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STOP GENOCIDIO! VITA TERRA LIBERTÀ PER IL POPOLO PALESTINESE!

3 Marzo 2024

Vigevano – Biblioteca Civica Lucio Mastronardi – Corso Cavour 82

Sabato 9 marzo 2024 – ore 15:30-18

La Palestina e la questione palestinese oggi.
La morsa colonialistica e la pulizia etnica di Israele e dell’Occidente collettivo.

La sempre presente aspirazione del popolo palestinese alla liberazione e alla pace.

Partecipano:

Susanna Sinigaglia

pubblicista, attivista per la pace

Ahmad Saleh

Comunità Palestinese Milano, già medico 118 e cittadino onorario di Vigevano

Collettivo Culturale “Rosa Luxemburg” – Rete delle Alternative – Vigevano

PALESTINA – ISRAELE: ALLA RADICE DI 75 ANNI DI OPPRESSIONE

13 Ottobre 2023

Siamo ovviamente addolorati per le immagini di vittime provocate dagli scontri armati di questi giorni, ma cosa c’è alla radice di questi tragici fatti?

  1. Nel 1948 si formò lo Stato d’Israele che nasce occupando territori palestinesi ed espellendo centinaia di migliaia di persone anche con massacri (Deir Yassin del 9 aprile 1948 per citarne uno).
  2. Lo Stato israeliano si espande occupando Cisgiordania e parte della Siria nel 1967 e in varie occasioni porzioni di Libano.
  3. Centinaia di migliaia di coloni israeliani hanno occupato territori palestinesi, devastando campi e raccolti, con sempre nuovi insediamenti.
  4. Israele, Stati Uniti e varie nazioni europee hanno fatto fallire gli accordi di Oslo e hanno impedito la nascita di uno Stato palestinese.
  5. Israele ha violato decine di risoluzioni Onu che chiedevano il ritiro dei territori occupati.
  6. Centinaia di palestinesi, di cui molti minori, dall’inizio di quest’anno sono stati uccisi dall’esercito israeliano.
  7. Nella striscia di Gaza (un territorio lungo 41 chilometri e largo 7) sono rinchiusi ben due milioni e mezzo di palestinesi in una sorta di grande prigione a cielo aperto e attualmente sottoposti (come già più volte nel passato) a pesantissimi bombardamenti israeliani anche su ospedali, scuole, case d’abitazione e sono privati di cibo, acqua, elettricità.
  8. Migliaia sono i detenuti politici palestinesi nelle carceri israeliane.
  9. Israele, oltre a possedere centinaia di ordigni nucleari, è pesantemente armato dagli Stati Uniti che lo utilizzano per controllare il Medio Oriente e le sue risorse petrolifere.
  10. Il governo Netanyahu è sostanzialmente formato da gruppi estremisti di destra e da fanatici religiosi.

Una volta i governi italiani, anche nostri avversari, tentavano di svolgere una politica volta a costruire la pace in Medio Oriente. L’attuale nostro Governo, invece, è supinamente sdraiato sull’atlantismo e la sudditanza agli Stati Uniti.

Ovviamente non ci piace un partito di fondamentalismi religiosi come Hamas, ma d’altronde, all’inizio era stato incoraggiato proprio dai governi israeliani per dividere i Palestinesi. Adesso, com’era successo per i Talebani, si ribella all’Occidente.

Impegniamoci per una politica estera di pace dalla quale l’Italia, nel centro del Mediterraneo, avrebbe tutto da guadagnare, contro il bellicismo degli U.S.A. e della loro creatura israeliana.

PARTITO DELLA RIFONDAZIONE COMUNISTA – FEDERAZIONE DI PAVIA

Palestina libera!

ALEX ZANOTELLI: CONTRO LA GUERRA E IL RIARMO, BOICOTTARE LE BANCHE ARMATE

Pubblicato il 30 lug 2023

Laura Tussi

Alex Zanotelli interviene con decisione sul tema delle banche armate per sostenere la campagna di sensibilizzazione sugli investimenti non etici degli istituti finanziari e per difendere la legge 185 dagli attacchi del ministro Crosetto e della lobby delle armi. La sua esortazione contiene due inviti fondamentali, uno alla consapevolezza e all’informazione e un altro alla disobbedienza civile.

