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Guerra in Ucraina. Quali conseguenze economiche per l’Italia e l’Europa?

27 Novembre 2022

Lunedì 5 dicembre a partire dalle ore 20 e 30, presso la Sala Conferenze di Palazzo Cambieri, corso Garibaldi 44, Mortara, si terrà un incontro pubblico per discutere di: “Guerra in Ucraina. Quali conseguenze economiche per il nostro Paese?”.

Lo scopo di questa iniziativa è quella di sviluppare un’analisi seria e approfondita sulle conseguenze economiche e sociali che sta provocando e provocherà la guerra in Ucraina in Italia e in Europa.

All’incontro parteciperanno:

  • Piero Rusconi, segretario Rifondazione Comunista federazione di Pavia;
  • Francesca Strinchis, Giovani Comunisti/e Vigevano;
  • Simone Verni, consigliere regionale Movimento 5 Stelle;
  • Massimo De Rosa, consigliere regionale Movimento 5 Stelle

L’incontro è organizzato dai circoli di Rifondazione Comunista di Mortara e di Vigevano e dal gruppo locale del Movimento 5 Stelle di Mortara. Tutta la cittadinanza è invitata.

IL PARAGONE OLTRAGGIOSO E PERICOLOSO FRA L’INVIO DI ARMI ALL’UCRAINA E LA RESISTENZA

3 Aprile 2022

La necessità di muoversi verso il superamento degli stati-nazione.

di Raul Mordenti –

In occasione del bel Congresso dell’ANPI, la stampa di guerra (unanime e sfacciata come sempre) ha risollevato ancora il paragone fra la guerra in Ucraina e la Resistenza. Il paragone con la guerra partigiana di Liberazione per sostenere la necessità dell’invio di armi all’Ucraina invasa dalla Russia è la motivazione più oltraggiosa e – al tempo stesso – più insidiosa a sostegno della guerra. Tanto più se tale paragone è proposto non solo dalla nuova destra ultra-atlantica e bellicista rappresentata oggi dal PD ma anche da personalità come Luigi Manconi, Paolo Flores, Erri De Luca o altri ex di Lotta Continua e – purtroppo – non solo da costoro.

Il paragone con la Resistenza è anzitutto oltraggioso perché propone di mandare armi anche (o specialmente) a forze apertamente neo-naziste, cioè a milizie di volontari (inquadrate però nell’esercito regolare ucraino) le quali esibiscono svastiche, ritratti di Hitler e simboli nazisti, e che nella loro guerra in Donbass (in corso da otto anni, nel silenzio complice dell’Occidente, con 14.000 vittime nella minoranza russofona) si sono macchiate di stragi di civili, di torture e stupri “etnici”, addirittura teorizzati dal fondatore del “battaglione Azov” Andrij Biletsky (cfr. il documentato articolo di Marianna Cenere, del 4 marzo 2022, in www.micromega.net, un testo che almeno Paolo Flores dovrebbe conoscere bene). Senza contare la rivalutazione da parte del regime ucraino del criminale di guerra Bandera, a cui sono dedicate statue e celebrazioni, e i comizi in cui si invoca che la “gloriosa Ucraina” si liberi “dei russi e degli ebrei”.

Sia ben chiaro: se ricordo tutto questo non è per sostenere che tutti gli ucraini siano nazifascisti e meno che mai per giustificare l’invasione russa (che, come tutte le guerre di aggressione, non ha per me giustificazione alcuna) ma per evidenziare l’assoluta diversità del contesto storico che rende oltraggioso, improponibile e francamente poco onesto, il paragone con la Resistenza, o addirittura quello con la Shoà proposto spudoratamente da Zelensky al Parlamento israeliano. Senza contare le sostanziali differenze di tipo giuridico-politico su cui ha giustamente richiamato l’attenzione il presidente dell’ANPI Pagliarulo: l’Italia non ha dichiarato guerra alla Russia nè la Russia ha dichiarato guerra all’Italia, al contrario di quanto accadde nella II guerra mondiale fra l’URSS, gli Alleati e i partigiani da una parte e l’Asse nazifascista dall’altra. Con l’invio delle armi l’Italia entra in guerra, da cobelligerante, in una guerra contro la Russia mai dichiarata dal nostro Parlamento, con conseguenze future gravi e imprevedibili.

