanti di salario. Stime ufficiali sul 2020 nonostante cassa integrazione e blocco licenziamenti danno tra nuovi disoccupati e aumento del numero di inattivi una perdita di più di un milione di posti di lavoro. La disoccupazione ufficiale sfiora il 10%, quella giovanile il 30% mentre calano di 450 mila unità gli occupati, in grande maggioranza donne.

Un nuovo modello economico e sociale
Tutto ci dice che è giunto il momento di mettere in discussione un modello economico e sociale che per sopravvivere e massimizzare sempre più i profitti mette a rischio la salute e la vita, aumenta lo sfruttamento riducendo il lavoro a merce usa e getta , saccheggia il territorio, l’ambiente e i beni comuni, produce enormi  disuguaglianze, precipita masse sempre più grandi di popolazione nella povertà, distrugge forze produttive,  diritti e democrazia.
Il cambiamento è reso ancor più necessario di fronte alle grandi trasformazioni imposte dalla crisi della globalizzazione accelerata proprio dalla pandemia, dalla  necessaria transizione ecologica e dalla rivoluzione digitale;  tre grandi sfide che obbligano  anche  a un riorientamento dell’economia  e a una riorganizzazione  del sistema industriale continentale  da cui l’Italia può uscire in avanti o proseguire verso un declino di proporzioni storiche.
I problemi creati durante il covid dalle filiere globali su cui transitano i due terzi del commercio mondiale in un sistema di relazioni che coinvolge molti paesi, uniti alle tensioni geopolitiche mettono in crisi i modelli export oriented, stanno determinando un riposizionamento sul mercato interno e una riconfigurazione delle catene del valore su tre aree regionali centrate su Usa, Cina, Europa.
Il cambio di marcia dell’Europa con la sospensione dei vincoli di bilancio, le politiche monetarie espansive della Bce e il next generation, non è dovuto a una conversione sulla via di Damasco dei nostri liberisti, ma dall’obbligo a ripensare l’intero sistema europeo per renderlo resiliente rispetto agli shock esterni e a recuperare grossi ritardi rispetto ai competitori mondiali nelle aree tecnologicamente più avanzate e rispetto alle misure imposte dal cambiamento climatico.
In questo contesto di grandi trasformazioni e ristrutturazioni degli assetti economici e produttivi verso nuove forme di integrazione europea è già in atto la competizione intercapitalistica per l’egemonia nelle aggregazioni industriali legate alle economie di scala necessarie per lo sviluppo dei grandi players europei nelle produzioni esistenti e soprattutto nei campi dell’ICT, dell’elettronica, del cloud, dei nuovi propulsori, delle batterie, dell’intelligenza artificiale.
Nel contesto che va prendendo forma non è più rinviabile l’assunzione di una piattaforma di contrasto alle forme di dumping salariale e sui diritti dei lavoratori, fiscale, ambientale  tra i diversi paesi europei su cui unificare le lotte su scala continentale contro l’Europa dei capitali, per un’Europa dei diritti. Il primo obiettivo quello di un salario minimo europeo.
Dai processi in atto  deriverà  una nuova spinta  verso una profonda ristrutturazione del sistema produttivo italiano che potrà prendere due strade:
La prima, quella voluta da Confindustria, di una razionalizzazione modernizzante  del sistema in cui  l’innovazione, il digitale  e la riconversione ambientale siano concepiti come strumenti   per accrescere i profitti, intensificare lo sfruttamento, la precarietà  e il controllo sul lavoro e la società; la seconda,  che noi riteniamo obbligata, quella di porre le basi per avviare il paese verso un modello economico e sociale che metta al centro la piena e buona  occupazione, la redistribuzione della ricchezza, salari e redditi dignitosi, la tutela dell’ambiente, l’eguaglianza di genere e la condivisione del lavoro produttivo e riproduttivo, i diritti di tutte e tutti.

