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Respingere la controriforma Moratti La salute non è una merce Difendere e rilanciare la sanità pubblica Vogliamo un servizio pubblico universale, gratuito e di qualità Nessun profitto sulla nostra pelle

Occorre una grande mobilitazione contro la nuova legge sull’organizzazione della sanità lombarda proposta dall’assessora Moratti.

Il testo di legge preparato dalla giunta Fontana aumenta ulteriormente il peso delle strutture sanitarie private accreditate con il Servizio Sanitario pubblico, invece di puntare sulla centralità del servizio pubblico e della prevenzione.

Già la Legge Maroni (L.R.43/2015) ha introdotto l’equiparazione tra pubblico e privato nell’ottica di “trasparenza e parità di diritti e di doveri tra soggetti pubblici e privati”.

L’ulteriore controriforma Moratti, con il comma bis, certifica l’equivalenza, oltre alla commistione tra pubblico e privato.

Prevede perfino “case della salute” e “ospedali di comunità” gestite dal privato!

Bisogna eliminare l’equiparazione e l’equivalenza tra strutture pubbliche e private accreditate.

La sanità è un servizio: proprio per questo deve essere pubblico.

La gestione privata -per sua natura- eroga un prodotto inevitabilmente finalizzato al profitto delle aziende e distorce quindi il principio di salute rendendolo una merce. Il concetto di salute-malattia è così subordinato al profitto dell’azienda.

Deve essere rispettato l’art. 32 della Costituzione che prevede il diritto alla salute per tutti i cittadini.

Rispetto al lavoro, la controriforma Moratti, riconferma l’art. 5 della precedente L.R. 43/2015: “Principio della piena flessibilità e autonomia organizzativa da parte di tutti i soggetti erogatori”. Ciò significa incremento della precarizzazione di tutte le figure sanitarie, del cottimismo selvaggio, del caporalato attraverso finte partite IVA e cooperative fasulle e della mancanza di continuità di servizio.

Un’altra novità preoccupante è rappresentata dall’art. 11bis con cui si vuole creare un “Centro per la prevenzione e il controllo delle malattie infettive” (con relativo amministratore delegato e corteo di nomine): un doppione dell’ATS, un altro centro di potere e di prebende clientelari. Al punto Q gli viene attribuita la funzione di “ricerca di nuovi vaccini”, un clone che produrrà solo l’ennesima emorragia di denaro pubblico a favore di privati, sottraendo fondi a investimenti nazionali ed europei per la ricerca pubblica.

Non è prevista nessuna ricerca epidemiologica, quindi niente presupposti per una programmazione a partire dai bisogni delle collettività e non delle convenienze della imprenditoria sanitaria privata, ormai in mano a potenti multinazionali.

La Lombardia rappresenta il punto più alto di penetrazione del neoliberismo nella sanità. L’obiettivo è il medesimo in tutta Italia e in tutto il mondo capitalista: trasformare i nostri corpi in merce; la salute di tutti in profitto di pochi.

L’obiettivo è chiaro: distruggere il Servizio Sanitario Nazionale (L.883/78), puntare a una medicina di classe, destinata ad aumentare ulteriormente le differenze nella qualità e nella quantità di vita tra ricchi e poveri. In questo progetto ovviamente la medicina preventiva e territoriale non deve avere nessun peso.

La Lombardia, se fosse una nazione -come chiedevano i leghisti trent’anni fa- sarebbe al secondo posto, dopo il Perù, per numero di morti da Covid in relazione alla popolazione! 35.000 sono stati i morti dell’eccellenza lombarda! Una strage impunita, diretta conseguenza del trentennale malgoverno del centro-destra, a partire da Formigoni.

La logica del profitto applicato alla sanità è la stessa che nega i vaccini a quasi quattro miliardi di persone per tutelare i brevetti e quindi gli interessi di Big-Pharma. Per questo, da molti mesi, siamo impegnati nella Campagna Nessun profitto sulla pandemia. Diritto alla cura. Vogliamo: raccogliere un milione di firme per obbligare la Commissione Europea a modificare il proprio comportamento di totale asservimento agli interessi delle aziende farmaceutiche; sostenere le proposte di una moratoria sui vaccini e di liberalizzazione dei brevetti e dei kit diagnostici; socializzare le conoscenze.

La posizione della Commissione Europea deriva direttamente dalle scelte dei governi europei: in primo luogo della Germania ma anche dell’Italia. La Commissione e i governi europei, compreso il nostro, sono corresponsabili delle migliaia e migliaia di morti che si verificano quotidianamente nel mondo; sono i migliori alleati del Covid-19.

Agli interessi delle aziende farmaceutiche sono pronti a sacrificare anche la vita dei propri concittadini. Infatti, nei Paesi dove non arrivano i vaccini, il virus si diffonde, si formano nuove e più aggressive varianti che si propagheranno anche da noi, nel Nord del mondo. A oggi, non si sa se i vaccini che avremo a disposizione saranno in grado di difenderci.

Non è indifferente come usciremo dalla pandemia, per questo condividiamo le parole chiare ed efficaci pronunciate da papa Francesco: “Ritornare agli schemi precedenti sarebbe davvero suicida, …. ecocida e genocida”!

Per questo, con altrettanta fermezza, denunciamo le responsabilità dei governi Conte e Draghi: poiché non sono intervenuti nel fermare lo scempio delle politiche leghiste in Lombardia durante il Covid (non creazione di zone rosse in primis); perchè condividono il progetto di autonomia differenziata (presentato congiuntamente dalle giunte di Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna, con il sostegno di uno schieramento parlamentare trasversale), alla cui base vi è lo snaturamento privatistico e aziendalistico del SSN  e  la privatizzazione di tutti i “beni pubblici”; perché il tutto è ribadito nel testo del PNRR.

Il disprezzo per la vita umana è tragicamente visibile anche nei 3-4 infortuni mortali sul lavoro che si verificano ogni giorno. Pure in questo caso non siamo di fronte a pura casualità ma al risultato di politiche che, mettendo al primo posto il profitto degli imprenditori, hanno ridotto ai minimi termini o annullato la tutela della salute nei luoghi di lavoro. Non sono fatalità ma omicidi! Si tratta di una strage quotidiana che ha dei responsabili -i padroni- e dei complici -il ceto politico e le istituzioni- che non applicano le leggi esistenti.