Se poi difendere con le armi il proprio territorio configurasse di per sé una situazione di Resistenza da armare e sostenere allora questa argomentazione si rivolgerebbe contro Zelensky e i suoi tifosi italiani, giacché anche il popolo del Donbass russofono è stato perseguitato e attaccato militarmente dall’Ucraina e in specie dalla sue milizie naziste. E ciò almeno a partire dal febbraio 2014, cioè dal golpe contro il presidente Yanukovich, un golpe appoggiato e sostenuto dagli USA quasi ufficialmente e alla luce del sole, con la guida di Victoria J. Nuland, oggi sottosegretario di Biden (dopo aver collaborato con Bush e Cheney). Costei ha confessato apertamente di aver finanziato quel golpe con 5 miliardi di dollari, così come Biden ha ufficialmente dichiarato (il 16 marzo u.s.) che da sette anni gli USA-NATO armano l’Ucraina e addestrano il suo esercito. Ma allora la guerra del Donbass, costata a quei popoli – lo ripetiamo – 14.000 morti in otto anni, è da considerarsi una Resistenza che giustificherebbe e anzi richiederebbe un sostegno militare esterno (questa volta russo)? Dunque è evidente che nemmeno i sostenitori italiani della guerra possono prendere sul serio il paragone con la Resistenza.

Ma si tratta di un paragone oltre che oltraggioso anche insidioso, perché ripropone un paradigma truffaldino già sperimentato dalla propaganda occidentale, sempre con esiti micidiali per la pace e per i popoli: Putin è il nuovo Hitler, come anche Khomeyini era “il nuovo Hitler”, anche Saddam Hussein era “il nuovo Hitler”, anche Milosevic era “il nuovo Hitler”, anche Assad era “il nuovo Hitler”, anche Bin Laden era “il nuovo Hitler”, anche i talebani erano “il nuovo Hitler”, così come anche Gheddafi era “il nuovo Hitler” etc., e – insomma – erano “nuovi Hitler” tutti coloro di cui l’Occidente riteneva opportuno sbarazzarsi con una guerra.
Ricordiamocelo: il vero Hitler (diciamo: “il vecchio Hitler”) ha teorizzato, progettato e cominciato concretamente a realizzare, su base razziale, un dominio assoluto sul mondo tramite la dittatura, la guerra, lo sterminio sistematico di intere popolazioni civili e il genocidio. Nulla di simile si era mai verificato prima nella storia del mondo, e nulla di simile si è verificato dopo.
Sono tuttavia esistite, ed esistono, orrende dittature, una peggiore dell’altra, e solo elencarle sarebbe troppo lungo per queste righe.

Ma la domanda è la seguente: l’esistenza di una dittatura impone e giustifica una guerra dell’Occidente contro il paese che di quella dittatura è vittima? Se i nostri liberal-democratici speditori di armi rispondono “sì” a questa domanda, allora essi debbono essere chiamati almeno alla coerenza, che si richiede in particolare quando, come i nostri liberal-democratici, si parla in nome di valori morali, anzi ostentando tale moralità; e dunque essi debbono proporre di intervenire militarmente contro la Turchia di Erdogan (fedele alleata nella NATO) o contro l’Ungheria di Orban (membro della CE), contro l’Egitto di Al Sisi, contro le feroci dittature dei paesi arabi con cui fa affari Renzi etc., per non dire delle dittature sostenute per decenni dagli USA nell’America Latina, in Africa o in estremo Oriente (qualcuno ricorda il Cile di Pinochet, l’Argentina di Videla, l’Indonesia, etc.?).

Escludendo la guerra, in quei casi a noi sarebbe invece bastato da parte dell’Occidente molto meno, ad esempio una politica internazionale di isolamento militare dei dittatori e di sostegno politico dei resistenti. Personalmente non ricordo un solo caso di invio di armi da parte dell’Occidente ai popoli in lotta contro le dittature (semmai l’Occidente ha sempre armato le dittature contro i popoli, lucrando ignobilmente, Italia in testa, sulla vendita delle armi ai dittatori), e francamente non ricordo neppure un solo caso in cui i nostri liberal-democratici con l’elmetto abbiano proposto l’invio di armi ai popoli in lotta contro le dittature. Sarà per mia distrazione, ma non ricordo neppure accorati appelli in tal senso da parte del PD, dei Manconi, dei Flores o dei De Luca. Dove si erano nascosti in quei casi gli imprescindibili “valori dell’Occidente”?
Siamo dunque nel regno della propaganda, e dell’ipocrisia.
Non voglio partecipare in alcun modo al festival dell’ipocrisia, e dunque non esito a pormi la più difficile e imbarazzante delle domande: tutte le lotte per avere un proprio stato nazionale sono da considerarsi legittime e da appoggiare con le armi?

