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Scuola: nuovo ministro, vecchio copione

Pubblicato il 16 feb 2021

Loredana Fraleone*

C’è da scommettere che il ministro Bianchi metterà o cercherà di mettere un ulteriore tassello al puzzle, che è stato disegnato alla fine del secolo scorso da Luigi Berlinguer, in consonanza con gli obiettivi per l’istruzione di Confindustria. I danni provocati dall’autonomia scolastica dovrebbero essere sotto gli occhi di tutti, per l’abbandono e la confusione di cui hanno sofferto le scuole, eppure per alcuni sindacati si vorrebbe ancora puntare su questo “rimedio”, che suggeriscono al nuovo governo, per rispondere alle difficoltà prodotte ancora dal Coronavirus. Per tutti coloro che riponevano speranze di discontinuità sulle politiche per l’istruzione, col nuovo governo, la nomina di Patrizio Bianchi rappresenta una palese smentita, essendo già presente, come consulente di quello precedente, in una posizione chiave, come quella di presidente del comitato di esperti per il rilancio della Scuola nel contesto della pandemia.

C’è da pensare ad esempio che possa essere stata sua l’idea dei banchi a rotelle,  che tanto malumore e al contempo umorismo ha suscitato nei confronti dell’Azzolina, e che risponde non tanto all’esigenza del distanziamento, apparso appunto come provvedimento ridicolo per lo scopo, quanto alla serissima concezione di una trasformazione del gruppo classe in senso “flessibile”, attraverso una rottura di quella piccola comunità nelle diverse fasi di apprendimento, verso il modello anglosassone fondato prevalentemente sull’addestramento, rincorso affannosamente da qualche decennio, nonostante i suoi evidenti fallimenti. È una delle idee presentate nel documento “La scuola del futuro”, della Commissione coordinata da Bianchi e istituita dall’Azzolina.

L’organicità del nuovo ministro all’impresa e al mercato è apparsa subito palese e viene da alcune parti più accorte segnalata, ma va più evidenziato, a mio avviso, il ruolo giocato dal nostro da più tempo. Per stare a quelli recenti, lo troviamo tra gli estensori della “Buona Scuola” del governo Renzi, dove è emersa chiaramente la filosofia della subordinazione all’impresa, con l’alternanza Scuola/Lavoro e non solo, ma anche la necessità, per mantenerne e rafforzarne l’egemonia di disciplinare l’intero mondo dell’istruzione, con la riduzione dei poteri degli organi collegiali, l’accentuazione del ruolo dell’INVALSI per espropriare il corpo docente di una sua fondamentale prerogativa, come quella della valutazione e guidarne così a monte l’azione educativa nei contenuti e metodi d’insegnamento, verso l’acritica acquisizione di “competenze” slegate tra loro.

Alcuni aspetti della “Buona Scuola” sono stati a suo tempo moderati da una forte quanto sconfitta reazione di un mondo da troppo tempo lasciato solo sulle barricate. Sono saltati infatti alcuni provvedimenti della legge tra i più difficili da digerire in quel momento, come l’incarico diretto del personale da parte dei dirigenti scolastici, la cui principale associazione guarda con favore al nuovo ministro, non a caso. Questione che potrebbe tornare in campo insieme al contentino di qualche stabilizzazione in più e di un concorso per titoli e servizio, come richiesto da tempo dalle Organizzazioni sindacali.

La discesa in campo diretta dei più organici rappresentanti dell’impresa e del mercato, come Draghi e il suo ministro dell’istruzione, disvela molto anche dell’uso che verrà fatto dei fondi europei, già indirizzati, dalle linee guida del PNRR del precedente governo, verso un più stretto legame tra scuola superiore e Università con le imprese. Anche il bluff pentastellato verrà presto smascherato, a prevalere sarà la concezione di uno sviluppo quantitativo, funzionale ai profitti, a scapito di ogni idea di riconversione ecologica dell’economia.

*Responsabile Scuola Università Ricerca PRC-S.E.

SGHERRI/BAGGI/FABBRI (PRC-SE) – STOP SFRATTI: adesione di Rifondazione Comunista alla giornata di mobilitazione di martedì 16 febbraio.

La crisi economica scaturita dall’emergenza covid 19 é giunta  a un punto cruciale: la fine del blocco dei licenziamenti, previsto a marzo, e la fine del blocco dell’esecuzione degli sfratti rischia di far esplodere uno tsunami sociale: famiglie senza reddito e senza un tetto sulla testa: situazione assolutamente insostenibile e foriero di grandissime tensioni sociali se non rivolte.

Eppure poco si coglie nel recovery found e ancora meno nel nuovo governo che nasce sotto la guida di Draghi.

Forse un attenzione  maggiore sul tema lavoro (ma mal interpretata, si aiuti chi dovrebbe dar  lavoro piuttosto che a chi perde il lavoro!) ma meno che poco sul versante dell’emergenza abitativa.

Il Governo Conti aveva preso provvedimenti “tampone” per fronteggiare l’emergenza, ancorché i fondi destinati erano insufficienti al bisogno, ma nessun provvedimento strategico per risolvere alla fonte il bisogno.  L’unico provvedimento serio, era stato il blocco delle esecuzioni degli sfratti (che non aveva però bloccato, scusate l’ossimoro, la crescita dei provvedimenti giudiziari per il riconoscimento degli sfratti, aumentando così il numero delle esecuzioni da fare).

Un blocco concesso per pochi mesi, e via via reiterato fino all’ultimo (che registra delle restrizioni) che arriva al 30 giugno.