Per realizzare un cambiamento profondo, che metta in discussione il sistema capitalista, è indispensabile la presa di coscienza e la mobilitazione delle cittadine e dei cittadini, degli utenti dei servizi.

Sono necessari grandi movimenti sociali, pensieri e culture alternative e un campo di forze politiche motivato e organizzato. Non c’è tempo da perdere. Tutte le forze anticapitaliste, dal locale al globale, sono chiamate alla mobilitazione.

Un altro mondo è urgentemente necessario.

Voi, 8,5% della popolazione mondiale che possedete l’86% della ricchezza del pianeta, siete la malattia.

Noi, 7,8 miliardi di persone, siamo la cura. La cura del pianeta e di tutte le specie.
La cura passa anche attraverso la lotta!

Circolo Hugo Chavez Frias

Partito della Rifondazione Comunista Vigevano

Giovani Comuniste/i

 Vigevano, 23 novembre 2021

Contro il governo Draghi e le sue politiche

21 novembre 2021

Questa mattina eravamo a Pavia al presidio contro il ddl concorrenza del governo Draghi.

Eravamo a protestare, insieme ad altri, contro il tentavo di costringere i comuni a vendere a privati tutti i servizi di loro competenza, acqua, rifiuti, trasporti ecc ecc.

Questa è la prima di una serie di iniziative che come partito abbiamo promosso, assieme ad altre forze politiche e sociale, a questa ne seguiranno altre contro il caro vita e contro la nuova riforma sanitaria della regione Lombardia.

Mai come in questo momento è importante scendere in piazza, stare tra la gente per informare e costruire un’alternativa al governo Draghi.

Presidio a Pavia in Piazza Minerva – 21 novembre 2021

Banchetti di Rifondazione Comunista di Vigevano al mercato e in piazza Ducale

2 novembre 2021

Il circolo “Hugo Chavez Frias” del Partito della Rifondazione Comunista di Vigevano sarà presente con banchetti al mattino nei giorni: sabato 6 novembre al mercato, domenica 28 novembre in Piazza Ducale e il sabato 11 dicembre di nuovo al mercato.

In questi momenti così gravi sotto il profilo economico, sanitario e di lavoro è necessario che Rifondazione faccia conoscere le sue proposte in merito ai problemi del carovita con aumento delle bollette alle stelle, della sanità e del lavoro.

Carovita: no alla stangata per l’aumento delle bollette luce e gas. E’ un salasso insostenibile sui salari e pensioni tra i più bassi in Europa.

Dobbiamo dire NO, mobilitarci, organizzare la risposta.

L’alternativa c’è. Tagliare i profitti delle grandi aziende che distribuiscono e vendono il gas e l’energia elettrica come è stato fatto in Spagna.

Eliminare oneri di sistema obsoleti, dare finalmente un taglio alle accise, alle addizionali regionali e all’iva, tasse pagate in prevalenza dai ceti popolari.

Sanità: rilanciare il servizio sanitario pubblico in Lombardia e in tutto il paese.
Dopo la lezione del COVID, in Lombardia è urgente una profonda revisione del servizio sanitario che investa nel pubblico, nella programmazione, nella prevenzione e nella medicina territoriale e di base.
la Regione dà invece solo risposte di facciata ancora una volta favorendo in particolare le strutture private e la concorrenza nella sanità che determina solo l’aumento del volume di prestazioni e non il reale risultato di salute. Chiediamo che siano tolti i brevetti dai vaccini alle multinazionali, l’obbligatorietà alle vaccinazioni per tutti compresi i paesi più poveri. Grossi investimenti da parte dello Stato per la difesa e rilancio della  sanità pubblica.

Lavoro: la Moreschi, prestigioso marchio calzaturiero vigevanese, da tempo sta attraversando una grave crisi. Noi chiediamo la continuazione della cassa integrazione, impegni concreti dalle istituzioni e non passerelle elettorali, sosteniamo la proposta di legge presentata dal collettivo dei lavoratori GKN di Firenze, contro le delocalizzazioni industriali, organizzare un presidio davanti alla fabbrica con le lavoratrici e lavoratori, una grande manifestazione di massa in Piazza Ducale e lo sciopero generale provinciale per rompere l’isolamento delle tante situazioni di crisi nel nostro territorio.

Vi aspettiamo numerosi ai nostri banchetti nei giorni: 6 novembre e 11 dicembre al mattino al mercato e 28 novembre al mattino in Piazza Ducale.

Circolo “Hugo Chavez Frias” del Partito della Rifondazione Comunista di Vigevano

Video 13^ festa di Rifondazione Comunista di Vigevano. Un grande successo. Grazie a tutti e tutte i partecipanti.

È stato un grande successo per la partecipazione di popolo, nonostante le restrizioni sanitarie anti-covid, ed ha superato le nostre aspettative.
Siamo molto soddisfatti dei risultati raggiunti con numerose presenze ed attenzione ai dibattiti politici, allo spettacolo teatrale e musicali.
Ringraziamo calorosamente tutti e tutte.
Buona visione.
Circolo RIFONDAZIONE COMUNISTA VIGEVANO.

20/7/2001 G8 GENOVA

Racconto dei fatti accaduti in quel terribile 20 Luglio 2001 a Genova scritto pochi giorni dopo da Piero Carcano e successivamente ripreso come una ossessione mai rimossa nel tempo

Sulla decisione di andare a Genova a manifestare non ho mai avuto il minimo dubbio o alcuna esitazione.

Appena si è saputa la notizia che il vertice delle 8 cosiddette “grandi nazioni” si sarebbe tenuto a pochi passi da casa, l’unica incognita poteva essere “come?, con chi? Sotto quale bandiera? Gruppi antiglobal locali? associazioni culturali a cui appartengo? gruppi politici a cui per affinità più che per tessera sento di appartenere?”