Se va sostenuta una tale richiesta dell’Ucraina verso la Russia, allora va sostenuta anche la medesima richiesta della Crimea o delle repubbliche russofone del Donbass verso l’Ucraina.
È stata sostenuta con una guerra una tale richiesta del Kosovo verso la Serbia (violando il patto di pace sottoscritto, con il bel risultato di avere in Kosovo la più grande base NATO in Europa), ma è stata sostenuta anche la richiesta di una stato nazionale avanzata dai Palestinesi verso Israele? E per venire al cuore dell’Europa, e a casi certo storicamente assai più fondati del Kosovo: hanno diritto a un loro stato nazionale i Baschi e gli Irlandesi? E allora l’ETA e l’IRA andavano armate dai liberal-democratici occidentali? E hanno diritto a un loro stato nazionale i Catalani, che pure hanno stravinto un referendum? E gli Scozzesi? E i Corsi? E in Italia, le minoranze tedesche del Tirolo e quelle francesi della Val d’Aosta hanno diritto a un loro Stato nazionale, o almeno alla secessione per ricongiungersi ad altre madri-patrie? E la Sicilia? E la Sardegna? E – tanto per ridere un po’ – la Padania?
Anche a questo proposito gli esempi sarebbero purtroppo infiniti: il colonialismo ha lasciato come frutto avvelenato (ad esempio in Africa) dei confini del tutto artificiali, tracciati con il righello senza alcun riguardo per l’effettiva collocazione dei popoli e per la loro storia. Quei confini vanno stravolti? Magari con guerre infinite?
Direi di no, e penso dunque che sia invece necessario e urgente superare l’invenzione (tutta occidentale e in fondo recente) dello Stato-nazione per muoversi verso il superamento degli Stati, e per intanto dei confini, verso unità statali pluraliste e multinazionali. In fondo sognava questo il manifesto di Ventotene.
Esiste insomma un diritto dei popoli alla propria nazionalità (lingua, cultura, territorio, tradizioni etc.) ma non necessariamente a uno Stato nazionale. I Curdi ad esempio chiedono anzitutto libertà e rispetto per la loro nazionalità.

Si tratta di una direzione di ricerca impervia, ma storicamente necessaria, che deve muovere verso una federazione pacifica dei popoli, una Costituzione della Terra. Un percorso lungo, oggi difficile perfino da immaginare, ma l’alternativa a tale difficile percorso di pace è una sola: è la guerra di tutti contro tutti, poiché esistono forze potenti che sappiamo sempre pronte ad accendere le guerre, a gestirle, a sfruttarle per il profitto o per incrementare il consenso interno vellicando la bestia del nazionalismo (che poi significa il razzismo).
La politica, quella nobile e vera, è proprio ciò che rende possibile quello che sembra impossibile, ma è necessario.
Certo l’invio di armi, che esse arrivino al Governo ucraino o direttamente alle bande di volontari nazisti, con tutto questo c’entra ben poco, ed è anzi il contrario di ogni tentativo di fuoruscita dalla logica della guerra.
E la logica della guerra non possiamo più permettercela, dato che (come ha affermato papa Francesco) oggi non esistono più guerre giuste; perché c’è una novità, una terribile novità, anche rispetto ai terribili anni della II guerra mondiale: tale novità è la catastrofe atomica.

L’unica, ma ferrea, logica della guerra è infatti l’escalation: chi risulta sconfitto a un livello di guerra 1 darà vita a un livello di guerra 2, chi risulta sconfitto a questo livello di guerra 2 darà vita a un livello di guerra 3, e così via senza fine; fino a che una delle due parti non si dichiari sconfitta.
Ma questo nella guerra russo-ucraina non può accadere: non si possono dichiarare sconfitte né la Russia né l’Ucraina, la prima per evidenti motivi (fra l’altro perché non può accettare missili NATO a 30 secondi da Mosca), la seconda perché ha dietro di sè gli USA e la NATO (l’Europa dei banchieri servi non esiste politicamente) che utilizzano l’Ucraina per fare la guerra. Non per caso quando Putin ha cominciato a parlare dell’opzione nucleare il premier ucraino ha subito risposto che quella minaccia non contava niente. E la proposta della no fly zone è – né più né meno – che la proposta della guerra atomica, perché se (come ha spiegato Zelensky) ogni aereo russo sui cieli ucraini dovrà essere abbattuto dalla NATO, allora la risposta russa a questo livello di guerra non potrà che essere di livello ancora superiore, cioè la guerra atomica.