Per il rilancio del Pubblico
Ora con i fondi che l’Ue ha messo a disposizione per tentare di non soccombere nello scontro economico Tra Usa e Cina,  non ci possono dire che i soldi non ci sono e altri ce ne sarebbero se ci si decidesse di introdurre un po’ di giustizia nel sistema fiscale e redistribuire con tasse ad hoc le enormi ricchezze accumulate in decenni di spostamento del carico fiscale dal lavoro ai profitti.Potrebbe essere l’occasione per piantare i primi tasselli di un modello economico e sociale alternativo a questo neoliberista e neomercantilistache rimetta al centro i bisogni e i diritti dei cittadini con l’obiettivo prioritario  di  riportare tutti gli ambiti della riproduzione sociale nell’alveo del pubblico e del comune; che rimetta al centro l’intervento pubblico e una nuova programmazione, con politiche industriali necessarie per  garantire contemporaneamente la risoluzione delle fragilità strutturali del sistema economico, l’inversione del declino  e l’avvio  di quell’ indispensabile riconversione ecologica  dell’economia che salvaguardi   le produzioni strategiche e l’ambiente , mettendo l’innovazione al servizio della società e del lavoro, non dei profitti.Partiamo però da una situazione in cui le strutture, le competenze, le relazioni democratiche interne e le funzioni pubbliche uscite dalle lotte degli anni settanta sono state distrutte o profondamente modificate e vanno ricostruite a tutti i livelli per:
-il rilancio della presenza pubblica su tutti gli ambiti della riproduzione sociale;
-l’assunzione di un forte ruolo pubblico nella  programmazione e direzione  dell’economia
per sottrarla  all’arbitrio del mercato.

Sul primo punto abbiamo avanzato le nostre proposte (documento disponibile) ed è in corso la nostra campagna “Più pubblico più diritti” con gli obiettivi di potenziare la sanità, la scuola e i servizi pubblici con investimenti massicci in strutture e personale e porre fine alla stagione delle privatizzazioni e della mercificazione di tutto ciò che è pubblico e comune per  ricondurre  il soddisfacimento dei bisogni nella sfera dei diritti. La richiesta di assumere 500 mila lavoratrici e lavoratori avvicinando gli organici italiani alla media europea è un pezzo importante del nostro piano per il lavoro.

Il secondo obiettivo, la riconquista di un ruolo centrale del pubblico nell’economia, per non essere velleitario presuppone  una serie di scelte:
1)la ricostituzione, con un piano di assunzioni mirate, sia a livello centrale  che periferico, di   strutture dotate di nuove competenze progettuali, manageriali e gestionali in grado di unire  un nuovo senso del bene comune, visione, capacità di programmazione indispensabili per definire  politiche industriali su scala nazionale  e ricostruire un’economia dei beni comuni (territorio, acqua, energia , rifiuti) centrata sui territori e gestita con nuove forme di democrazia partecipativa. Perciò vanno  definiti, sia per i settori industriali che per quelli relativi all’erogazione di beni e servizi pubblici, dei veri Piani di Settore Nazionali   per l’energia, la mobilità sostenibile,  la casa, la piena e buona occupazione, e piani territoriali per un’economia dei beni comuni
2)Poiché senza impresa pubblica, mancano le condizioni stesse per svolgere una
efficace politica economica è indispensabile il rafforzamento del controllo e della presenza pubblica diretta nelle attività e  nelle imprese  produttive strategiche che non possono e non debbono essere lasciate al mercato e alla proprietà privata (Esempi?….produzioni del bio medicale, reti della comunicazione e dell’energia, gestione dei dati e del cloud, siderurgia, chimica di base..) e la riconquista della gestione   e del controllo democratico pubblici dei beni comuni
3)la costruzione, incrementando significativamente gli investimenti, di un forte sistema nazionale della Ricerca a guida pubblica che connetta ricerca di base, brevettazione, trasferimento tecnologico, industrializzazione dei prodotti, erogazione dei servizi.