Già al Senato c’era stato un tentativo di restringere drasticamente l’applicazione del blocco dell’esecuzione degli sfratti, ora con la partecipazione  della Lega al Governo c’è da temere   seriamente che nella conversione in legge del DL milleproroghe, si trovasse il modo di cancellare il blocco delle esecuzioni degli sfratti.

Cosa succerebbe? Che entro un mese o due le famiglie in difficoltà economica si troverebbero scaraventate in mezzo alla strada perché private dell’abitazione.

Niente è stato fatto  in più di 20 anni, e ancora niente è stato fatto dopo la gravissima crisi economica esplosa in conseguenza delle misure restrittive adottate per fronteggiare la crisi sanitaria, e ora si può  davvero pensare che sia socialmente tollerabile l’equazione perdi i l lavoro = perdi la casa?

Le organizzazioni dell’inquilinato Sunica, Sicet, Unione Inquilini, Asia, Uniat Conia lanciano una giornata di mobilitazione prevista per martedi 16 febbraio con presidi organizzati sotto Prefetture, Comuni e Regioni.

Con convinzione Rifondazione Comunista aderisce alla giornata di mobilitazione partecipando anche con la presenza dei propri sportelli casa.

Non solo siamo convinti che il blocco degli sfratti non debba esser in alcun modo cancellato ma al contrario pensiamo che debba essere prorogato fino alla realizzazione di un piano straordinario casa.

Le soluzioni ci sono, è possibile ampliare sensibilmente il parco degli alloggi pubblici  riconvertendo velocemente il patrimonio pubblico (a qualunque titolo pubblico) compatibile con la residenza. Senza consumo di suolo, è possibile avviare in pochi mesi programmi di riqualificazioni di aree urbane a partire dal ritorno della residenza per alloggi popolari, social housing e affitti calmierati.

Prorogare il blocco delle esecuzioni degli sfratti facendo distinzione tra i piccoli e piccolissimi proprietari (dalla la grande proprietà immobiliare che vuole continuare a speculare), detassandoli subito per gli affitti non percepiti.  Nessuno cada nella trappola di Salvini che invoca la difesa del  proprietario di un unico appartamento, (che non può rientrare in possesso del suo unico bene, semmai per darlo al nipote che non ha casa) per proteggere invece gli interessi della speculazione immobiliare.

La priorità oggi è quella di evitare lo tsunami sociale che nascerebbe dalla scelta di scaricarsi dalle responsabilità nei confronti delle famiglie più fragile, colpite dalla perdita del lavoro o ridimensionamento del reddito e ora anche dalla  perdita dell’alloggio.

Le soluzioni abitative ci sono, non si può scaricare sui più deboli la soluzione di un’emergenza abitativa che colpevolmente i governi hanno ignorato da diversi decenni.

Monica Sgherri, Responsabile nazionale casa e diritto all’abitare

Fabrizio Baggi, Segretario regionale Lombardia

Maurizio Fabbri, Segretario regionale Lazio

Partito della Rifondazione Comunista / Sinistra Europea

Franceschini, ancora?

Pubblicato il 13 feb 2021

E Franceschini sarebbe il migliore? Il ministro democristiano che si è ben adattato a tutti i governi: Renzi, Gentiloni, Conte e ora Draghi?
Il ministro che ha costantemente e pervicacemente legato la cultura e i beni culturali al mercato, il ministro che ha decretato ufficialmente la mercificazione della produzione artistica e del patrimonio culturale?

Il ministro che ha fatto le peggiori riforme del cinema e dei beni culturali?

Franceschini è stato il ministro che in tutti questi anni e in tutti questi governi ha lasciato tutti i settori della produzione, delle attività e dei beni culturali allo sbando.

Franceschini è un ministro della cultura che prende in considerazione la cultura e i beni culturali solo in quanto e se possono produrre utile economico.

Che considera la cultura nient’altro che “tempo libero”, oltretutto non “redditizio”.

Che durante la pandemia ha fatto chiudere musei, gallerie, sale cinematografiche e teatrali, sale per concerti e biblioteche lasciando aperti i centri commerciali (questi sì utili al Paese).

Un ministro della cultura che ha sempre più e ostinatamente eliminato il sostegno diretto alla produzione e ai beni culturali sostituendolo con quello indiretto della defiscalizzazione alle imprese: che vuol dire appunto più sei forte sul mercato più lo Stato ti sostiene.

Un ministro della cultura che in tutti questi anni non ha fatto nulla per dare dignità e diritti ai lavoratori della produzione artistica e dei beni culturali.
Ma la cultura non è una merce.

E’, insieme alla formazione, uno degli strumenti più importanti di conoscenza della realtà, di formazione di una coscienza critica: la cultura, la molteplicità delle culture sono nutrimento delle intelligenze, antidoto al pensiero unico e all’omologazione culturale.

E dunque strumento della lotta contro il genocidio del mercato, il neoliberismo, le disuguaglianze, le discriminazioni, le guerre.

Occorrono allora riforme strutturali per combattere la precarietà e l’intermittenza del lavoro nei beni e nelle attività culturali e che riconoscano ai lavoratori della cultura diritti e ammortizzatori sociali.

Occorre riportare al centro il ruolo dello Stato anche nella cultura, nella consapevolezza che l’unico utile da ricercare è l’utile sociale; occorre che la cultura, la sua produzione e la sua fruizione, diventi realmente un diritto di tutti, come sancito dalla Costituzione.

Che la si consideri un valore in sé, uno degli strumenti più importanti per una reale democrazia.

Ma, come richiesto da Mattarella, il profilo di questo governo è evidentemente “talmente alto” e legato alle banche e alle imprese da non aver bisogno della cultura.