Le motivazioni erano infatti tutte molto forti a cominciare dal perché queste poche persone si arrogano il diritto di poter decidere della vita delle popolazioni del mondo?

Perché riunirsi in pompa magna per decidere, bontà loro, di dare qualche briciola a chi hanno tolto 100, 1000 volte tanto e molto, molto di più?

Perché questi, e con loro, sopra di loro, poche multinazionali possono comandare, modificare, usare l’ambiente a loro vantaggio esclusivamente economico, inquinando e affamando intere popolazioni già povere?

E’ per riconfermare a tutto il mondo che i padroni sono loro che si tengono questi incontri, ed è quindi doveroso opporsi sostenendo le ragioni di un mondo più giusto: dall’azzeramento del debito di questi paesi alla ricerca di un’economia più equa nei suoi meccanismi all’investimento in attività umanitarie come il diritto alla salute, i prestiti a sostegno di uno sviluppo compatibile socialmente ed ecologicamente.

Infine ma non per ultimo è giusto cercare di arginare la deriva dei diritti del mondo del lavoro, accentuata dalle politiche della globalizzazione che consentono un uso dei lavoratori come merce. Sfruttamenti, licenziamenti, lavoro precario e flessibile, da poter usare nei tempi, nei modi e nei luoghi a piacimento dell’azienda.

Proprio su questi problemi e perché no anche per trovare nel mio lavoro di bancario un disperato senso etico, mi è sembrato fosse giusto, doveroso schierarsi.

Forse perché ritengo sia più importante manifestare un pensiero in controtendenza partendo proprio dall’altra parte, da quel mondo del capitale, del denaro, del potere che è costituito dalle Banche.

Per questi motivi la bandiera sotto cui stare non poteva che essere quindi quella del sindacato, il FALCRI sindacato autonomo dei lavoratori del credito, l’unico del settore ad aver realizzato (grazie a noi) qui a Milano un anno prima un convegno sulla globalizzazione.

Orgogliosamente lo riterrei uno dei momenti sindacali più attivi, nuovi e propositivi per una categoria spesso chiusa in problemi corporativi.

Lì parlando di poveri, ma anche di ambiente, di diritti negati ai bambini, di libertà e salute aprivamo porte lasciate chiuse. Quello è stato una specie di Social Forum e quindi Genova 2001 non poteva che essere l’ideale continuazione dopo essere stati anche al Social Forum di Firenze dove incontrare Noam Chomski, Vandana Shiva è stato come essere essere protagonisti di idee, di cambiamenti per un Altro Mondo Possibile.

Non solo un sindacato quindi, ma un’anomalia fatta di compagni, gli amici di sempre, non solo di lavoro anzi direi soprattutto di “movimento”.

Con loro non si è mai fermi, che si tratti di discutere un contratto nazionale o di controllare l’igiene e la sicurezza sul posto di lavoro, o che si organizzi una mostra di libri, una manifestazione sull’handicap o un concerto delle “mondariso”.

Su cosa avremmo trovato a Genova nessuno di noi poteva saperlo. Dovevamo esserci e basta! E per fortuna che come noi c’erano centinaia di associazioni, migliaia di persone di diversa estrazione e colore.

Bene abbiamo fatto a scegliere Piazza Manin come punto di ritrovo, il 20 luglio in quella che era stata battezzata “La giornata delle piazze tematiche e della disobbedienza civile”. Proprio lì infatti sarebbero confluite le diverse anime, soprattutto le più pacifiche di quel minestrone dai mille sapori che è la rete di Lilliput, lì riuniti con banchetti, palloncini e striscioni in un clima di festa.

Certo sarebbe stato bello partecipare ai convegni, ai dibattiti dei giorni precedenti, al Genova Social Forum e dialogare con i filosofi, gli scienziati ed i santoni no global, ma soprattutto cantare, suonare e ballare nel coloratissimo corteo dei migranti del giorno prima, ma gli impegni di lavoro e soprattutto  di famiglia non  ci permettevano un  periodo lungo  di assenza  .

Si è deciso così per il venerdì 20 e tutto era cominciato bene, fin dal mattino sul bus che da Nervi ci portava a Genova con i ragazzini gioiosi di Pinerolo arrivati come in gita con magliette gialle originali con scritte no global d’obbligo. Anche noi non eravamo da meno con la nostra maglietta autoprodotta (solo un po’ troppo aderente visto il fisico non più da ventenne) disegnata da Alberto che mostrava una G ricurva seduta a vomitare su un “cesso” a forma di 8 e una scritta “Fuck the Niù Ekkonomy” ispirata dall’ultimo libro di Stefano Benni, che lasciava pochi dubbi sul nostro pensiero.

No, non ci sentivamo vecchi vicino a quei ragazzi dalla parvenza oratoriale emozionati di essere a Genova a manifestare forse per la prima volta.

Una certa emozione c’era comunque anche tra noi, non lo nascondo, motivata dal senso di appartenenza, di fratellanza con tutti quelli che erano arrivati lì per manifestare da tutto il mondo, anche noi parte attiva di quella tribù allegra, variopinta e creativa. Quasi un festival, un happening dalle portaerei di cartone che si trasformavano in scuole e ospedali, alle mutande giganti che prendevano in giro i potenti capi di stato e le “esternazioni” del nostro presidente del consiglio che non voleva vederle perché indecorose; a Don Gallo e Franca Rame vestiti da carcerati e altro tanto ancora.

La sensazione è di quelle giuste, si sta bene con la Rete di Lilliput, Mani Tese, le femministe ed i comunisti turchi, gli amici del centro sociale di Novara e con l’amico Stefano Apuzzo “mitico” animalista a sfilare in corteo con noi.

Con il nostro striscione veniamo accolti con sorpresa e simpatia, qualcuno dei bancari presenti in incognito al seguito di altre associazioni ci incoraggia, ci vuole conoscere, parlare, scambiare indirizzi.

Radio Popolare ci intervista, vuole sapere se abbiamo preparato qualche animazione, qui tutti i gruppi di affinità hanno preparato un intervento da fare nel momento collettivo della protesta.