4)la costituzione di un forte Polo pubblico del credito indispensabile per politiche di finanziamento alternative a quelle di mercato verso imprese ed enti locali  in sintonia con i programmi di cambiamento e sulla base di precisi indirizzi sociali.
5) c’è anche una quinta condizione per un pubblico che sfugga agli elementi di degrado al quale l’hanno condannato in passato le dipendenze incrociate dalle politiche clientelari, dagli interessi economici  responsabili della corruzione , dalla burocrazia asfissiante: l’istituzione a tutti i livelli del pubblico di forme di controllo democratico dei lavoratori e dei cittadini in grado di connettere qualità del lavoro e qualità dei servizi.

Da conte a Draghi
I primi passi del governo Conte  non sono andati nella direzione giusta;  la legge di bilancio  e il recovery plan hanno mostrato una  netta continuità con le politiche neoliberiste prevedendo grandi risorse alle imprese senza seri vincoli occupazionali,  salariali,  ambientali,  investimenti  sul pubblico assolutamente insufficienti e mancanza di un  piano per il lavoro in grado di affrontare seriamente il grave problema occupazionale attuale che diventerà drammatico  con la fine annunciata del blocco dei licenziamenti
L’ennesima erogazione di risorse pubbliche senza uno straccio di politiche industriali lasciando al mercato piena libertà  sull’allocazione delle risorse: esattamente il modello che in 40 anni ha prodotto la deriva economica e sociale e la  sempre maggiore divaricazione  dalle economie europee che abbiamo davanti oggi.
Con Draghi, uno dei più alti funzionari dell’economia e della finanza internazionale  è il capitale che scende in campo per gestire direttamente a proprio vantaggio i soldi che l’Europa mette a disposizione. L’obiettivo, annunciato anche dalla composizione del governo è quello di modernizzare il sistema  deregolamentando ulteriormente vincoli sociali e ambientali sugli investimenti, subordinando la scuola e l’università alle imprese, privatizzando  i beni comuni, colpendo di nuovo le pensioni, utilizzando le ristrutturazioni  per aumentare la flessibilità e la precarietà, ripristinare la libertà di licenziamento, disgregare e indebolire ancor di più i lavoratori, accentuarne, con l’atomizzazione, la subalternità alle logiche del capitale.

Un nuovo movimento di lotta unitario
Per resistere all’offensiva neoliberista e ribaltare la situazione occorre una grande ripresa di protagonismo delle lavoratrici e dei lavoratori  in grado di unificare le lotte isolate e mettere in campo  un grande movimento dei lavoratori e delle lavoratrici che riunifichi  le figure lavorative e profili contrattuali  che l’offensiva neoliberista ha diviso e messo in concorrenza tra di loro: lavoratori/lavoratrici stabili e precari, pubblici e privati, uomini e donne, nativi e migranti, giovani e meno giovani.
Ma occorre operare con le pratiche e le proposte per saldare in un unico fronte unitario  anche  tutti i settori sociali che oggi soffrono la mancanza di un reddito,  un lavoro, un salario  e  una pensione dignitosi, i tanti e le tante che la mancanza di protezioni sociali relega in condizioni di povertà e di marginalità sociale, tutti coloro i quali la distruzione del welfare  ha privato  dei diritti fondamentali, alla casa, alla salute, all’istruzione, quelli e quelle che aspirano a un ambiente vivibile.
Oggi però facciamo i conti con un mondo del lavoro indebolito da 40 anni di offensiva neoliberista  e di sconfitte che hanno distrutto la soggettività operaia costruita nelle lotte degli anni 70, grazie anche all’adesione da parte dei sindacati e dei partiti di sinistra all’ideologia dei sacrifici prima e alla pratica della concertazione poi , un mondo del lavoro frantumato e diviso  in   una miriade di figure lavorative  e posizioni contrattuali e giuridiche  prodotto di tutte l le leggi che hanno deregolamentato il mondo del lavoro  fino al jobs act;
Una disarticolazione dentro cui il neoliberismo ha avuto buon gioco a far passare le sue idee: la naturalità e immutabilità  del capitalismo, l’individualismo e la concorrenza tra lavoratori/lavoratrici, la guerra tra poveri, l’idea che il conflitto non paghi, la povertà e l’insuccesso vissuti come una colpa. Se aggiungiamo che è riuscito a far passare nel senso comune l’idea che la crisi è dovuta alla  scarsità, che non ce n’è per tutti  si spiegano  la diffusione della passività e del  senso d’impotenza  che paralizza e rende difficile una ripresa delle lotte.

