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 “Cara” Università

26 Novembre 2023

Fonte: https://www.sulatesta.net/cara-universita/

Foto: http://Foto da www.open.online

Simone Rossi*, Edoardo Casati**

Uno dei tanti cori delle mobilitazioni universitarie di quest’anno è stato: “La borsa di studio non si tocca/ci togliete il cibo dalla bocca!”.

“Solo un coro” qualcuno potrebbe dire; “un grido di aiuto e di rabbia” diciamo noi.

Un grido che rende palese la necessità, per tutte le studentesse e gli studenti d’Italia, di avere accesso all’istruzione fino al più alto grado. A oggi, infatti, non è così, e anzi l’università italiana è elitaria, e come istituzione in grado di fornire il più alto grado di formazione sta morendo.

Errore: accesso negato

Per capire la realtà dei costi universitari, basti citare il fatto che le persone diplomate che intraprendono il percorso universitario sono appena 2/3 del totale, e pochissime provenienti da istituti professionali, dove di solito va chi viene dalle famiglie meno abbienti. Quando parliamo di costi, infatti, dobbiamo considerare, oltre a quelli elevati delle tasse universitarie, anche i costi dei libri (difficili da trovare nelle biblioteche che hanno sempre meno risorse), della mensa, del trasporto. In molti casi, vi è il trasferimento in una località diversa dalla propria o, come alternativa, lunghi viaggi in treno: appena il 40% delle persone frequenta infatti l’università nella stessa provincia in cui si diploma (pensiamo a chi vive in piccoli borghi o al Sud e nelle Isole). Bisogna poi tenere conto che il diritto all’accesso agli studi dipende molto dalle risorse della singola università, che variano in base alla sua posizione e dimensione. Tutto questo senza contare che il percorso universitario spesso non consente di lavorare. Secondo alcuni dati, è chiaro perché nelle università italiane il numero di persone laureate, che vengono dalla numerosissima classe lavoratrice, è uguale a quello di chi viene dalla minuscola minoranza dei ceti privilegiati, a ulteriore conferma che non esiste in Italia un’università di massa. 

Eppure, esisterebbero diritti istituiti appositamente per garantire il diritto allo studio, come alloggi e borse di studio.

La questione delle borse è, ovviamente, strettamente legata alle tasse universitarie, il cui aumento da decenni dimostra il disinteresse dei nostri governi nel garantire a tutte le persone la possibilità di studiare; per rendere ancora più chiaro questo disinteresse, va detto che la gestione delle borse, di competenza regionale e quindi dipendente dalle risorse di ogni regione, è basata su uno stanziamento di fondi preventivo e a esaurimento. Le differenze sono enormi, in termini di possibilità di spesa tra regione e regione, con un solco profondo tra le regioni del Nord e quelle del Sud. Ciò ricade a cascata anche sulla capacità dei singoli atenei di assicurare effettivamente l’accesso alle risorse universitarie per tutte le studentesse e tutti gli studenti. Accade anche molto spesso che chi vince una borsa, per mantenerla, debba continuare a ottenere risultati eccellenti e senza rimanere indietro, pena la restituzione dell’intero importo della borsa. Insomma, è “il danno oltre la beffa” per quelle famiglie che non si sarebbero potute permettere i costi dell’università e che, proprio per questo, hanno richiesto una borsa, rischiando di ritrovarsi, a percorso intrapreso, a dover far fronte a delle spese che, senza il supporto dello Stato, non sarebbero mai riuscite a sostenere e che forse, se il supporto fosse mancato sin dall’inizio, non avrebbero nemmeno mai pensato di intraprendere.

La conseguenza dei tagli all’accesso all’università è che una parte consistente della popolazione studentesca è costretta a lavorare per poter studiare; spesso in nero, date le condizioni lavorative di questo paese.

Per quanto riguarda gli alloggi la situazione è drammatica, se pensiamo che solo in due regioni italiane il totale degli alloggi universitari supera il 10% di quelli che sarebbero necessari per tutte le persone fuorisede. Numeri ridicoli.

L’arrivo: gli strumenti per potersi laureare

Un altro elemento, emblematico della controrivoluzione portata avanti nell’università sin dagli anni ‘80, è quello delle facoltà a numero chiuso, funzionali a ridurre il numero di figure professionali laureate in vari settori, pensiamo per esempio ai medici, mentre, sul modello statunitense, vengono gradualmente ridotte le persone laureate in medicina per sostituirle con quelle di infermieristica e professioni sanitarie, una dimostrazione evidente a chiunque dello squilibrio gravissimo tra le pretese del tanto decantato “mercato” e le necessità della popolazione.