Noi abbiamo solo una canzone ma verrebbe da dire “i no global per questo G8 è da mesi che si stanno preparando ma noi non ne abbiamo avuto il tempo “Num fin a ier uma lavurà!” ma non mi tiro indietro e a voce nuda accenno, con i miei compagni a rispondere in coro rappando a “cappella” il ritornello “Ma per un bambino non c’è sorriso se lavora quindici ore per un pugno di riso…” di “Diritti e Dignità” composta insieme agli altri amici-musicisti dei Cantosociale che avrebbero voluto anche loro essere li con noi a suonarle. 

Superato il mezzodì si va ad attaccare simbolicamente la “zona rossa” di piazza Corvetto, ma dopo poche centinaia di metri si capisce subito che le cose non andranno come previsto, tronconi di un altro corteo, quello dei “creativi” gli artisti i “pink” tedeschi e francesi, si inserisce nel nostro sospinto dalle cariche della polizia che sta andando giù dura contro chi si avvicina alle gabbie delle altre zone.proibite.

Infatti il sit-in previsto per le 14.00 non si può più fare.

Genova diventa improvvisamente una città maledetta, le strade che prima erano mute e deserte si riempiono di gente che da sola o a gruppi scappa mostrando evidenti segni di scontri, sangue, lividi, teste spaccate e magliette strappate.

Giovani dall’aria spaesata e smarrita si sentono traditi dalle forze dell’ordine “ci hanno attaccato senza alcun motivo”.

In piazza Manin sotto una cortina di lacrimogeni terribili, urticanti al peperoncino, impauriti e sanguinanti alcuni ragazzi piangono proprio davanti ai banchetti che erano festanti solo un’ora fa ed ora sono ridotti a macerie, come se fossero passati dei barbari.

Lì intorno in effetti ci sono ragazzi in tuta nera e poliziotti con bandane nere e tute antisommossa che poco o niente si differenziano, sembrano masnadieri pronti a tutto.

Più in là li vedono, i Black, da vicino saccheggiare un supermercato sfondando la vetrata e depredando tutto e poi incendiando con i poliziotti che vedono e nulla fanno stando a debita distanza lasciando che questi si muovano in gruppo come squadracce fasciste.

La manifestazione non ha più ragion d’essere, la città è in guerra, in stato d’assedio.

Elicotteri sorvolano a bassa quota, fumo e ambulanze riempiono l’aria mentre noi disperatamente cerchiamo di uscire dal labirinto di Brignole risalendo e scendendo vie strette, superando trappole e cambiando spesso percorso cercando di stare uniti usando i cellulari come trasmittenti, due di noi davanti in ricognizione e noi dietro a seguire fermati a volte dai cassonetti bruciati che spostiamo dalla strada per far passare le ambulanze.

Riscendendo verso Nervi, dove avevamo il nostro pulmino, ci mescoliamo al corteo della disobbedienza civile, lo percorriamo al contrario cercando una via di fuga, in testa vediamo ancora fumo, sentiamo colpi e lì a poca distanza verrà ucciso Carlo Giuliani.

Nel corteo numerose ed improvvise fughe sospinti dalle azioni violente dei Black Block, il blocco nero in assetto di guerriglia organizzati come una falange militare, un corpo di guastatori che nonostante venissero respinti, rientravano a lanciare sassi e molotov difficile pensarli come anarchici idealisti nella mia idea romantica e originaria del termine. Qui sembravano mandati apposta a distruggere le nostre intenzioni forse utopiche, a farci del male.

Finalmente dopo oltre 3 ore di cammino e di corse, usciamo dall’inferno e approdiamo come viandanti in fuga al primo “porto franco” aperto nella via per Nervi: un circolo Arci affiancato da una sede dell’ANPI.

Ci è apparso subito come un luogo famigliare e di amici, “siamo venuti in pace!” ho detto entrando con le braccia alzate ed in mano un salame e dal bancone del bar la signora mi risponde con una battuta “Ah! Se siete con Bush qui non si serve niente!”

Ci sediamo al tavolo, la gente si avvicina per sapere, “ma voi con chi eravate?” “Da che zona venite?” “Ma in città è così un’inferno?” Come fosse gente di Beirut, Sarajevo, Roma “città aperta”.

Un portuale simpatico, dai lineamenti duri si avvicina per salutarci prima di andare via, ci dice “Domani ci saremo anche noi a darvi una mano nella manifestazione, ci saranno 15.000 camalli incazzati!” “Però cosa vuol dire bruciare le macchine…..uno magari ha fatto delle cambiali per pagarla e quelli lì gliela bruciano, a un lavoratore come noi!”

Rifocillati e rincuorati prendiamo il bus di ritorno per Nervi dove abbiamo la macchina, sono poche fermate, e lì tra le facce dei giovani manifestanti sudati, stanchi e pestati apprendiamo della tragedia.

Quegli occhi sbarrati, il silenzio irreale, in un luogo così affollato, interrotto da brevi bisbigli, quella parola “un morto” sono ancora molto nitidi nella memoria e chissà se sfumeranno col tempo.

La rabbia, la tristezza, i se ed i ma, le nostre risposte su quello che era successo, i confronti con la storia recente e passata si susseguono confusi con le onde radio sulla macchina nel viaggio di ritorno.

La convinzione è che dopo questa giornata nulla sarà più come prima anche per noi.

La sera tardi mi addormento a casa dopo ore e ore passate con l’orecchio alla radio per catturare notizie, voci, impressioni senza riuscire a dire una parola anche con mia figlia e mia moglie.

Chiudo gli occhi sull’ultima immagine in TV di una Genova buia, notturna con il faro dell’elicottero della Polizia a controllare, cercare, spiare, comandare dall’alto.

Uno shock che si trascina per giorni, così come il dolore inguinale crescente, “regalo” di quella maledetta giornata, che sarebbe culminato in settembre con un’intervento chirurgico all’ernia, e soprattutto una pressante quasi terapeutica esigenza di raccontare, discutere, parlare di quello che è successo, di quello che ci poteva succedere, a chi c’era e soprattutto a chi non c’era e che chissà quale idea si sarà fatto dai tambureggianti media, appositamente “mediati”.