La nostra piattaforma per l’unità
Occorre agire da subito una piattaforma in grado di rappresentare gli interessi di tutto il proletariato, cosa che Marx poneva come tratto distintivo dei comunisti.
Noi per l’oggi avanziamo le seguenti proposte per la cui  realizzazione  chiediamo anche che vengano vincolati tutte le erogazioni di risorse alle imprese:
-estensione del blocco dei licenziamenti e della cassaintegrazione per tutto il 2021: nessun posto di lavoro vada perduto!
-garanzia del reddito per tutte e tutti: nessuno resti senza reddito, nessuna attività economica vada perduta!
-Istituzione di un salario minimo per contrastare la piaga nazionale dei bassi salari
-blocco degli sfratti  per tutto il 2021 e sostegno all’affitto per le persone in difficoltà, piano per l’edilizia sociale per 500.000 abitazioni
-un grande piano nazionale del lavoro  partendo dall’assunzione di 500 mila nuovi dipendenti pubblici e la riduzione dell’orario di lavoro a parità di salario
-regolarizzazione delle e dei migranti che lavorano in Italia.
-ripristino dell’articolo 18, l’abrogazione del jobs act e di tutte le leggi che hanno ridotto diritti, tutele e precarizzato il lavoro
-riordino del fisco in direzione progressiva riducendo le aliquote più basse e istituendo una tassa patrimoniale sulle grandi ricchezze
-abolizione della legge Fornero e garanzia della pensione con 60 anni di età o 40 di contributi

Assumiamo come grande questione nazionale il divario tra nord e sud in crescita continua negli ultimi 20 anni. Proponiamo un grande piano di investimenti a guida pubblica in grado di avviare la risoluzione dei gravissimi problemi relativi a elevatissimi tassi di disoccupazione, degrado del pubblico, carenze di infrastrutture materiali e immateriali, desertificazione industriale.

l’inchiesta
Pensiamo queste proposte come un punto di partenza per  rafforzare nel sostegno alle lotte  la nostra internità al mondo del lavoro e avviare  un capillare lavoro d’inchiesta  e coinchiesta  al fine di ricostruire condizioni di lavoro, coscienza di sé  e aspettative di chi lavora e tutta  la complessità e le articolazioni del il mondo del lavoro comunque configurato in termini contrattuali  e/o giuridici; senza tralasciare le diverse figure miste tra lavoro dipendente, autonomo , a progetto che proliferano nel variegato mondo degli appalti, delle finte cooperative, del lavoro stagionale. Avendo come paradigma sovraordinatore la critica della divisione sessuale nel lavoro produttivo e riproduttivo che nasconde sia la funzione insostituibile della riproduzione sociale che la sua totale svalorizzazione con:
-il lavoro di cura non retribuito che permette le più gravi forme di precarietà, di sfruttamento e di discriminazione che colpiscono in modo particolare le donne;
-la femminilizzazione dei lavori pubblici e delle professioni della cura che accompagnano lo smantellamento del welfare universalistico…Va fatta in particolare l’inchiesta su come l’applicazione delle tecnologie digitali e della connettività alle produzioni e alla gestione delle filiere sta cambiando il lavoro col rischio già verificato di   un uso capitalistico della tecnologia per aumentare il comando, il controllo e lo sfruttamento. Cose già visibili nelle fabbriche dove il digitale fa da supporto a una lean production sempre più spinta con intensificazione dello sfruttamento, nel modo in cui viene usato lo smart working che aumenta la produttività, riduce i costi per le aziende aggravando il doppio lavoro delle donne, nelle piattaforme digitali dove il lavoro è ridotto a mera prestazione anonima e milioni di lavoratori disponibili 24 h24 sono resi invisibili.