Pochi giorni fa si è tenuto un incontro organizzato dall’AIAD – la Federazione Aziende Italiane per l’Aerospazio, la Difesa – alla presenza del ministro Crosetto, che si è detto favorevole a modificare la legge 185 perché sta bloccando troppo la vendita di armi. Le reazioni a questo attacco non si sono fatte attendere e uno dei primi a intervenire è stato Alex Zanotelli: «Non ho mai visto un Governo italiano così prigioniero del complesso militare industriale di questo Paese e questo è gravissimo», ci ha detto.

Un altro aspetto preoccupante che emerge dalle dichiarazioni di Crosetto riguarda il rapporto fra guerra e finanza.

Il ministro si è detto molto preoccupato per le banche etiche perché – a detta sua – diventa sempre più difficile trovare soldi dalle banche che si sentono accusate di non essere etiche. Per questo ha dichiarato di voler fondare una nuova banca che investa soltanto nel militare. Per questo penso che diventi fondamentale in questo momento proprio l’invito a tutti a evitare e soprattutto boicottare le banche armate. Con la guerra in Ucraina verranno prodotte molte armi ed essa andrà avanti perché è importante produrre armamenti e poi smaltirli subito. È il solito modo di procedere.

Cosa ti preoccupa di più di questa situazione?

Quello che mi preoccupa di più non è tanto la reazione della società civile, che purtroppo non è molto cosciente, quanto quella delle comunità cristiane. Il livello dovrebbe essere molto chiaro: non possono lasciare i loro soldi in mano alle banche che investono nella produzione di armi. Quel povero Gesù di Nazareth era il profeta della nonviolenza. Il grande teologo Enrico Chiavacci al Concilio Vaticano Secondo ha detto una cosa molto chiara: un cristiano è obbligato a sapere dove tiene i propri soldi, in quali banche e come quella banca usa quei soldi.

Quello che mi sconcerta di più è quindi il silenzio da parte delle comunità cristiane, delle parrocchie, delle diocesi, dei vescovi. Non riesco a capirlo. Ormai noi cristiani siamo talmente conformati al sistema economico-finanziario militarizzato che accettiamo come una cosa normale che i nostri soldi vengano investiti in tutta questa infernale produzione. Penso che sia importante un appello alle comunità e a tutti i cittadini perché davvero adesso devono compiere una scelta sostanziale. Non vogliamo la guerra, siamo per la pace, ma se poi i soldi li depositiamo in una banca che investe in armi e ordigni militari la coerenza viene meno. È necessario aiutare la gente a capire questo, ma non è facile.

Come valuti oggi il mercato degli armamenti in Italia?

L’anno scorso abbiamo investito per 32 miliardi di euro in armi. È pazzia collettiva. Sono tutti soldi che vengono tolti alla scuola, alla sanità pubblica e ad altri settori vitali. La campagna di boicottaggio delle banche armate dovrebbe motivare la gente, far capire che i suoi soldi non possono essere usati per costruire armamenti che ci stanno conducendo inesorabilmente a un disastro planetario. E dall’altra parte ricordiamoci quanto pesano sull’ecosistema queste guerre, che provocano un altissimo tasso di inquinamento e qui siamo davanti all’estate incandescente.

Vendere armi nelle zone calde, nelle aree di conflitto armato è vietato dalla legge 185/1990, come anche dalla nostra Costituzione. L’export di armamenti è veicolato verso i paesi impegnati nella guerra contro lo Yemen, verso i paesi come l’Egitto di al Sisi e la Turchia di Erdogan. Puoi argomentare queste considerazioni?