Questo è stato il racconto che una settimana dopo i fatti di Genova ho sentito la necessità di scrivere non necessariamente per essere pubblicato, soprattutto per me stesso, quasi un esigenza psicofisica, e oggi a distanza di anni credo sia giusto metterlo insieme a mille altre racconti che da quei giorni si sono susseguite, orali e scritte. Per testimoniare con le proprie esperienze a tutto quello che ci han voluto dire e scrivere di falso, e rispondere a chi diceva e ancora dice “se uno sta a casa queste cose non gli succedono…si sapeva che quelli li sarebbero andati là per fare casino… ti è andata ancora bene!”. Che non si può sempre stare a guardare.

Incontrando poi recentemente il papà e la mamma di Carlo Giuliani il 25 Aprile scorso a Costa Vescovato su una collina prima di un nostro concerto, a parlare di resistenza e di pace ho sentito l’esigenza di recuperare la poesia che avevo scritto in quei giorni e che nelle intenzioni sarebbe dovuta diventare una canzone ma non ho mai trovato la musica giusta per esprimere in pieno la tristezza, il dolore, la rabbia.

Questo l’ho scritto dieci anni fa …e oggi?

A distanza di vent’anni considero quei giorni e quegli anni un’esperienza che ha aperto e al contempo chiuso molte strade, forse un utopia, quel movimento che è stato volutamente e scientificamente stroncato ma… le idee non muoiono mai… e allora a distanza di anni quell’aria l’ho respirata, almeno questa è stata la mia percezione e non solo la mia nelle manifestazioni sul clima pre pandemia e credo potranno riprendere spero con ancora più forza comprendendo altri temi connessi. Forsa giuinott l’idea l’è mai morta!!!

Questa la poesia

20.7.G8

G8 GENOVA

GIOCOSO GIOIOSO VOCIARE

SOLIDALE                        

BANK ETICO AMBIENTALE

MANIN MANITESE PER INCONTRARE

PIAZZE VICOLI A RIEMPIRE

IN RETE SOLARE MANIFESTARE RADIOPOPOLARE

IN CORTEO INGENUI ASTANTI

LILLIPUZIANI SALTELLANTI

MUTANDE A VELEGGIARE SBEFFEGGIARE

SUPPONENTI NARCISI

CINICI DUCI DI BON TON

IMPROVVISAMENTE  IMPROVVIDO

INFIDO CALDO POMERIGGIO SALE

ALTE PESANTI GABBIE IDRANTI

SIRENE URLANTI 

CAMIONETTE ARREMBANTI

IMPERIALI PROTERVI ELICOTTERI OSSERVANTI

E’ STATO DI POLIZIA

FUMO ACRE DI BRUCIATA VIA

IMPEDITE USCITE IN LABIRINTO DI PAURA

CELERE DURA BANDANE SCURE BARBARE INCENDIARIE FIGURE

CONFUSI FREDDI PRESAGI IN ANSIMANTE CORSA

A PRECIPITARE SUL BUS

STRETTI   

BISBIGLI SOSPETTI

SGUARDI DIRETTI

UNA VOCE

LA RADIO

UN MESTO RICORDO

UN MORTO.

Il movimento altermondialista e le vicende di Genova G8. Le necessarie riflessioni a venti anni dagli eventi

Testo a cura di Giorgio Riolo

I.
Scrivevo nel precedente articolo, dedicato ai vent’anni del Forum Sociale Mondiale e
del movimento altermondialista, che si possono avere due modalità. Una è la
semplice rievocazione. Molto importante comunque, poiché la memoria storica è
sempre minacciata nella frenesia neoliberista e postmoderna del tempo brevissimo
del presente e del dileguare di ogni esperienza nell’effimero e nel frammento, negante ogni possibile sedimentazione, antropologica, culturale e politica. A favore
nondimeno di un’altra sedimentazione. Consumistica, improntata alla forma-merce,
al dato, alla superficie, al non porsi domande di senso e di carattere generale del
proprio vivere, della propria condizione, dei propri veri, profondi desideri di una vita
migliore.

L’altra modalità è invece quello di cogliere l’occasione per riflettere e per ponderare
alla luce dei due decenni trascorsi. Per cercare di trarre le lezioni e per proiettare
nell’oggi e nel futuro ciò che necessariamente impariamo nel cammino. Per
progettare, per costruire alternative, per costruire società, comunità, istituzioni e
assetti nazionali e internazionali alternativi al corso dominante.

E per decidere la propria agenda in questo cammino, in questo processo che
necessariamente abbisogna il tempo lungo, tipico delle costruzioni storiche non
effimere, non evanescenti. Nel nostro caso, per non cadere nella strategia dei
dominanti, i quali con la feroce repressione, come avvenuto nei giorni di luglio 2001
a Genova, miravano e mirano a bloccare il processo e a cacciare indietro, a porre
necessariamente i movimenti e le persone nella difensiva. Tragica difensiva,
beninteso. Il modo migliore per i dominanti nel porre all’ordine del giorno la “loro”
agenda. Così come è la loro agenda un vertice qualsiasi, come era allora il G8.

II.
Che cosa avvenne e soprattutto perché la straordinaria esperienza del G8 di Genova.
La chiamata, il proposito di andare a Genova per contestare il vertice dei potenti, non
fu casuale. Fu un passaggio nel processo del risveglio dei tanti soggetti che
chiamammo a suo tempo movimenti antisistemici, novecenteschi e non (il
movimento operaio, socialista e comunista rimonta almeno al secolo XIX). Negli
anni Novanta a misura della sfida totalizzante del capitalismo nell’era del
neoliberismo e della cosiddetta “globalizzazione”, soggetti e correnti del movimento
del lavoro, operaio e contadino, di pezzi del movimento sindacale, del movimento ambientalista, del movimento pacifista, del movimento femminista, del movimento
dei popoli indigeni, del movimento dei diritti civili, del movimento del solidarismo,
cattolico, protestante e laico ecc. cominciarono a dialogare, a porsi in una relazione
efficace, se non di collaborazione. Tutto ciò sfocerà nella protesta al vertice del Wto a
Seattle di fine 1999 e poi nella costruzione delle alternative al sistema con il Forum
Sociale Mondiale, a cominciare dal Fsm di Porto Alegre di gennaio 2001.