Di contro, dove il numero chiuso non c’è, vediamo un sistema universitario che punta sempre di più sulla quantità delle persone che ogni anno effettuano l’iscrizione senza alcun interesse per la qualità della preparazione da fornire, e senza per questo ampliare il personale docente o gli spazi accademici, con un forte impatto sulla quotidianità della popolazione studentesca. Malgrado questo tentativo di puntare alla quantità, la popolazione universitaria in Italia negli ultimi anni sta calando, mentre tra chi prosegue gli studi dopo le scuole superiori sono sempre di più le persone che fuggono dall’università pubblica preferendo. Chi è benestante quella privata, chi non lo è, quella telematica. In quest’ultimo settore stiamo assistendo, in Italia, a un vero e proprio exploit: nell’anno universitario 2010/11 le persone iscritte alle università telematiche erano 40 mila, oggi assistiamo a crescite esponenziali che ci portano ad avere, nell’anno 2020/21, 185 mila iscritte e iscritti. Nonostante ciò, le università italiane non fanno nulla per includere le studentesse e gli studenti che sono più in difficoltà, non garantendo neppure l’affiancamento con tutor. In questo modo si spinge queste persone ad abbandonare gli studi.

L’accesso all’istruzione universitaria non è più un “servizio” (un diritto, diremmo noi) da estendere progressivamente, ma diviene un privilegio che ci si può permettere di iniziare ma che solo poche persone possono riuscire a concludere, perché foraggiate dalle possibilità economiche della famiglia, che permettono loro di poter usufruire di ripetizioni o corsi privati di “potenziamento”. È ovvio, altresì, che questa situazione di mancata solidarietà e di mancato sostegno mette in luce (anche qui come nella società tutta) le differenze di classe più marcate. Si dice spesso, a ragione, che l’università si è via via trasformata in un mero “esamificio”, dove l’unica cosa che conta è la corsa per quel pezzo di carta che sta perdendo progressivamente ogni valore, se confrontato con le università private d’élite. Già ora non dice più quasi nulla di conoscenze acquisite. In questa corsa, chi può si fa aiutare privatamente, e chi non può soccombe. Questa differenza dimostra il classismo del concetto di “meritocrazia” che la destra tiene a imporre. In una società in cui le persone più abbienti possono permettersi ripetizioni e approfondimenti fatti privatamente, non ha senso pensare di poter fare paragoni con chi, invece, non riesce fare fronte a questa spesa o con chi, pur riuscendoci, deve tentare di moderarla il più possibile, dato l’altissimo impatto che una spesa del genere ha sul budget familiare.

Una visione d’insieme: che fare?

Sarebbe facile considerare questo insieme di problematiche come dipendente da scelte della singola università, come una “cattiveria” non necessaria. Non è purtroppo così. Per quanto le istituzioni universitarie siano quasi sempre in accordo con questo piano di svendita del diritto allo studio, ciò che rende il processo qualcosa di strutturale è l’ANVUR, ente controllato dal Ministero dell’Università e della ricerca (MUR) e che si occupa, per esempio, di gestire il finanziamento pubblico delle università, sulla base di una serie di indicatori che mettono le università in competizione tra loro e le forzano a tagliare sulle spese sociali, oltre a costringerle a rivolgersi a finanziamenti privati per colmare quella parte di bilancio che l’ANVUR strutturalmente non  sostiene: un meccanismo nazionale di spolpamento dei nostri diritti.

Ci auguriamo che risulti chiaro il perché delle mobilitazioni per gli alloggi e per il diritto allo studio in generale. Per poter studiare dignitosamente, tuttavia, è prioritario riuscire a ricostruire un movimento universitario nazionale che abbia la forza di rispondere a questi attacchi, partendo da chi si sta già mobilitando: dalle proteste contro l’aumento dei costi della mensa a Torino, alle università chiuse alle persone non iscritte come a Bologna, dall’attacco alle infiltrazioni delle grandi compagnie del fossile o dell’entità sionista come a Roma, al rilancio dell’alleanza tra comunità studentesca e classe lavoratrice, per convergere ed insorgere insieme, come a Firenze con la vertenza GKN, cercando di ricostruire un blocco che comprenda anche studentesse e studenti medi, sempre con attenzione verso chi non può studiare per motivi economico-culturali.