Siamo sull’orlo del baratro e la risposta sembra consistere nel dotarsi… di jodio. “Deus prius dementat quos perdere vult” (“Dio rende prima stupidi quelli che vuole perdere”).
Tutto questo ci impone di mettere in atto, e subito, il contrario del restare passivi e il contrario delle armi: impone ad esempio il soccorso vero, indiscriminato e tempestivo, alle vittime della guerra (ma come si può fare questo se si forniscono armi a uno dei contendenti?), impone l’intensificazione, non la rottura!, dei rapporti culturali, scientifici, artistici con le popolazioni in guerra, impone l’accoglienza dei profughi e dei naufraghi come nostri con-cittadini; e richiede tre cose: trattare, trattare, trattare, fino al compromesso benedetto che si chiama pace.

Giulietto Chiesa, giornalista, saggista e profondo conoscitore della Russia. Video del 2015.

15 marzo 2022

L’attuale guerra in Ucraina ha cause che risalgono indietro nel tempo. Per questo proponiamo questo video di Giulietto Chiesa che era un profondo conoscitore dell’Unione sovietica e degli Stati alleati della Nato.

E’ un’analisi molto simile a quella dell’articolo della rivista marxista americana “Monthly Review” tradotto dal nostro segretario nazionale Acerbo e pubblicata sul sito nazionale del Partito della Rifondazione Comunista.

Nel contempo ribadiamo la nostra posizione: siamo contro l’intervento militare russo che, oltre ai gravi costi umani, offre il fianco al furore bellicista dell’Occidente (che non aspettava altro).

Siamo contrari ai colossali progetti di riarmo che saranno pagati dai ceti popolari in termini di ulteriori tagli alla sanità, alla scuola, ai servizi pubblici.

Siamo contro l’invio di armi all’Ucraina. Siamo per il cessate il fuoco e per negoziati che possano ripristinare gli accordi di Minsk.

Siamo per allontanare le basi militari straniere dal nostro territorio e per realizzare la parola d’ordine “FUORI L’ITALIA DALLA NATO, FUORI LA NATO DALL’ITALIA”.

Partito della Rifondazione Comunista, Fed. di Pavia

Giulietto Chiesa spiega cosa sarebbe successo fra UCRAINA (Nato) e RUSSIA con 7anni di anticipo, 2015

Guerra in Ucraina: per i Rom la tragedia nella tragedia. Discriminazioni tra i profughi “bianchi” e “neri”. Campagna raccolta fondi

9 marzo 2022

In Ucraina vivono (vivevano) tra 200.000 e 400.000 Rom. Già prima della guerra, per molti di loro, la situazione era tra le più gravi d’Europa. Oltre la mancanza  di documenti, l’estrema povertà, la segregazione, l’antiziganismo e la discriminazione, la loro condizione era aggravata anche da continui attacchi fisici da parte dei gruppi paramilitari neonazisti che hanno provocato ferimenti e morti nelle comunità.

Ora, durante la guerra, molti di loro non riescono ad uscire dall’ Ucraina, sopratutto per la mancanza di passaporti, e questo costituisce grave pericolo per la loro vita, non soltanto per via delle bombe e degli  attacchi russi, ma anche per la presenza  dei gruppi di estrema destra ucraini.

Chi è riuscito ad attraversare i confini, ha la  sfortuna di arrivare nei paesi in assoluto più razzisti con i rom in tutta l’Europa.

A differenza degli profughi “bianchi” per i quali si fanno sforzi enormi, quelli “neri’ e i Rom nessuno li vuole.

Sono donne e bambini che anche in questa situazione sono discriminati, spesso esclusi dal sistema degli aiuti primari come cibo e vestiti, non soltanto da parte degli stati, ma anche da parte delle grandi organizzazioni umanitarie.