Il problema è drammatico. Il Ministro della Difesa Crosetto è molto preoccupato della 185 perché ostacola la vendita d’armi, che lui al contrario vorrebbe accelerare. È una legge nata in seguito a una lunga battaglia di cui ho fatto parte con la rivista Nigrizia. Poi mi hanno “defenestrato” e sono andato in Africa, ma quel movimento, che includeva tantissime organizzazioni, ha portato alla legge 185, che è unica in Europa. È un piccolo strumento per prevenire un sacco di disastri ed è fondamentale difenderlo ostinatamente, anche a costo di pagare di persona.

I caricatori del porto di Genova, i Calp –ma anche quelli di altri porti –, si sono rifiutati di caricare le armi sulle navi destinate all’ Arabia Saudita per la guerra contro lo Yemen. I portuali stanno pagando di persona, sono incriminati e rischiano di essere processati. Ma oggi diventa fondamentale la disobbedienza civile. Giorni fa ho partecipato a un incontro sul caporalato in Campania e il vescovo emerito di Caserta, Monsignor Nogaro, ha detto proprio queste parole: «È arrivato il tempo di gridare che è necessaria la disobbedienza civile. Siamo arrivati a questo punto. Dobbiamo davvero disobbedire».

Questo però vuol dire pagare nella propria vita e so che questo non è facile. Eppure il cittadino che capisce quanto è folle questo sistema drammatico deve avere il coraggio. Questo per le armi ma non solo: ho sempre appoggiato tutte le manifestazioni di Ultima Generazione, fanno bene a fare quello che fanno perché oggi stiamo andando verso il disastro ecologico.

L’idea di base della campagna di pressione sulle banche armate è valida perché tende a bloccare questo sistema di commercio di armamenti. Con quali modalità?

Le modalità di questa campagna di boicottaggio delle banche armate è molto semplice. È necessario comprendere il problema e reagire. Basta semplicemente ritirare i propri soldi dalla banca che investe in armi e vedere di trovare una banca etica, ossia un’altra banca che non investa in armi. È fondamentale questa azione. Tutto questo non è facile perché è chiaro che gli interessi sono tanti perché certe banche – come le tre banche principali in Italia: Unicredit, Intesa Sanpaolo e Deutsche Bank – danno alti dividendi, che sono molto più vantaggiosi, e quindi ognuno anche qui ci perde a livello personale. Ma dobbiamo cominciare a capire che non si può continuare così.

Penso che il successo dipenda da due fattori fondamentali. Finora abbiamo lanciato questa campagna con Pax Christi e le tre riviste Nigrizia, Missione Oggi e Mosaico di pace, ma non basta. Stiamo premendo affinché la chiesa italiana faccia un passo in avanti. Ma allo stesso tempo ci vorrebbe anche da parte della società civile la capacità di rilanciare con forza tutta questa azione, perché molta gente non sa nulla di queste cose.

Il secondo fattore è la disobbedienza civile dei tanti che lavorano in fabbriche d’armi: che si rifiutino di continuare a fare il proprio lavoro. Ho scritto recentemente – in occasione del funerale di Berlusconi – che l’amoralità, cioè la non-moralità, è diventata l’etica del popolo italiano. Questo è il problema: non ci sono più valori né ideali e questo richiede un intervento soprattutto da parte della rete della Chiesa, che deve ricominciare a formare una coscienza di valori.

La campagna di boicottaggio delle banche armate dovrebbe motivare la gente, far capire che i suoi soldi non possono essere usati per costruire armamenti

Il valore delle operazioni segnalate dalle banche italiane relative al commercio di armi sfora i 9 miliardi e mezzo di euro. Le riviste missionarie Nigrizia, Mosaico di pace e Missione oggi come denunciano il fatto che gli istituti di credito si sono messi al servizio delle aziende belliche?

In generale le tre riviste sono molto chiare sulla denuncia di tutto questo ed è fondamentale che continuino in questa loro denuncia, che però da sola non è sufficiente. Sono tre voci che non hanno gran peso nella società italiana. Bisognerebbe che qualche televisione o qualche grosso giornale iniziasse una campagna sul tema, ma chiaramente il problema è che sono tutti parte del sistema: basta vedere un giornale e chi lo paga, da dove riceve fondi. Penso che anche questa sia una vera e propria missione. Sono un missionario e a volte sembra sempre di parlare al deserto, ma è importante continuare a declamare la nostra posizione.