* 23 anni, studente di filosofia all’università La Sapienza di Roma. Membro dei GC nella federazione di Roma e responsabile scuola ed università per la stessa federazione. Già in precedenza in altre organizzazioni, da 4 anni nel coordinamento dei collettivi della Sapienza.

** 20 anni, studente di scienze politiche all’ università di Pavia.  Dal 17 Settembre 2019 é coordinatore dei/delle Giovani Comunisti/e della federazione di Pavia. Candidato alla carica di consigliere regionale nelle elezioni del 2023 nella lista di Unione Popolare. Dal 27 Luglio 2023, a seguito della conferenza nazionale GC, é nominato responsabile nazionale saperi.

Mobilitiamoci per cambiare scuola e Università. Per sodalizzare con il popolo palestinese

17 Novembre 2023

SCUOLA E UNIVERSITÀ SI FERMANO!

È stato proclamato uno sciopero nazionale per tutta la giornata del 17 novembre 2023 a cui come GC aderiamo con convinzione. È importante che ogni studentessa e ogni studente si fermi per protestare contro il continuo impoverimento di tutto il settore dell’istruzione e della conoscenza.

Chiediamo che venga portata avanti una politica di ampliamento degli studentati e l’intervento dello stato per impedire la speculazione selvaggia sui costi degli affitti.

Vogliamo il rifinanziamento pubblico delle università per migliorare la vita della popolazione studentesca. Diciamo basta ai finanziamenti privati delle grandi aziende che impongono alle università l’indirizzo dello studio e della ricerca!

Richiediamo la piena attuazione delle carriere alias a scuola e in università. Vogliamo percorsi di educazione emotiva e sessuale durante l’orario di lezione, oltre alla figura dello psicologo scolastico in ogni istituto.

Riteniamo fondamentale l’abrogazione dei percorsi PCTO. L’inserimento di attività pratiche nelle scuole non può essere una scusa per educare le nuove generazioni a un lavoro non sicuro e non pagato.

Gli stessi PCTO sono purtroppo portati avanti anche in collaborazione con il complesso militare-industriale, indirizzando così le menti al suprematismo, al militarismo, alla svalutazione della vita umana. Necessitiamo di uno Stato che educhi a stare dalla parte dei popoli e contro il colonialismo, in Palestina come altrove.

Desideriamo infine che le università italiane si schierino pubblicamente contro il regime di apartheid ed il genocidio in atto da parte di Israele, e che cessino, intanto, ogni rapporto con questo.

GIOVANI COMUNISTI/E


SALARIO MINIMO: LA NOSTRA POLITICA PULITA CONTRO LA LORO OPPOSIZIONE AL RIBASSO

19 Agosto 2023

EDOARDO CASATI

É da due mesi che ci sbattiamo nelle città raccogliendo le firme per la legge di iniziativa popolare sul salario minimo.

Dopo due mesi saltano su, belli belli, PD +5S+SI+AZIONE e decidono che é ora di presentare in parlamento un disegno di legge simile alla nostra proposta ma con un euro in meno (9 invece di 10) e soprattutto senza adeguamento ai costi della vita.

Per qualche motivo oscuro decidono, poi, di avviare una raccolta firme su Change.org (quindi senza nessun tipo di valore legale).

Ora: per non saper né leggere né scrivere lascio passare tutti gli altri punti su cui hanno indietreggiato, tipo il fatto che il tempo dato alle aziende per adeguarsi é di 18 mesi (nella nostra é di 6) o tipo il fatto che a pagare questo aumento dovrebbe essere un fondo statale e quindi noi con le nostre tasse, perché posso pensare che si tratti di un compromesso per farlo “digerire” alle forze moderate.

Ma la questione della rimozione dell’adeguamento ai costi della vita é una vergogna senza pari.

Non credo serva uno studio decennale per capire che, se non c’è adeguamento automatico all’inflazione, si finisce semplicemente per essere da capo quando, tra pochi mesi, si alzerà il costo della vita riportando le persone ad avere lo stesso potere di acquisto di quando il salario minimo non c’era.

Ho scelto apposta questa foto perché credo rappresenti l’onestà con cui, ogni weekend, siamo nelle piazze e nei mercati a raccogliere firme o a distribuire volantini. Onestà che cozza contro una classe politica che vuole mettere il cappello ovunque e che utilizza questa battaglia per ripulirsi.

La scelta delle opposizioni parlamentari (PD & co) di presentare una loro proposta, sputa sulla buona volontà di tanti ragazzi e ragazze come me che ancora credono alla possibilità di fare una politica seria e onesta, fatta da persone che prima di parlare studiano a fondo i problemi.