Per questo, il Movimento Kethane, Rom e Sinti per l’Italia nelle prossime settimane organizzerà il viaggio pe una delegazione in Ungheria in uno dei campi profughi dove sono i Rom, e lancia una campagna di raccolta fondi in modo da poter sostenere le associazioni Rom ungheresi che stanno organizzando il supporto e il sostegno umanitario per loro.

Vi aggiornerà sullo stato della campagna in ogni suo passaggio in piena trasparenza.

#movimentokethane

https://www.kethane.org/

Otto marzo

8 marzo 2022

Adriano Arlenghi

Per me oggi, l’otto marzo ha la faccia di Elena. Non delle mimose o delle frasi edulcolorate che girano in rete.

La notizia è di ieri. Elena Popova che fa parte del Movimento degli obiettori di coscienza russi è stata arrestata.

Elena Popova, mercoledì scorso aveva partecipato​ ad una diretta assieme a Yuriy Sheliazhenko, che fa parte del Movimento pacifista Ucraino. Intervenivano sulla situazione della guerra in Ucraina.

Lo comunica il Movimento Nonviolento, sezione italiana della War Resisters International, che con le sedi di Londra e Bruxelles sta tenendo i contatti diretti con i pacifisti russi e ucraini per il sostegno alla campagna di obiezione e diserzione dagli eserciti.

I pacifisti russi erano all’interno di una manifestazione contro la guerra, e stavano denunciando le brutalità della repressione della polizia. Con la nuova legge marziale, infatti, non c’è bisogno di una accusa specifica per fermare e portare in carcere le persone.

Elena Popova, con altri esponenti del suo movimento, aveva distribuito volantini “No alla guerra – Come non mandare tuo figlio in guerra.

La notizia, parla tra le righe, del coraggio di questa donna che dentro ad una situazione difficile e rischiosa, non arretra di un millimetro. Scende in piazza, per rivendicare le proprie convinzioni di pace. In un mondo che scivola velocemente verso la barbarie.

Perché lo sappiamo tutti, che l’assedio di Kiev sarà una carneficina e distruggerà una delle più belle città d’ Europa.

Dire no alla guerra, da una parte e dall’altra della barricata, non è facile in quel teatro di morte. Ma Elena non si tira indietro.

Idealmente rappresentando tutte le donne del mondo, che al posto della violenza che non riuscirà mai a generare un mondo più umano, sceglie di battersi per la società della cura. Cura di sé, degli altri, del pianeta.

USA, RUSSIA, UCRAINA: Cosa sta accadendo?

9 febbraio 2022

Ne discutiamo con:

Alberto Negri, giornalista, inviato di guerra

Silvio Marconi, autore del libro “Donbass. I neri fili della memoria rimossa”

Eleonora Forenza, ex- parlamentare europea

Barbara Spinelli, giornalista, ex-parlamentare europea

Giovanni Savino, docente storia contemporanea (da Mosca)

Gregorio Piccin, responsabile pace Prc-Se

Maurizio Acerbo, segretario nazionale Prc-Se

SE NON SEI ATLANTISTA AL COLLE NON CI VAI

28 Gennaio 2022

di Barbara Spinelli

È bastato che Franco Frattini dicesse alcune cose sensate sulla crisi ucraina e sulla russofobia regnante in Occidente, perché il suo nome – suggerito fugacemente da Conte e Salvini nei giorni scorsi –scomparisse come per magia da tutte le rose dei candidati alla Presidenza della Repubblica.

Un grido di sdegno si è subito levato, proclamando che il futuro capo dello Stato o sarà geneticamente atlantista, o non sarà. Dovrà sostenere Kiev contro l’aggressore russo, incondizionatamente. Non dovrà muover dito perché l’inane riarmo dell’Ucraina e la seconda guerra fredda con la Russia – una messinscena geopolitica per Washington, una catastrofe per l’Europa – finalmente cessino.

Dovrà agire e reagire come se l’Ucraina già fosse parte dell’Alleanza atlantica o dell’Unione europea.

Il primo grido di sdegno è venuto da Enrico Letta, forte dell’appoggio zelante di Matteo Renzi: “Sono preoccupato per la situazione tra Ucraina e Russia e dobbiamo difendere l’Ucraina. Abbiamo bisogno di un profilo ‘atlantico’ ”, ha scritto in un tweet, virgolettando per ignoti motivi l’aggettivo atlantico.