Non smetterà mai di invitare tutti a riflettere su come i nostri soldi vengono usati. Vale per le banche armate, ma vale anche per chi investe in fossili. Sono due facce della stessa medaglia, perché sono le due realtà che ci stanno portando alla possibilità che la presenza umana sul pianeta venga meno.

Anche il PNRR sarà sempre più proiettato all’investimento e produzione di armi?

Il PNRR dovrebbe servire alla società civile, soprattutto servire a portare avanti la scuola e la sanità, ma se i fondi vanno a finire in armi e non rimangono che le briciole per tutto il resto. Questa è una cosa gravissima.

Pagliarulo: “Iscrivetevi all’ANPI, siete la speranza e la forza della Costituzione”

3 Marzo 2023

13/19 marzo 2023: Giornate nazionali del tesseramento all’ANPI.

Sezioni e Comitati provinciali nelle piazza di tutte Italia. Ad annunciarlo, il Presidente  Gianfranco Pagliarulo: “2023. Ottant’anni dopo l’inizio la Resistenza contro l’occupazione nazista e la dittatura fascista. Viviamo un tempo preoccupante; spira un vento autoritario e oscurantista e ritorna l’incubo della guerra. Ma c’è un popolo di ragazzi, di donne, di lavoratori che non ci sta. L’antifascismo e la pace sono valori più che mai attuali. Per questo l’ANPI lancia una grande campagna di tesseramento. Vi aspettiamo nelle piazze di tutta di tutta Italia dal 13 al 19 marzo. La speranza e la forza della Costituzione siete voi, siamo noi: un grande popolo“.

ANPI DI MORTARA: PRESIDIO E FIACCOLATA PER LA PACE, VENERDÌ 24 FEBBRAIO 2023, ORE 21 IN PIAZZA DEL MUNICIPIO

20 Febbraio 2023

Unione Popolare: domani 4 novembre presidi contro la guerra in tutta Italia e sabato in corteo a Roma e Napoli

Pubblicato il 3 nov 2022

Riceviamo e volentieri pubblichiamo

Unione Popolare promuove domani 4 novembre, in occasione della Festa delle Forze Armate, una giornata di mobilitazione pacifista. Sabato 5 novembre parteciperemo e invitiamo a partecipare alle manifestazioni nazionali di Roma e di Napoli.

In almeno trenta città italiane ci saranno domani presidi contro la guerra, contro la guerra ai poveri e contro la guerra ai migranti. Vogliamo unire il nostro ripudio della guerra alla nostra opposizione alle politiche contro i poveri del governo che vuole abolire il reddito di cittadinanza e che sta bloccando le navi delle ong nel Mediterraneo.

Questo governo come quello che lo ha preceduto prosegue sulla strada della guerra per procura in Ucraina con l’invio di armi e il totale allineamento alla NATO e agli USA. Sempre con la complicità della sedicente opposizione ha di fatto prorogato gli accordi con la Libia siglati nel 2017 da Gentiloni e Minniti.

Noi scenderemo in piazza il 4 e 5 novembre per rivendicare l’attuazione della Costituzione, lo stop all’invio delle armi, il taglio delle spese militari, l’estensione del reddito di cittadinanza e misure contro il carovita e l’inflazione a partire dal salario minimo e la scala mobile, la fine delle politiche disumane sulla pelle dei migranti prigionieri nei lager libici o annegati nel Mediterraneo.

Al contrario degli esponenti del PD e del M5S parteciperemo alla manifestazione pacifista a Roma il 5 novembre con la coerenza di chi si è opposto fin dall’inizio all’invio di armi e all’espansionismo NATO. Saremo in piazza per dire no all’invasione di Putin e anche a chi vuole proseguire la guerra per calcoli geopolitici folli.