Genova non avrebbe avuta quella straordinaria mobilitazione e quella straordinaria
partecipazione di movimenti, associazioni, partiti, semplici persone e famiglie, dai
gruppi di religiosi e di religiose ai gruppi radicalizzati dei centri sociali, se prima non
si fosse svolto il Fsm di Porto Alegre. Sulla spinta di quel straordinario,
impressionante evento, nei mesi dal gennaio 2001 fino al luglio 2001, si tennero
numerose assemblee di analisi del Fsm, da una parte, e di preparazione quindi a
Genova G8, dall’altra. Assemblee partecipate, di grande dibattito, non celebrative e di
contenuti notevoli.

Senonché a tante assemblee vi partecipavano anche alcuni funzionari della Digos. A
uno di loro che si fermò a parlarmi, dopo una di queste assemblee, chiesi perché si
voleva “appiattire” una mobilitazione di popolo pacifica e così profonda di contenuti,
riconosciuti come notevoli questi contenuti dal funzionario stesso, e farne solo una
“questione di ordine pubblico”. “Ordini dall’alto, per evitare disordini”. Fu la
risposta.

Poi capimmo molto bene cosa ciò significava.

Il Genoa Social Forum e i vari organismi che si mobilitarono per l’evento
organizzarono conferenze e dibattiti sui contenuti prima delle giornate fatidiche dal
19 al 22 luglio. Poi tutto precipitato nello stato d’eccezione che si creò volutamente.
Con l’azione repressiva dei cortei di inaudita violenza a opera dei vari apparati
repressivi dello Stato. Con la modalità tipica in quella occasione. L’uso strumentale
delle esibizioni dei cosiddetti Black Bloc, e anche di gruppi mai visti nelle
mobilitazioni, inspiegabilmente non intercettati nei giorni precedenti dalla stretta
sorveglianza nell’arrivo a Genova. Queste attività di detti soggetti in prossimità o
entro i cortei, come giustificazione per attacchi e violenze efferate compiuti contro
gente inerme, compresi anziani e donne di evidente ispirazione pacifista.
Nella mente della catena di comando, dal livello politico italiano (Fini presente in una
caserma a Genova) al livello dei singoli comandi delle forze repressive, l’occasione
per dare una lezione definitiva a un movimento, a ragione ritenuto pericoloso per il
sistema. Pericoloso perché forte di ragioni storiche, di idee, di cultura, di etica, di
partecipazione, di passioni durevoli e non effimere.

Il culmine di questa esibizione della faccia feroce ed eversiva dello Stato furono i
criminali pestaggi nella caserma di Bolzaneto e nella macelleria messicana operata
alla scuola Diaz. Con l’uccisione di Carlo Giuliani in piazza Alimonda come tragico
suggello. Suggello di questo incredibile, quasi surreale, anche agli occhi di incalliti
oppositori al sistema come eravamo molti di noi partecipanti, forgiati dalla militanza
dal ‘68 e anni Settanta in avanti.

III.
Il problema per i dominanti mondiali, a mo’ di mandanti, nei loro incontri di G8, e
per i loro esecutori nelle strade di Genova è stato che quell’evento alla fine è risultato
uno degli eventi più fotografati, più filmati, più testimoniati da migliaia di giornalisti
e di attivisti della comunicazione, della storia. Migliaia di foto, di video, di
registrazioni, di cronache e di articoli di giornalisti onesti e non asserviti.
Vero problema e saltati tutti i tentativi di creare false prove, false testimonianze ecc.
per giustificare i comportamenti e per scagionare esponenti delle forze dell’ordine
palesemente colti in flagranza di reato.

La verità giornalistica e storica e la verità giudiziaria, grazie anche al lavoro di
squadre di avvocati e di esperti di vari campi, vicini al movimento altermondialista, e
grazie a esponenti della magistratura, obbedienti alla legge e alla Costituzione e non
al potere, alla fine sono state sanzionate, sancite.

Fermo restando che molti capi e funzionari di detti apparati, giudicati colpevoli nelle
varie sentenze di vario grado, la “eterna continuità dello Stato”, ma anche “l’eterno
fascismo italiano”, l’eterna impunibilità di dirigenti del molto avariato Stato italiano,
di cui dirò dopo, addirittura sono stati promossi e hanno continuato il normale, tipico
cursus honorum della vera casta di intoccabili.

IV.
Genova G8 costituì un vero e proprio shock. Nelle manifestazioni, nelle attività di
movimento, successive a luglio 2001, nei gruppi tematici di lavoro e di studio ecc. si
ritrovarono, e ritrovammo, molti attivisti e militanti, molte semplici persone, che non
vedevamo da molto tempo. I tanti e tante delusi dalle dinamiche autoreferenziali e
settarie anche dei vari pezzi della sinistra, storica e nuova, i quali non conducevano
più alcuna militanza o attività pur rimanendo con testa e cuore a sinistra, nel
solidarismo, nei valori di riferimento della loro fase precedente. Un rinnovato
protagonismo si palesò. Una febbrile attività fu lo scenario.

Poi, come è avvenuto nella storia dei Forum Sociali Mondiali e nel movimento
altermondialista, un lento venir meno di questa passione e di questo fervore, di questo
protagonismo e di questo attivismo.

V.
Alcune considerazioni finali.

La ragione (cultura, idee, studi ecc.) e la passione (scelta etica, qualità morali,
volontarismo, attivismo ecc.) sono necessarie, ma non sufficienti. Per dare continuità
a questa grande cosa che pensammo, vale a dire “un altro mondo è possibile”,
occorreva e occorre sempre “forza” e “organizzazione”.