Ha ripetuto poi il dolente monito in un’intervista alla Cnbs, come se la candidatura dell’intruso russofilo fosse realmente esistente. È a quel punto che la già pallida figura di Frattini è del tutto svanita, come in certe fotografie ritoccate dei tempi di Stalin.

Per meglio puntualizzare è scesa in campo anche Lia Quartapelle, responsabile Pd per gli affari internazionali ed europei: “I venti di guerra che soffiano dall’Ucraina ci ricordano che all’Italia serve un o una Presidente della Repubblica chiaramente europeista, atlantista, senza ombre di ambiguità nel rapporto con la Russia”.

Si ripete così dopo poco più di tre anni il gran rifiuto opposto dal Colle a Paolo Savona, designato ministro dell’Economia dal Conte-1. Il no di Mattarella fu netto: il Quirinale non poteva digerire un esponente che fosse “visto come sostenitore di una linea, più volte manifestata, che potrebbe provocare, probabilmente, o, addirittura, inevitabilmente, la fuoruscita dell’Italia dall’euro”.

Anche in questo caso Savona scomparve in un baleno dalle foto dei ministrabili. Savona non auspicava l’uscita dall’euro, limitandosi a prospettare una profonda revisione dell’architettura economica europea, ma che importa la verità, quel che conta è mostrarsi muscolosi gridando al lupo.

Fin da quando entrò a Palazzo Chigi – e già aspirando al Quirinale – Mario Draghi mise dunque le mani avanti: si disse “convintamente europeista e atlantista”, visto che le alte e altissime cariche si conquistano con questa carta d’identità. È segno che l’Italia non può permettersi critiche, all’Unione europea e ancor meno alle ormai confuse e convulse decisioni della Nato. Non abbiamo sovranità d’alcun tipo, e quale che sia il presidente della Repubblica, quale che sia il governo, restiamo quello che siamo: non uno Stato ma un Dispositivo della Nato.

Della Russia e dell’Ucraina gli atlantisti italiani sanno poco, anzi nulla. Si attengono al copione distribuito dai vertici degli Stati Uniti e della Nato, secondo cui Putin vuol ingoiare l’Ucraina, e l’Ucraina non è nella sfera di interesse russa, ma nostra. Fingono di dimenticare che l’unificazione della Germania e lo scioglimento del Patto di Varsavia furono ottenuti grazie a una promessa che Bush padre e i leader europei (Kohl, Genscher, Mitterrand, Thatcher) fecero a Gorbaciov nel 1990: la Nato non si sarebbe estesa nemmeno di un pollice” a Est, garantì il Segretario di Stato, James Baker. Avrebbe rispettato l’antico bisogno russo di non avere vicini armati ai propri confini. Un bisogno speculare a quello statunitense, come si vide nella crisi di Cuba del 1962.È l’assicurazione che Putin chiede da anni, invano. Washington e Londra hanno imposto il riarmo dell’Est europeo, si sono immischiate nelle rivoluzioni colorate in Georgia e poi Ucraina, e ora inviano ulteriori massicci aiuti militari a Kiev.

Molti governi europei sono contrari, soprattutto in Francia e Germania (la prudenza di Scholz prevale al momento sull’atlantismo dei Verdi). L’Italia invece tace, perché non si sa mai: la Casa Bianca potrebbe innervosirsi, come accadde al vicesegretario di Stato Victoria Nuland nel 2014.L’Europa esitava durante la rivoluzione arancione? “Fuck the EU!”(che vada a farsi fottere), commentò Nuland in un’elegante telefonata con l’ambasciatore Usa a Kiev.

Nei mesi scorsi Frattini ha sottolineato l’evidenza dei fatti, e suggerito vie d’uscita. In primo luogo, occorre dire un no esplicito all’ingresso di Kiev (o della Georgia) nella Nato: “Un Paese come l’Ucraina, che al suo interno conta tre province indipendentiste, non può aderire all’Alleanza. La Nato dovrebbe essere la prima a dirlo. Purtroppo ha perso il ruolo di attore politico di primo piano che aveva in passato”. (L’ingresso nell’Ue è escluso, considerata l’accidentata integrazione dell’Est Europa).In secondo luogo bisogna rilanciare gli accordi di Minsk, nel “Formato Normandia” che include Russia, Ucraina, Francia, Germania e si è tornato a riunire ieri. Dice ancora Frattini che dopo l’occupazione della Crimea il governo Renzi poteva e doveva fare di più: “Allora l’Italia era ancora nelle condizioni di partecipare al Formato Normandia o di esercitare una forte azione su Putin che forse avrebbe ascoltato. Ha scelto invece di acquietarsi su un’acritica politica delle sanzioni di Obama. In diplomazia quando vuoi convincere chi la pensa all’opposto non lo cacci dal tavolo, aggiungi una sedia”.