l’inchiesta è un   passaggio decisivo per l’individuazione delle contraddizioni su cui costruire il disvelamento dei rapporti di sfruttamento e le lotte entro le quali avviare una ricomposizione del mondo del lavoro, riaffermando tra le lavoratrici e i lavoratori un punto di vista di classe premessa indispensabile per la ricostruzione del più ampio blocco sociale del cambiamento.
Questi sono oggi i compiti delle lavoratrici e dei lavoratori comunisti: ricostruire relazioni e internità nel mondo del lavoro in tutte le sue articolazioni, sostenere i conflitti e tutte le forme di mutualismo e solidarietà, fare l’inchiesta, ricostruire nelle lotte l’unità su un punto di vista autonomo di classe.
Così sarà possibile   restituire al lavoro la centralità politica e sociale sancita dalla costituzione e oggi assunta dal capitale;  dentro un processo di lotte per la  liberazione del lavoro produttivo e riproduttivo  dallo sfruttamento e  dall’alienazione.
La riduzione dell’orario di lavoro
In questa prospettiva è centrale la  ripresa del cammino storico del movimento operaio per la riduzione dell’orario di lavoro e la piena occupazione, per la conquista di tempo  per l’arricchimento individuale, per l’esercizio delle proprie vocazioni, per la cura delle persone, degli affetti e delle relazioni, il lavoro sociale gratuito, la partecipazione democratica  per lo sviluppo di uno spazio pubblico, mai come oggi impoverito dalla riduzione della democrazia a delega passivizzante.
Una necessità nel momento in cui  il progresso tecnico determina  un aumento della produttività che confligge con la riproduzione del  lavoro salariato. L’alternativa e quella realizzata dal capitale: la riduzione dell’orario di lavoro non come redistribuzione condivisa dell’accresciuta produttività, ma nella forma barbarica della disoccupazione, della precarietà e della sottoccupazione per una quota della popolazione, mentre a chi è occupato si chiede di lavorare di più, sia attraverso il prolungamento dell’orario su base settimanale che aumentandolo nell’arco della vita, con l’innalzamento dell’accesso all’età pensionabile
Le forme gli strumenti per compiere questa impresa dipenderanno dalle situazioni concrete e dalle contraddizioni prevalenti luogo per luogo e dai soggetti coinvolti ma sempre finalizzati a costruire nuova soggettività e autorganizzazione democratica e conflittuale affinché nelle lotte contro l’oppressione e lo sfruttamento si rafforzino spirito di unione e coscienza anticapitalista.
L’intervento sindacale
L’intervento nei sindacati rappresenta uno degli aspetti centrali del lavoro dei comunisti, ma il panorama sindacale italiano è deludente. Non sottovalutiamo le difficoltà reali determinate dall’offensiva neoliberista e dalle leggi che l’hanno accompagnata e dalla perdita di potere contrattuale dovuta alla globalizzazione; al contempo non dimentichiamo le scelte  delle organizzazioni sindacali maggioritarie che hanno determinato una modifica del ruolo del sindacato e del loro  funzionamento anche sul piano democratico,  le responsabilità  dei vertici delle organizzazioni sindacali dall’Eur alla linea della concertazione e della riduzione al minimo dei conflitti, fino alla tragica subalternità mostrata  in occasione della riforma Fornero.
Esistono poi una miriade di sigle sindacali, talvolta  veri e propri settori di classe organizzati, i cui limiti principali sono la scarsa rappresentativa accentuata da una inveterata tendenza alla scissione e alla frammentazione in tanti  piccoli sindacati  spesso in conflitto tra loro.