Stefania Brai
Responsabile nazionale cultura del

Partito della Rifondazione Comunista /Sinistra europea

Roma, 13 febbraio 2021

Acerbo (Prc-Se): governo Draghi è una schifezza, costruiamo alternativa di sinistra

Pubblicato il 13 feb 2021

Il governo del banchiere Draghi è una schifezza inguardabile.

E non solo per i ministri politici su cui è impossibile non ironizzare, ma ancor di più per il profilo di quelli tecnici, espressione del mondo delle grandi imprese, della ricerca e delle università private e di Comunione e Liberazione.

La transizione ecologica è una presa in giro affidata a uno di Leonardo Spa, la più grande azienda produttrice di armamenti del paese, passato per la Leopolda.

È la grande coalizione della vergogna, la sintesi della miseria di classi dirigenti che hanno prodotto il declino del paese e la crescita delle disuguaglianze.

Il sostegno di M5S e LeU dimostra che in parlamento non ci sono forze di rottura né di sinistra.

Questo governo non è il male minore ma il peggio che avanza.

Contro questo governo neoliberista l’unica scelta di sinistra è l’opposizione sociale e politica.

Rifondazione Comunista propone a tutte le soggettività della sinistra sociale e politica di lavorare insieme per la costruzione di un’alternativa.
Se non ora quando?

Maurizio Acerbo, segretario nazionale del Partito della Rifondazione Comunista – Sinistra Europea

Governo: Ferrero (Prc), ‘abbraccio liberista Pd-Leu-Lega-Fi per 209 mld Recovery’

Draghi? Da Amato fino a Monti, quando gioco si fa duro giocano i duri non i ragazzini.

“Il grande abbraccio” tra Pd-Leu e Lega-Fi“ è un elemento di verità, ovvero che in fondo, con differenze marginali, centrodestra e centrosinistra condividono le stesse politiche liberiste.

Non è un caso che dal Trattato di Maastricht in poi, fino al pareggio di bilancio in Costituzione, tutti questi partiti abbiano votato insieme.

La finzione vera sta nel bipolarismo che copre la rappresentazione teatrale di partiti che si insultano ma che sull’essenziale la pensano in modo molto simile”.

Lo ha detto all’Adnkronos il vice presidente della Sinistra europea, Paolo Ferrero, esprimendo un giudizio sulla maggioranza che si va costituendo intorno al governo Draghi. “Ormai – prosegue l’ex segretario del Prc – mi sembra fin troppo evidente che nelle fasi ordinarie il vero potere, quello che non si vede e non si presenta certo alle elezioni perché non ne ha bisogno, permette ai ragazzini di giocare. Nelle fasi fuori dall’ordinario, proprio come sta succedendo ora che ci sono 209 mld del Recovery plan da spendere, i ‘grandi’ si riprendono il pallone e giocano loro. I nomi ce li ricordiamo tutti: Amato, Ciampi, Dini, Monti e adesso Draghi. Quando il gioco si fa duro, i duri cominciano a giocare”. “I duri non sono le controfigure che vanno ai talk show. Si presentano come economisti-fintamente tecnici ma sono quanto di più politico ci sia, basta ricordarsi la lettera di Draghi e Trichet sui cui cadde il governo Berlusconi che aprì la strada a Monti. Se quello è un documento tecnico io sono un elefante viola. Quello era un organico programma di politiche liberiste per la distruzione del welfare. Mi chiedo: se Monti ha demolito le pensioni e messo il pareggio di bilancio in Costituzione, Draghi cosa dovrà fare? Spendere 209 mld”, risponde l’esponente di Rifondazione. “Penso questa fase possa essere un’occasione, un’opportunità per costruire un’opposizione sociale, popolare, un’opposizione che non ci sarà nel Palazzo e che, dunque, va fatta nel Paese. E’ dall’opposizione che va ricostruita la sinistra, non solo con le piccole forze politiche che sono rimaste ma con i movimenti – anche con gli scontenti e i fuoriusciti dal M5s, che hanno sperato che il movimento servisse a cambiare qualcosa – le associazioni, quella parte di sindacato che continua a far valere le ragioni di chi intende difendere e soprattutto le persone, arrabbiate e deluse”, conclude Ferrero.

DRAGHI? NO,GRAZIE. COSTRUIRE L’OPPOSIZIONE PER L’ALTERNATIVA.

Documento approvato all’unanimità dalla Direzione nazionale del Partito della Rifondazione Comunista – Sinistra Europea. 

L’incarico conferito a Mario Draghi, accompagnato da un coro mediatico e dall’apprezzamento unanime del parlamento, è un’ulteriore puntata di un film già visto. Siamo nuovamente di fronte al disvelamento di una tendenza che la continua rissa tra i partiti tende a oscurare: la sostanziale convergenza sulle scelte strategiche tra centrodestra e centrosinistra a cui si è aggiunto il M5S.  Nei momenti determinanti il bipolarismo si può sospendere e, per le scelte che incidono sul serio, si può dare l’incarico direttamente a espressioni politico-tecnocratiche del potere capitalistico sulla società. E’ dentro questo quadro che il parlamento e le forze politiche si delegittimano per propria iniziativa e con il proprio consenso. Si ricrea la stessa unanimità che si registrò sull’incarico a Monti e poi nel voto per lo stravolgimento della Costituzione con l’introduzione del pareggio di bilancio.

La governance neoliberista europea ha preso il posto della Costituzione del 1948 come riferimento delle forze politiche da tempo riunite in quello che possiamo definire arco incostituzionale. I trattati europei disegnano un progetto di società e indirizzi che sono antitetici agli obiettivi programmatici della Costituzione. Noi, per questa ragione, abbiamo sempre contrastato l’Europa dei trattati battendoci per un’Europa dei popoli, nell’ambito del gruppo parlamentare europeo Gue/Ngl (ora La Sinistra) e promuovendo il Partito della Sinistra Europea.