Terza condizione per smorzare la crisi: spingere perché vengano ascoltate le popolazioni russe in Ucraina, e perché siano conferite vere autonomie a regioni come il Donbass, che nel 2014 si dichiarò unilateralmente indipendente dall’Ucraina (assieme alla Repubblica di Luhans’k) e dove si combatte da otto anni. I cittadini di origine russa in Ucraina sono circa 11 milioni e il loro status linguistico è calpestato: anche questo allarma Mosca.

Di fronte a tali complessità non si può far finta che le manovre Nato nell’ex Repubblica sovietica non esistano (l’ultima risale al settembre scorso) e che solo i russi si esercitino ai confini con l’Ucraina, non oltrepassando peraltro le proprie frontiere.

Forse sarebbe l’ora di dire che la Nato perde senso, essendosi sciolto il Patto di Varsavia. Che l’ascesa della Cina a potenza globale richiede politiche nuove, multipolari. Discuterne è impossibile in Italia.

C’è il copione e se te ne discosti sei un appestato sovranista.

RIFONDAZIONE: IN UCRAINA È LA NATO CHE CERCA LA GUERRA !

25 Gennaio 2022

L’allargamento della NATO fino ai confini della Russia è alla base dell’escalation guerrafondaia in Ucraina.

Gli Stati Uniti e l’Unione Europea hanno sponsorizzato le forze etno-nazionaliste che hanno riabilitato come eroi nazionali i collaborazionisti col nazismo e portato avanti politiche discriminatorie verso la popolazione di lingua russa. 

Non bisogna essere dei sostenitori di Putin per comprendere che la Russia non può accettare di ritrovarsi missili e basi NATO ai suoi confini, né può voltare le spalle alle popolazioni del Donbass a cui l’Ucraina nega persino l’autonomia prevista negli accordi di Minsk, che erano stati condivisi dal consiglio di sicurezza dell’ONU.

L’Ucraina si rifiuta di riconoscere l’autonomia permanente del Donbass perché la regione potrebbe sfruttare la sua posizione costituzionale all’interno dell’Ucraina per bloccare l’adesione all’UE e alla NATO.

È evidente che la neutralità dell’Ucraina ed il riconoscimento dei diritti delle popolazioni delle regioni di lingua russa in uno Stato plurinazionale sono l’unica via di uscita dalla crisi. 

Durante la guerra fredda la neutralità di Finlandia, Svezia e Austria ha costituito un’esperienza sicuramente positiva sotto ogni punto di vista, mentre Unione Europea, NATO e Stati Uniti continuano a fomentare da anni una guerra a bassa intensità dell’Ucraina contro le repubbliche autonome del Donbass.

E’ l’Ucraina, con la copertura occidentale, a violare costantemente gli accordi di Minsk. Andrebbe ricordato il ruolo svolto dalla UE, compresi dei europarlamentari PD, nel sostegno a Euromaidan, presentata come una rivoluzione democratica. Non si può accusare la Russia quando difende le repubbliche autonome del Donbass, visto che la NATO ha fatto una guerra per consentire al Kossovo di dichiararsi indipendente dalla Serbia. 

Dallo scioglimento dell’URSS, gli USA e la NATO hanno violato gli impegni assunti con Gorbaciov, assorbendo i Paesi dell’Europa orientale. E non è un caso che l’ex-presidente si sia schierato dalla parte di Putin, come la stessa opposizione comunista. 

È interesse del nostro Paese la risoluzione pacifica della crisi e la ripresa della cooperazione con la Russia. Nessun partito nel parlamento italiano ha il coraggio di dire apertamente che la prepotenza degli Stati Uniti e della NATO anche nel caso ucraino rappresenta una minaccia per la pace.  

Maurizio Acerbo, segretario nazionale

Marco Consolo, responsabile Area Esteri e Pace Partito della Rifondazione Comunista – Sinistra Europea