In questo panorama partiamo da due assunti: un sindacato non si costruisce dall’alto e dall’esterno né tanto meno può nascere come cinghia di trasmissione di qualsivoglia forza politica; in secondo luogo un partito comunista non seleziona i suoi iscritti sulla base del sindacato di provenienza.
Si parte dalla realtà che c’è e, come diceva Lenin, i comunisti devono  “lavorare assolutamente dove sono le masse” per far crescere, con la tenacia e la pazienza necessari, l’autonomia e l’unità della classe; e quindi i comunisti operano nei  sindacati che, anche in base alla situazione di lavoro, permettono un positivo rapporto con le lavoratrici e i lavoratori.
Nei grandi sindacati e nella Cgil in particolare si opererà per la riaffermazione di un sindacato classista, democratico conflittuale contro la logica concertativa e le tendenze alla moderazione salariale e alla cessione di salario e diritti in nome di un illusorio rapporto tra produttività, crescita, profitti delle imprese e occupazione…
Ai tanti compagni che militano positivamente nei sindacati di base  indichiamo come prioritaria l’iniziativa per l’unità contro la frammentazione delle sigle indispensabile  anche per contrastare con qualche efficacia  le regole escludenti sulla rappresentanza e la crescente tendenza, specie nei settori pubblici a limitare il diritto di sciopero.
Riteniamo di grande importanza l’iniziativa sindacale, in settori collocati nella frontiera più avanzata dell’innovazione come quelli delle piattaforme, tra cui la logistica ad alta presenza di lavoratori migranti, per l’importanza strategica  che rivestono nei processi di ristrutturazione capitalistica e per comprendere e contrastare le forme più moderne di sfruttamento e controllo.
Costruire il soggetto della trasformazione dentro i conflitti
Per i comunisti la ricostruzione dell’unità della  classe e accresce la sua  importanza in funzione di una ricomposizione politica e sociale piu larga. E’ una parte di un più ampio processo di liberazione che deve coinvolgere tutte le soggettività che via via entrano in conflitto con le contraddizioni prodotte dalla tendenza del capitalismo ad allargare la sua riproduzione su scala tendenzialmente infinita. Pensiamo alle donne che con le loro mobilitazioni hanno imposto nel dibattito pubblico il tema del lavoro di cura non pagato, ai nuovi grandi movimenti mondiali  sul tema ambientale come Fridays for future, ai conflitti diffusi in difesa del territorio, alle lotte antifasciste e antirazziste.
I comunisti operano dentro i conflitti per promuoverli ed unirli, assumendo un’ottica intersezionale, cioè facendosi guidare costantemente dall’obiettivo di mettere i soggetti in relazione tra loro affinando le analisi delle contraddizioni e i linguaggi per metterli in comunicazione, trovare proposte e percorsi di lotta comuni.
Proprio per questo non dobbiamo limitarci all’azione sindacale, ma promuoviamo, dove ne esistono le condizioni, tutte le forme di autorganizzazione che promuovano il protagonismo, il mutualismo  e le lotte delle lavoratrici e dei lavoratori: comitati unitari, di scopo, sportelli sociali, gruppi di acquisto solidale.
l’obiettivo di fondo è la ricostruzione del soggetto della trasformazione che non è dato, ma richiede un lavoro complesso, una costruzione appunto, di natura sociale, politica e culturale che può crescere solo nei conflitti che mentre modificano la società cambiano i soggetti che ne sono protagonisti.
Per questo occorre un partito comunista che non sottovaluti nessuna delle dimensioni della politica, ma sia centrato sul sociale, che ricostruisca circoli e commissioni che organizzano l’intervento nei luoghi e sui temi del lavoro, che rafforzi la formazione per produrre quadri “rossi ed esperti” in grado di stare nei conflitti portando un utile contributo di analisi e proposta e usando l’inchiesta per far avanzare insieme la qualità dell’elaborazione, il livello di coscienza dei soggetti coinvolti  e l’autorganizzazione