La fedeltà alla Nato e il legame di ferro con gli USA, in tempi di nuova guerra fredda a Cina e Russia, contribuiscono a determinare il quadro dell’operazione Draghi.

Viene innalzato a salvatore della patria il banchiere che ha enunciato in maniera chiarissima la necessità di superare il modello sociale europeo, che ha gestito le privatizzazioni, che ha condotto l’attacco alla Grecia.  La biografia di Draghi è quella del neoliberismo e della finanziarizzazione che ha edificato l’attuale Unione Europea e che caratterizza l’attuale fase del capitalismo globale. Non vi è stato un solo partito in parlamento che abbia dichiarato di non gradire il conferimento dell’incarico al banchiere il cui nome non può non essere accostato al Britannia, a Goldman Sachs e al ruolo svolto nella BCE. Non un semplice esecutore ma uno dei protagonisti delle politiche economiche. Per anni la minaccia dell’arrivo della troika è stata usata per terrorizzare l’opinione pubblica e ora l’uomo simbolo della troika del periodo dell’austerity più violenta viene chiamato a guidare il governo e probabilmente tra breve alla Presidenza della Repubblica.

Il governo Draghi è pericolosamente autoritario perché, sul piano costituzionale, configura ed attua un presidenzialismo di fatto e farlocco, senza regole e contrappesi. Il presidente Mattarella ha svolto, esasperando il pericolo di un presunto “stato di guerra” e di tracollo della nazione, la funzione di sacerdote officiante del “commissario banchiere”. Nello “stato di eccezione”, del resto, si rivela il vero “sovrano”. Giunge al culmine la crisi della rappresentanza: il luogo della politica non è più quello del conflitto tra differenti concezioni del rapporto tra economia e società ma quello dell’amministrazione della società secondo gli indirizzi che vengono dal capitale. Draghi non è un “tecnico” puro, ma l’espressione della governance dell’Unione Europea, che impone l’equilibrio politico agli Stati. Draghi è, quindi, espressione della crisi della democrazia costituzionale e acceleratore della tendenza europea alla piena marginalizzazione del Parlamento (gravissima è stata, in questa direzione, la legge costituzionale sulla riduzione netta e lineare del numero dei parlamentari). Il potere decisionale diventa puro appannaggio dell’esecutivo, che concentra l’intero processo politico. E il commissariamento di fatto scatta quando di fronte alla crisi e all’ingente quantità di risorse per fronteggiarla c’è bisogno di una gestione forte da accompagnare con “riforme” per ristrutturare il capitalismo italiano.

In attesa dell’enunciazione del programma è facile immaginare che il governo non sarà la copia carbone dell’esecutivo guidato da Monti in un’altra fase. Non bisogna ingannarsi sul fatto che oggi la crisi richieda, anche dal punto di vista capitalistico, di fare debito e spesa pubblica. Le politiche neoliberiste non si traducono sempre in termini di tagli e rigore, come dimostra l’uso spregiudicato che ha fatto lo stesso Draghi del Quantitative Easing e dello spread per “sorvegliare e punire” le società europee imponendo riforme strutturali altrimenti troppo impopolari. Il profilo del candidato a Presidente del Consiglio e l’assetto della maggioranza in formazione creano le premesse per una riunificazione della borghesia per l’utilizzo delle risorse a disposizione, per l’avvio di un processo di ristrutturazione della società italiana selettivo in cui sono in gioco: il destino dello stato sociale e del sistema dei diritti.

Il risultato del “salvatore dell’euro” è stato quello di far pagare i costi della crisi alle classi popolari e di impoverire il nostro paese. E’ stata questa gestione – con le lettere e le raccomandazioni di tagliare la sanità, precarizzare il lavoro, privatizzare, riformare le pensioni, ridurre il ruolo del pubblico – che ci ha reso più fragili a fronte della pandemia e auna nuova crisi sociale e economica.

Non c’è da essere sereni neanche davanti ai discorsi sulla “distruzione creativa” del documento presentato al G30 con l’abbinamento tra “imprese zombie”, cioè tecnicamente morte, e crediti deteriorati, entrambi elementi in crescita attenzionati da UE e finanza globale. Il nesso con le PMI (le più numerose tra le “zombie”) per l’Italia è micidiale dato che l’80% della manodopera sta nelle PMI.

Emerge in questa situazione quanto il carattere antisistemico del populismo sia apparente e per molti versi falso. Partiti che hanno costruito il loro successo cavalcando la parola d’ordine noeuro come la Lega e il M5S – che aveva già votato per Ursula von der Leyen – si convertono all’europeismo per essere legittimati nell’area di governo. Non c’è nulla di sorprendente se si considera che Orban fa parte del partito europeo della Merkel e che i referenti nazionalisti della Lega sono sostenitori del rigore. L’antifascismo e l’antirazzismo non contano più di tanto se la destra si allinea con la governance  europea. Emergono anche in maniera chiara le ragioni del nostro no alla convergenza in un progetto come LeU che – come era stato facile prevedere – non poteva assumere il ruolo proprio di una sinistra che si voglia nuova e radicale.