Nozioni completamente diverse dalla forza e dall’organizzazione dei dominanti, da chi esercita e vive di potere. Nozioni aliene dalla gerarchia e dalla burocrazia di organismi abituati a
operare con gerarchia e burocrazia.

Un lavoro paziente di lunga durata per tenere assieme culture, sensibilità, matrici
culturali, di diversa ispirazione e di diversa indole, ma tutte miranti a dare un volto
umano a questo mondo e a questo pianeta, ormai in pericolo nella sua stessa
costituzione di civiltà, a causa delle enormi, incredibili diseguaglianze, e nella sua
stessa costituzione materiale.

È possibile riprendere il cammino interrotto dei Fsm e del movimento
altermondialista. E quindi delle passioni e delle ragioni di Genova G8. Indicavo
alcuni passaggi nel precedente articolo dedicato ai venti anni del Fsm.

Infine, senza riforma dello Stato italiano, senza riforma degli apparati dello Stato,
senza riforma della Pubblica Amministrazione ecc., senza la ferrea selezione
costituzionale e culturale dei dirigenti, ricadiamo nella condizione dell’eccezione e
nell’anomalia italiane. Non solo Genova, non solo Santa Maria Capua Vetere, non
solo Stefano Cucchi, non solo caserma dei carabinieri di Piacenza ecc., ma ogni
episodio eversivo, di quelli noti e di quelli ignoti, per i quali non abbiamo filmati,
testimonianze ecc. perché semplicemente occultati, nel passato, nel presente e nel
futuro, perché quello di cui discutiamo è solo la punta dell’iceberg. Chissà quale
montagna di altri episodi simili.

Dicevo “cultura” e “Costituzione”. Ma anche il livello antropologico di chi
semplicemente porta la divisa, si sente sotto la copertura e la protezione e l’omertà
anche di essere rappresentante dello Stato, della Pubblica Amministrazione. Un
tempo dicevamo “Forti con i deboli e deboli con i forti”. Le frustrazioni di persone
non formate, non educate e che pertanto considerano sudditi i cittadini e le cittadine.
Così come d’altra parte inculcano loro il livello politico e il livello dirigenziale di
detti apparati. Così è. E a farne le spese soprattutto i più deboli, i migranti, gli
stranieri, i “senza documenti”. Attendiamo di sapere, per esempio, che ne è del
detenuto algerino di cui testimonia uno dei reclusi bastonati nel carcere in questione.

Concludo.

Dicevamo “l’eterno fascismo italiano”, “il sovversivismo delle classi dominanti”, lo
“spagnolismo” tipico italiano. Privilegi, status, potere “con qualunque mezzo
possibile”. Todo modo, evocato da Leonardo Sciascia, e “Io so, ma non ho le prove”
negli Scritti corsari di Pier Paolo Pasolini.

CALZATURIERO – La crisi del settore vista da Edoardo Casati, coordinatore dei Giovani Comunisti di Pavia

Il comparto ha preferito ridurre il costo del lavoro

«Le aziende del settore, tutte medie e piccole, non hanno investito in innovazione e competenze»

Testo a cura di Edoardo Varese, da “Il Punto Pavese” del 12/07/2021

Un settore che ha segnato per decenni la storia di Vigevano e della terra del riso, dal secondo dopoguerra fino ad arrivare ai giorni nostri. Un arco di tempo immenso, ricco di vari avvenimenti storici e di eventi. Stiamo parlando del settore calzaturiero ed in particolar modo della ditta Moreschi, un’azienda che ha reso famosa la cittadina ducale in Italia, in Europa e nel mondo: il fatto che Vigevano fosse considerata la capitale della scarpa ne è una diretta conferma. Un’azienda che però, adesso si trova costretta a lottare per la propria sopravvivenza.

Come sempre, per capire il motivo per il quale una ditta che per anni ha portato avanti la propria attività con grandi risultati, sia andata incontro ad un inesorabile declino, occorre soffermarsi sul rapporto cause ed effetto. Analizzando le varie scelte di stampo economico-politico che si sono rivelate errate. In questo senso, Edoardo Casati, coordinatore dei Giovani Comunisti di Pavia, vuole dare uno sguardo da vicino al destino al quale sta andando incontro il famoso marchio calzaturiero vigevanese.

“I problemi – spiega Edoardo Casati – sono iniziati a sorgere a partire dal momento in cui invece di innovare i prodotti, si è preferito ridurre i costi del lavoro. Con la globalizzazione, se si vuole vendere su larga scala i propri prodotti, è fondamentale innovare, altrimenti si rischia di implodere. Le aziende di Vigevano, tutte piccole o medie, invece di investire per nuove competenze, hanno abbassato i costi del lavoro, diminuendo le proprie possibilità di vendita e azzerando di fatto la possibilità di ottenere guadagni. Quando un’azienda specializzata in un determinato settore entra in crisi, in questo caso quello calzaturiero, perdiamo persone che hanno interesse nel prepararsi adeguatamente per entrare a farne parte. Vengono a mancare delle esperienze professionali che poi sono difficili da recuperare. Noi di Rifondazione Comunista riteniamo sia doverosa una nuova gestione economica da parte dello Stato. Dalla crisi si può fuoriuscire non grazie ai privati, ma solo tramite lo Stato. E il Comune, in questo senso, potrebbe sollecitare questo tipo di intervento”.

La base industriale è molto importante per la sopravvivenza di un Paese.

“Moreschi – prosegue il giovane militante di Rifondazione Comunista – rappresenta l’ultimo baluardo di azienda che contribuisce a creare un settore industriale con basi solide a Vigevano. La vecchia gestione ha dato in mano l’azienda a qualcuno che dell’azienda non era minimamente interessato e soprattutto a qualcuno che non aveva minimamente a cuore i diritti dei lavoratori e delle lavoratrici. Lo Stato deve aiutare quelle aziende che vogliono rimanere in Italia e che intendano tutelare tutti i posti di lavoro dei propri dipendenti. Il Comune non ha detto o comunque fatto nulla in favore dei lavoratori della Moreschi. I lavoratori dipendenti vengono trattati come se appartenessero ad una categoria inferiore, un modus cogitandi che deve essere cambiato. Se non si applicano le richieste e le rivendicazioni che noi, mettiamo in campo, si va a peggiorare la situazione. Serve un intervento dello Stato, una programmazione seria che parta dal pubblico e non dal privato. Occorre applicare tutti gli ammortizzatori sociali possibili, partendo da una cassa integrazione che possa gradualmente portare al rilancio produttivo dell’azienda. Si può benissimo fare”.