Qui (per ignoranza o forse per malafede) nono solo si sta “spingendo” una legge che non cambia praticamente niente, ma si ha addirittura il coraggio di deridere chi, credendo che si possa ancora fare qualcosa anteponendo l’interesse dei lavoratori a quello dei partiti, ricorda che senza adeguamento non é altro che aria fritta.

A questa gente dico: siete davvero convinti che serva il salario minimo? Bene, presentatevi ai nostri banchetti e firmate.

Fatelo con la stessa onestà e con lo stesso entusiasmo con cui noi siamo convinti che si possa ancora fare una Politica con la P maiuscola.

Una vita da precario. Dalla scuola azienda al lavoro a tempo determinato. Dibattito dei Giovani Comunisti alla festa provinciale PRC a Bereguardo

14 Luglio 2023

Alessandro Farina: l’appello ai giovani e la sua immancabile presenza in consiglio comunale

Testo a cura di Massimiliano Farrell, da “L’Informatore Lomellino” del 16/06/2021

Giovani, state attenti ai nuovi fascismi! È questo il monito che Alessandro Farina rivolge ai ragazzi e alle ragazze della nuova generazione, che rappresentano il futuro della città, e che dovranno farsi carico molto presto dell’eredità lasciata dalla vecchia classe politica.

È fondamentale per i giovani – afferma il “Farinin” – interessarsi alla politica e a tutto ciò che succede intorno a loro. I giovani rappresentano il futuro, e per questo è importante che oltre a viverlo siano essi stessi a costruirselo. Non bisogna mai dimenticare i valori fondamentali che caratterizzano la nostra Repubblica, nata dalla Resistenza e dalla lotta contro il nazifascismo. I giovani devono farsi portavoce di questi valori e devono stare attenti, perché il fascismo può sempre ritornare. È necessario essere attivi, fare volantinaggi, partecipare alle iniziative politiche e lottare sempre per la giustizia sociale e per i diritti”.

E Alessandro Farina questo lo sa bene: lui non solo ha fatto il bracciante e l’operaio, non solo è un importante testimone oculare della storia di Mortara dal 1946 ad oggi, ma è anche un uomo dei record. Fin dagli anni ’60, da tempi immemorabili, il “Farinin” ha sempre seguito dalla parte del pubblico tutti i Consigli Comunali della città di Mortara per applaudire e manifestare consenso durante gli interventi dei consiglieri del PCI, prima del 1991, e del PRC, dopo il 1991.

Un cittadino modello che ha sempre partecipato alla vita politica della sua città, tanto che perfino l’ex sindaco di centrodestra Giorgio Spadini, al termine del suo mandato, ha voluto conferire un riconoscimento al “Farinin”, vero e proprio uomo dei record nella partecipazione ai Consigli Comunali.

Oggi, purtroppo, a causa dell’età avanzata, a causa dell’orario serale in cui solitamente si svolgono i Consigli Comunali, e a causa del fatto che ultimamente i Consigli, per via del Covid, si stanno svolgendo da remoto, Sandro Farina non ha più occasione di parteciparvi come faceva una volta. Ma il riconoscimento conferito dall’ex sindaco Spadini rimarrà per sempre.

“Da quando abito a Mortara – racconta il “Farinin” – ho sempre seguito tutti i Consigli Comunali. Ho iniziato a seguirli prima ancora che Giuseppe Abbà fosse consigliere. L’ex sindaco Roberto Robecchi non ha mai sopportato le mie contestazioni, e una volta aveva addirittura chiamato un vigile per allontanarmi. A differenza di Robecchi, invece, l’ex sindaco Giorgio Spadini al termine del suo mandato amministrativo ha voluto darmi un riconoscimento perché in qualità di cittadino, dalla parte del pubblico, non mi ero mai perso un Consiglio Comunale”.

Purtroppo, però, i tempi sono cambiati e un po’ per l’età che avanza, un po’ perché ultimamente i Consigli Comunali si svolgono alla sera e da remoto, Sandro Farina non partecipa più come faceva un tempo. Nonostante ciò, si tiene sempre informato: al mercoledì o al giovedì si reca presso la sede del PRC e si mette a leggere “L’Informatore Lomellino”, legge tantissimi libri sulla Resistenza e sulla storia contemporanea, e partecipa sempre a tutti i banchetti e alle iniziative di partito.