In questo quadro bisogna dare voce a un punto di vista diverso. Oggi più che mai c’è la necessità di costruire un’opposizione sociale e politica che proponga un’alternativa di società e un programma di uscita dalla crisi fondato sul rilancio del pubblico, la democrazia,  la redistribuzione della ricchezza,  i diritti sociali, a partire da quelli di lavoratrici e lavoratori. La vicenda dei vaccini – con il rifiuto della Commissione Europea di impegnarsi per la messa a disposizione dei brevetti – mostra quale sia la logica del neoliberismo anche di fronte alla pandemia.

Nelle lotte e nelle mobilitazioni, come alle elezioni amministrative e regionali, lavoriamo con spirito unitario in alternativa a questo quadro politico e al partito unico delle banche e delle imprese. La nascita di una coalizione alternativa in Calabria con le candidatura di Luigi De Magistris, su cui convergono Mimmo Lucano e Carlo Tansi, rappresenta un fatto positivo in questa direzione.

Il nostro partito deve impegnare tutte le sue energie nella campagna in corso “Draghi? No, grazie” che va sviluppata in tutto il paese come prima risposta volta a rompere la narrazione dominante. 

Bisogna lavorare per la più larga mobilitazione unitaria di tutta la sinistra antiliberista e anticapitalista sociale e politica. Proprio i valori dell’antifascismo e i principi della Costituzione del 1948 impongono il rifiuto della logica del partito trasversale delle banche e delle grandi imprese.

Ma quanto sta accadendo dimostra per l’ennesima volta che in Italia si pone la necessità di costruire l’alternativa di sinistra, antiliberista, ambientalista, civica.

Rifondazione Comunista propone quindi a tutte le soggettività che condividono tale urgenza di lavorare insieme alla costruzione di un percorso aperto e plurale per l’alternativa sociale, culturale e politica ai poli e agli schieramenti politici esistenti.

L’appello dell’ANPI e noi

Pubblicato il 16 gen 2021

di Maurizio Acerbo

Abbiamo aderito all’appello proposto dall’ANPI “Uniamoci per salvare l’Italia” perché condividiamo da sempre l’impegno per la difesa e l’attuazione della Costituzione repubblicana del 1948, il rifiuto di ogni forma di razzismo e discriminazione, la lotta contro i nuovi fascismi, le idee che il testo propone come base indispensabile per affrontare la crisi che viviamo. 

L’ANPI e le altre associazioni che salvaguardano la memoria della Resistenza e della deportazione sono per noi la casa comune di tutte le antifasciste e gli antifascisti. All’ANPI va riconosciuto che ha sempre coniugato la tensione unitaria propria della tradizione antifascista all’autonomia dai governi e dai partiti, come ha dimostrato negli ultimi due referendum costituzionali o nel mese di novembre con la netta presa di posizione contro l’autonomia differenziata.

Oserei dire che tra i soggetti politici che hanno sottoscritto l’appello forse siamo gli unici che possono dire forte di essere stati sempre schierati dalla parte della Costituzione e che hanno un programma che va nella direzione proposta. 

Proprio per la nostra fedeltà a quei principi abbiamo scelto una linea di alternativa ai poli politici esistenti, alla destra come a quelli che compongono l’attuale coalizione di governo.  

La nostra alterità non ci ha mai impedito e non ci impedisce la convergenza unitaria in tutte le mobilitazioni antifasciste e antirazziste, in tutte le iniziative volte a trasmettere la memoria in un paese in cui è costante il tentativo di riabilitare il fascismo. Sono di altri le contraddizioni tra quel che si dice il 25 aprile e quel che si fa e vota durante l’anno.

Le nostre compagne partigiane Lidia Menapace, Tina Costa e Bianca Braccitorsi hanno mostrato come si possa essere sempre in prima fila in ogni mobilitazione unitaria senza mai cedere di un millimetro rispetto alle proprie posizioni.

Il documento proposto dall’ANPI non riguarda il terreno elettorale e i rapporti tra i partiti, terreni che esulano dai compiti dell’associazione. Altrimenti essa stessa diverrebbe fattore di divisione e non luogo in cui si incontrano e convivono tantissime/i cittadine e cittadini che si riconoscono nell’eredità della Resistenza che fu, soprattutto per iniziativa del Partito Comunista Italiano, un grande movimento unitario e plurale.

Nella lunga stagione del bipolarismo si è abusato della strumentalizzazione dell’antifascismo e dell’appello contro la destra. Un richiamo sempre agitato da chi ha voluto quei sistemi elettorali maggioritari che i costituenti avevano rigettato. A questo ricatto qualsiasi democratico dovrebbe rispondere: se la destra è così pericolosa perché avete voluto i premi di maggioranza che le consentirebbero di stravincere? Questa logica tra l’altro ha contribuito a spostare a destra metà del paese invece di isolare le componenti neofasciste come accadeva fino ai primi anni ’90.

L’unità a cui ci ha chiamato l’ANPI confidiamo innanzitutto che si traduca in un sempre più forte impegno comune per la messa al bando delle organizzazioni neofasciste che era stato oggetto di un precedente appello “Mai più fascismi” su cui sono state raccolte poi centinaia di miglia di firme.

Fu la scomparsa compagna Carla Nespolo a proporre appello e tavolo unitario a partiti, sindacati e associazioni per confrontarsi e condividere le iniziative su questi grandi temi. Il nuovo presidente Gianfranco Pagliarulo, a cui rinnoviamo i nostri auguri di buon lavoro, prosegue su quella strada. 

Non nascondiamo che nel partecipare a questi luoghi unitari ci troviamo a volte in un certo imbarazzo perché la questione ineludibile da anni è quella della contraddizione tra i principi fondamentali della Costituzione nata dalla Resistenza e le politiche neoliberiste e sicuritarie portate avanti anche dai partiti che aderiscono all’appello.