Gli ingredienti per impedire alla storica azienda di fallire ci sono tutti. Non resta altro da fare che applicarli.

CUBA: farla finita con il bloqueo che viola i diritti umani

Rispetto agli avvenimenti degli ultimi giorni a Cuba, sotto forma di manifestazioni con lo slogan di “SOS Cuba”, il Partito della Rifondazione Comunista – Sinistra Europea ricorda che, in un flagrante attacco ai diritti umani, dall’arrivo della pandemia gli Stati Uniti hanno indurito il blocco economico, commerciale e finanziario. Un blocco il cui principale obiettivo è quello di soffocare l’economia dell’isola. Nella logica del “tanto peggio, tanto meglio” si cerca di provocare una rivolta sociale per destabilizzare il governo cubano, nei confronti del quale ribadiamo la nostra solidarietà.

Solo pochi giorni fa, l’ONU ha votato massicciamente contro il blocco con solo due voti contrari, gli Stati Uniti e Israele. Si tratta del 29° voto all’ONU contro il blocco, senza che finora sia stato fatto nulla per rimuoverlo. Solo da aprile 2019 a dicembre 2020, il blocco ha causato a Cuba perdite di circa 9.157,2 milioni di dollari. La pandemia di Covid-19 ha ulteriormente acuito le sue conseguenze nei confronti dell’isola, e l’amministrazione statunitense di Biden non ha mostrato nessuna volontà di allentare le misure coercitive unilaterali. Al contrario, rimangono intatte le 243 misure imposte dall’amministrazione Trump e la ridicola inclusione di Cuba, da parte del governo degli Stati Uniti, nella lista dei Paesi che sponsorizzano il terrorismo. Ciò, nonostante la solidarietà delle brigate mediche cubane, la ricerca scientifica per sviluppare diversi vaccini contro il Covid-19 o la donazione gratuita dei suoi vaccini a Paesi terzi, con grandi sforzi nel mezzo di una pandemia.

Sarà un caso che pochi giorni dopo la missione in Colombia e Brasile del capo del Comando Sur degli Stati Uniti, almirante Craig Faller e del direttore CIA, William J. Burns, il continente latino-americano sta vivendo momenti di forti tensioni (Haiti, Venezuela, Perù, Colombia ed ora Cuba…) ?

Se davvero gli Stati Uniti hanno a cuore la situazione “umanitaria” a Cuba, la facciano finita con l’ingerenza imperialista e con il blocco che viola i diritti umani e colpisce direttamente la popolazione per la mancanza di medicine, di pezzi di ricambio o di energia, in mezzo a una pandemia.

Ancora una volta, Il PRC-SE si unisce a quanti esigono l’eliminazione immediata del blocco criminale ed illegale, principale misura contro il diritto alla salute, all’alimentazione ed il ritorno alla normalità, affinchè siano i cubani a decidere il loro presente e futuro.

Partito della Rifondazione Comunista – Sinistra Europea

PD E LEGA UNITI PER CONFINDUSTRIA. ELIMINATE LE CAUSALI PER I CONTRATTI A TERMINE

Il parlamento ha approvato la norma, voluta con forza da Lega e Pd, che elimina del tutto, per i contratti a termine, le causali, definite dal decreto “dignità”, che giustifichino la temporaneità reale delle esigenze dell’impresa, in assenza delle quali lo stesso decreto aveva previsto l’obbligo della conversione del contratto a termine in contratto a tempo determinato.
Già il governo Draghi, aderendo alle pressanti richieste di Confindustria, aveva approfittato dell’emergenza per consentire alle aziende, che già godevano della possibilità di assumere lavoratori a termine per un anno senza giustificazione alcuna, il rinnovo per una volta per 12 mesi senza causali.
Ora con la modifica approvata dal parlamento la regolazione delle proroghe e dei rinnovi è lasciata totalmente nella disponibilità della contrattazione collettiva anche aziendale.

Viene così smantellato il decreto bandiera del M5S, un argine già insufficiente rispetto alla precarizzazione introdotta dalla legge 30 e dal jobs act che si manifesta soprattutto con la prevalenza di contratti di lavoro inferiori a 6 mesi.
E’ comunque un’ulteriore via libera alle assunzioni precarie che saranno facilitate in parte dalla debolezza delle rappresentanze sindacali aziendali, ma soprattutto dalla complicità dei sindacati gialli firmatari delle centinaia di contratti pirata, ma legali, che in questi anni hanno ridotto salari e tutele a livelli vergognosi.
Pd e Lega fanno a gara nell’esprimere la propria soddisfazione per il risultato raggiunto. Con lo sblocco dei licenziamenti si manderanno a casa lavoratrici e lavoratori a tempo indeterminato ancora coperti dalle vecchie tutele che saranno sostituiti da precari senza diritti. Confindustria ringrazia, ma ad uscirne confermata è l’ispirazione neoliberista complessiva di questo governo che anche nel PNRR prefigura una ristrutturazione del sistema economico aumentando la precarietà e la flessibilità.
Ci sarebbe bisogno di una svolta con un piano per il lavoro che preveda la riduzione d’orario a parità di salario, il rilancio dell’obiettivo della piena occupazione a partire da un milione di assunzione nel pubblico, largamente al di sotto della media europea, un salario minimo orario legale contro i salari da fame, la fine delle esternalizzazioni, dei subappalti e delle false cooperative, l’abrogazione delle norme che precarizzano. Tutti obiettivi che questo governo dei padroni non intende perseguire.

Maurizio Acerbo, segretario nazionale e Antonello Patta, responsabile lavoro del Partito della Rifondazione Comunista – Sinistra Europea