Il testo si richiama a principi che dovrebbero essere condivisi da tutte le formazioni politiche che vogliano definirsi democratiche. Purtroppo non lo sono, apertamente da quelle della destra illiberale e xenofoba, nei fatti assai spesso da quelle ora al governo.

Auspichiamo che l’appello costituisca dunque un richiamo alla coerenza per i partiti che lo hanno sottoscritto a partire dall’approvazione di una legge elettorale proporzionale che garantisca il pluralismo e metta in sicurezza le istituzioni democratiche da nuovi tentativi di stravolgimento della Costituzione.

Antonio Gramsci ci ha insegnato che “la verità è rivoluzionaria”. Ed è doveroso ricordare che le modifiche costituzionali e le leggi elettorali che hanno svuotato il ruolo del parlamento, diviso il paese e alterato gli equilibri dei poteri sono tutte state approvate da partiti che hanno sottoscritto con noi l’appello. E la stessa responsabilità può essere individuata nel gravissimo arretramento sul piano dei diritti sociali sanciti nella Costituzione.

Alle radici della crescita di una destra mai così forte tra le classi popolari ci sono le politiche che accrescono le disuguaglianze, la precarizzazione del lavoro, la perdita di tutele e diritti per chi lavora, le privatizzazioni, lo smantellamento del ruolo del pubblico in economia, i tagli a scuola, sanità, servizi, l’abbandono delle politiche per la piena occupazione, le leggi inaccettabili sull’immigrazione e l’ordine pubblico, la crescita della spesa militare, l’assenza di politiche per la casa, il saccheggio dei beni comuni. E anche la mancata difesa della storia di chi ha dato un contributo essenziale alla nascita e allo sviluppo della nostra democrazia.

Quando cantano Bella Ciao in parlamento quelli che vogliono mandare in pensione la gente a 70 anni è davvero singolare che ci si stupisca della presa di Salvini tra lavoratrici e lavoratori. 

Negli ultimi undici anni – tranne il breve anno del governo Conte1  – il PD è sempre stato al governo. Il risultato è una destra fortissima e a egemonia trumpiana. 

Non si difende la democrazia e la stessa convivenza civile con politiche che ne erodono le basi di consenso e di partecipazione aprendo la strada alla peggiore demagogia di destra e all’imbarbarimento della società.

Non si difende la democrazia se si alimentano il revisionismo storico e la delegittimazione dei comunisti che furono la componente principale dell’antifascismo e della Resistenza votando risoluzioni che li equiparano ai nazisti.

E non ci stancheremo mai di ripetere che la democrazia si riduce a un misero simulacro se sulle grandi questioni decide il “pilota automatico” e si considera come proprio imperativo la zelante attuazione delle raccomandazioni arrivate per anni dalla Commissione Europea e dalla Bce e il rispetto di trattati che contraddicono la nostra carta. Tantomeno abbiamo mai smesso di ricordare che l’indignazione morale e la sensibilità per i diritti umani non possono essere intermittenti, brandite nella polemica contro Salvini e Meloni, attenuate e accantonate quando le responsabilità sono da addebitarsi a PD e M5S.

Per ricostruire l’Italia dopo la pandemia bisogna ridare centralità ai principi fondamentali della nostra Costituzione e farla finita con il neoliberismo.

L’unità più larga possibile nel riferimento ai valori dell’antifascismo va sempre salutata positivamente ma non cancella le differenze politiche che da tempo sono molto forti.

Per noi la Costituzione non è un testo da leggere a messa la domenica, ma un programma di lotta per la trasformazione della società. 

LA LORO CRISI, LE NOSTRE PROPOSTE

Pubblicato il 16 gen 2021

RIFONDAZIONE COMUNISTA

Documento approvato con tre astensioni dalla direzione nazionale del 14 gennaio 2020. 

La crisi di governo rappresenta un’ennesima pagina della degenerazione del sistema politico del nostro paese, ancora più grave perché si innesta in un quadro di crisi, gravissima, sia sanitaria che sociale, con milioni di lavoratrici e lavoratori, dipendenti o autonomi che siano, che vivono con poche centinaia di euro al mese o sono addirittura senza alcun reddito, con la prospettiva fra qualche mese di doversi confrontare con la fine del blocco dei licenziamenti e degli sfratti.

Dopo due decenni di leggi elettorali incostituzionali, adesione al pensiero unico neoliberista di tutti gli schieramenti, celebrazione del leaderismo e della spettacolarizzazione siamo giunti a una crisi di cui la maggior parte delle italiane e degli italiani non capisce nemmeno l’oggetto.

Chi nella maggioranza critica la deriva personalistica di Renzi dovrebbe riflettere sulle proprie responsabilità. Mentre il “pilota automatico” decide sull’essenziale, la dialettica politica scade nella faziosità e nella polemica becera in cui i vari personaggi e soggetti politici devono ritagliarsi uno spazio che non possono conquistare con la forza della prospettiva ideale e di impianti programmatici alternativi.

Il risultato degli apprendisti stregoni dell’attuale maggioranza è che la vittoria delle destre in caso di elezioni anticipate sarebbe di dimensioni enormi per effetto della legge elettorale in vigore e del taglio del numero dei parlamentari e consentirebbe ai trumpiani nostrani di eleggere il Presidente della Repubblica e di stravolgere la Costituzione con il presidenzialismo e un ancor più forte “regionalismo differenziato”.

Va respinto il riproporsi della polemica contro i “partitini” che ha già condotto dal 1994 al progressivo svuotamento del parlamento e a un sostanziale restringimento del pluralismo e della democrazia nel nostro paese. Mentre con gli sbarramenti sono state estromesse dalla rappresentanza le forze non allineate come Rifondazione Comunista, le leggi elettorali hanno amplificato il trasformismo e la fine dei partiti come organizzazioni popolari con una fisionomia ideale e programmatica e un radicamento nel paese. Il gruppo parlamentare di Italia Viva nasce da una scissione di elette/i nelle liste PD e della sua coalizione guidata dall’ex-segretario di quel partito.

Respingiamo indignati il paragone che in questi giorni è stato brandito in maniera ricorrente tra le battaglie di Rifondazione Comunista e Renzi. E’ un’analogia priva di fondamento. Il renzismo è un prodotto della lunga stagione dell’Ulivo e del centrosinistra, a Prodi ricordiamo che Renzi è figlio della sua politica non della nostra.  Rifondazione Comunista ha rotto con i governi e si è scontrata col centrosinistra per dire no a guerre, privatizzazioni, precarizzazione del lavoro, per difendere scuola, sanità, servizi pubblici e beni comuni. Rifondazione Comunista ha difeso in parlamento gli interessi di lavoratrici e lavoratori, disoccupate/i, pensionate/i i cui diritti sono stati spesso e volentieri massacrati dal centrosinistra.  C’è una differenza abissale tra chi chiede il MES e chi non votò il Trattato di Maastricht mettendo in guardia rispetto a regole europee che tutti oggi ammettono che si debbano cambiare. La nostra proposta di riduzione dell’orario di lavoro a 35 ore settimanali divenne legge in Francia e anticipava un dibattito che oggi è aperto in tutto il mondo. Rifondazione Comunista ha sempre portato in parlamento le istanze dei movimenti sociali e della classe lavoratrice, Renzi è solo uno dei tanti ventriloqui di Confindustria e dei grandi gruppi capitalistici spesso parassitari e certo non ne mancano nelle forze che sostengono il governo. Basti pensare a come hanno affrontato la questione delle concessioni autostradali dopo la strage del Ponte Morandi.

Si esce da questa fase di confusione e trasformismo solo rimettendo al centro i problemi del paese e chiare alternative programmatiche.

Il nostro giudizio su Renzi è di lunga data e le sue proposte a partire dal MES le consideriamo dannose. Ma questo non cancella la nostra critica alla linea del governo.

Nel Palazzo oggi non c’è una proposta politica e programmatica di sinistra.

LA NOSTRA CRITICA AL RECOVERY PLAN

Oggi più che mai è indispensabile riportare l’attenzione sui problemi enormi che vive il paese.

Visto come si sono susseguite le formulazioni, un giudizio definitivo sul Recovery Plan si potrà dare solo alla fine di un percorso ancora molto incerto nelle postazioni delle risorse, nelle strutture operative e gestionali, nei tempi di completamento e nei contenuti delle “riforme” richieste da Bruxelles per la sua approvazione. Possiamo intanto rilevare alcuni gravi limiti.
Il più grave consiste nell’utilizzo di un terzo dei fondi disponibili, la metà dei prestiti, in sostituzione di risorse ordinarie per interventi già programmati invece che in nuovi investimenti. E’ una scelta in linea col pensiero economico neoliberista, clamorosamente smentito dai fatti,  che da molti anni persegue  la riduzione del debito attraverso i tagli con le disastrose conseguenze note sia per le gravi sofferenze sociali che  per il debito e per l’insieme dell’economia.
I fondi già scarsi vanno assolutamente utilizzati tutti per nuovi investimenti se vogliamo cominciare a sanare i danni prodotti dalla pandemia e soprattutto i gravissimi ritardi e storture economiche e sociali prodotti da decenni di politiche neoliberiste.
La destinazione delle risorse poi, fatto salvo il rispetto delle grandi linee indicate dalla Commissione europea, viene fatta in assenza di una politica industriale che definisca gli assi economici e le filiere produttive da privilegiare, confidando in quella discrezionalità dei mercati e delle imprese che sono responsabili delle difficoltà del sistema economico e produttivo italiano.
Sono totalmente insufficienti le risorse destinate al Pubblico nel suo insieme, alla sanità e alla scuola in particolare, che richiederebbero risorse ben più significative sia per le strutture che per il personale.
Manca totalmente un piano per il lavoro che proprio nell’assunzione di almeno 500 mila nuovi dipendenti pubblici avrebbe un punto di forza cui aggiungere almeno:
– la creazione di lavoro in un grande piano di risanamento idrogeologico del territorio,
– la subordinazione dell’erogazione delle  risorse alle aziende a precisi vincoli occupazionali in connessione con la riduzione dell’orario di lavoro a parità di salario, in sostituzione di politiche attive da rivedere insieme al reddito di cittadinanza e agli incentivi alle imprese che producono impatti negativi in campo ambientale. E’ gravissima la distribuzione non equilibrata dei trasferimenti e degli investimenti tra nord e sud.

Un punto di particolare gravità del Recovery Plan, evidenziato anche dalla scomparsa della parità di genere dalle linee strategiche dell’ultima bozza, riguarda la mancanza di un piano vero per l’incremento della quota di donne occupate per il quale ci si affida a quella che in una sottomissione viene definita inclusione sociale che come è ovvio riguarda sia gli uomini che le donne. Mentre il fatto che i fondi dedicati siano quelli del react eu destinati a copertura di misure urgenti per i danni della pandemia nel sud conferma la mancanza di una prospettiva strategica che sarebbe necessaria.

Manca totalmente un piano per le case popolari la cui urgenza è drammaticamente sottolineata dai numeri allarmanti degli sfratti esecutivi momentaneamente bloccati, delle procedure in corso e delle domande di casa popolare senza risposta.
Un capitolo rilevante, soprattutto per la gestione inaccettabile che si intende farne,  è quello che riguarda le infrastrutture idriche cui sono destinate risorse per circa 4 miliardi ma senza ripubblicizzazione del servizio idrico integrato. L’uso delle risorse destinate in gran parte al sud è legato infatti all’affidamento del servizio a gestori idrici integrati dotati di un organizzazione industriale adeguata con l’obiettivo, sottolinea l’Arera, della “prosecuzione del processo di razionalizzazione e consolidamento del panorama gestionale”. Lo scopo è un ulteriore attacco all’acqua pubblica sottraendo la sua gestione anche ai comuni del sud per affidarla alle grandi multiutility del nord e inferendo nuove gravissime  lesioni alla democrazia  e alla volontà popolare.
Riteniamo infine  gravissimo che in un documento che spende moltissime parole sulle disuguaglianze non ci sia nulla su quella legata alla distribuzione del reddito di cui i salari italiani, tra i più bassi d’Europa, sono la componente principale, quella che deprimendo pesantemente la domanda è la principale responsabile del rallentamento economico.
Al questo riguardo riteniamo indispensabile l’avvio di un percorso complesso in cui si intreccino vincoli precisi alle imprese che ricevono risorse, tra cui i rinnovi contrattuali, lotta vera alla precarietà, all’economia illegale e ai contratti pirata con un provvedimento immediato: l’introduzione di un salario minimo legale di dieci euro al netto di ferie, tredicesima/quattordicesima  e festività.

Nei mesi scorsi abbiamo indicato una serie di misure indispensabili per affrontare l’emergenza sociale e la pandemia.

Ribadiamo la nostra denuncia della gravità di un piano pandemico che esplicitamente legittima la selezione dei pazienti da assistere mentre si ignorano gli appelli a misure coerenti di contenimento del contagio. Riteniamo indecente che si continuino a spendere miliardi in spese militari mentre emerge gravissima la carenza di personale e strutture nella sanità, nella scuola e in tutto il settore pubblico.

In questa situazione mentre in parlamento e sui media si sviluppa una crisi incomprensibile riteniamo doveroso che il nostro partito si mobiliti in tutto il paese avanzando le nostre proposte per affrontare la crisi sociale e sanitaria e difendere la democrazia.

La Direzione Nazionale impegna, in particolare, tutte le federazioni e i regionali una giornata di mobilitazione nazionale per il prossimo 23 gennaio con presidi e iniziative.

Il 18 gennaio si terrà un presidio a Roma in Piazza Montecitorio a partire dalle ore 14.

Trump cinico e baro su Cuba

Pubblicato il 12 gen 2021

Marco Consolo*

A pochi giorni dal cambio di governo alla Casabianca, il terrorista Trump qualifica Cuba come Stato patrocinatore del terrorismo.

È il mondo al rovescio.

I fatti dimostrano chiaramente chi è il vero terrorista. I governi statunitensi non hanno alcuna morale per qualificare Cuba come uno Stato terrorista, visto che, da più di 60 anni, istigano il terrorismo contro il popolo cubano.

In queste stesse ore, la stessa Camera dei Rappresentanti statunitense ha annunciato un disegno di legge per l’impeachment contro Donald Trump, definendolo “una minaccia alla democrazia” dopo l’assalto al Campidoglio.

Il Dipartimento di Stato manipola la questione del terrorismo con un opportunismo grossolano, per soddisfare quei settori della destra estrema che hanno fatto dell’aggressione contro Cuba uno stile di vita ed un business.

E invece di vergognarsi, Trump frustrato e sconfitto, cerca di condizionare la nuova amministrazione mettendola di fronte al fatto compiuto.

Rifondazione Comunista respinge al mittente il cinismo e l’ipocrisia dell’amministrazione Trump e si unisce a tutti coloro che nutrono un’onesta preoccupazione per il flagello del terrorismo e per le sue vittime.

Cuba esporta medici, non bombe e terrorismo come i governi di Washington !

*Resp. Area Esteri e Pace PRC-SE

Rifondazione: il governo prepara un piano pandemico con cui si seleziona chi curare?

Pubblicato il 12 gen 2021

A proposito dell’articolo comparso sul Corriere della Sera e diverse altre testate, relativo alla bozza del piano pandemico 2021-2023 che prevederebbe che “In caso di crisi prima le cure a chi ne trae beneficio”.

Un’affermazione ed una indicazione tanto impressionante quanto inaccettabile, un piano pandemico deve prevedere come fare fronte alle esigenze, quali siano gli investimenti dove allocare le risorse.

Il senso di un piano, insomma, è l’opposto di quello che si scrive.

Serve ad essere preparati e a scongiurare condizioni che obblighino a scelte di quel tipo. Sancire in un piano la possibilità di non coprire tutte le esigenze è un precedente terribile, la scelta tra una persona ed un’altra fondata sulla probabilità di efficacia della cura, è immorale e illegale, è anticostituzionale!

Non è solo qualche presidente regionale di Confindustria che fa affermazioni spregevoli, qui si tratta di una barbarie espressa dal governo!

Insomma, un piano pandemico deve quantificare le risorse necessarie per affrontare la pandemia e allocandole affinché il piano possa essere attuato.

Il Governo faccia chiarezza e ripristini il diritto universale alla salute previsto dall’art. 32 della Costituzione, eviti le solite dichiarazioni utili a nascondere la mano dopo aver lanciato un sasso che fa davvero male!

Maurizio Acerbo, Segretario nazionale Rifondazione Comunista

Rosa Rinaldi, Responsabile sanità, PRC-S.E.