Chiediamo che le enormi risorse che si stanno sperperando per la nuova corsa agli armamenti e per il conflitto in Ucraina siano destinate alla solidarietà, alla sanità, allo stato sociale, alla lotta alla povertà.

Coordinamento nazionale di Unione Popolare

Elenco incompleto iniziative 4 novembre:

Grosseto. In centro ore 17.30 UP
Padova, 12.30, davanti al Municipio, UP
Mantova, 6.00, L. go XXIV Maggio, Rifondazione, PaP e altri
Ravenna, 16.30, Piazza XX Settembre, UP e altri
Bologna, 18.00, Piazza Nettuno, UP
Livorno, 17.30, Piazza Grande, Rifondazione, PaP e altri
Torino, 17.00 Via Garibaldi (angolo Piazza Castello), UP e altri
Bolzano, 15.00, Piazza del Grano, UP ed altri
Roma 18.00, Via Flavio Stilicone, (Cinecittà) UP
Roma, 17.00 Via Adami, UP volantinaggio
Roma 17.00 Via delle Robinie (Centocelle) Rifondazione volantinaggio
Roma ore 7,50 8,50 Scuola Alberto Manzi – Via del Pigneto 301
ore 7,50 8,50 Scuola Enrico Toti – Via del Pigneto 104
(Torpignattara) Rifondazione volantinaggio
Milano, 17.30. Corso Italia, UP
Ivrea, 10.30. Giardini di Corso Cavour, vari
Cagliari, 17.00 Piazza Garibaldi
Catanzaro, 18.00 volantinaggio in centro città
Pesaro, ore 16.00 Piazza Collenuccio
Marano di Napoli, 17.30. Piazza della Pace
Pisa, 12.00 di Via Caduti di Kindu
Pozzuoli, 18.00. Piazza della Repubblica

UN PONTE VERSO UNA NUOVA FASE DELLA GUERRA IN UCRAINA

19 Ottobre 2022

EDOARDO CASATI

Cento attacchi e quindici città colpite. Danni ad Internet, agli impianti idrici ed alle stazioni dei mezzi pubblici che sono diventati rifugi temporanei. Ma Putin non era all’angolo? Il dittatore russo non era spacciato? L’esercito ucraino in queste settimane ha sorpassato, legittimamente, le tante “linee rosse” imposte dal capo del Cremlino, senza che quest’ultimo avesse risposto all’attacco.

Vista la situazione e trasportati dalla narrazione corrente, gli ucraini hanno evidentemente pensato che fosse il momento giusto per alzare il livello dello scontro. Ma come? Semplicissimo: un attentato ai danni del ponte che collega la Crimea al resto della Federazione russa eseguito da un camion carico di esplosivo, che è, semplicemente, la volontà fatta pratica di produrre un inasprimento del conflitto.

A seguire quest’attacco, con il fine principale di esaltarlo, sono arrivati prontamente quei giornalisti che non hanno capito che “fare giornalismo” significa riportare la verità e non fare i pappagalli che ripetono ciò che dice il New York Times.

Parte Cristian Rocca, per citarne uno fra tutti, direttore de “Linkiesta” che, sul suo account Twitter, scrive: «I ponti sono bellissimi. I ponti che collegano la Crimea alla Russia ancora di più». Il tutto, ovviamente, accompagnato dalla bella foto del ponte di Crimea in fiamme.

Ad accompagnare Rocca arrivano giornalisti e politici di ogni nazionalità, a partire dall’Italia con Marta Ottaviani (giornalista e scrittrice): «Altro regalo per Putin. Esplosione sul ponte di Crimea»; fino ad arrivare alla Polonia, dove Robert Biedron (deputato del partito “Wiosna”, ovvero “Primavera”, appartenente al centrosinistra) esulta e scrive: «Bello che Putin abbia ricevuto un regalo tale per il suo compleanno; speriamo che ne possa ricevere altri».

Era prevedibile che l’attentato terroristico avrebbe causato una repressione senza eguali, che sarebbe stata utilizzata dalla Russia per non far sorpassare la famosa “linea rossa” che Putin aveva categoricamente imposto. Quelle che all’inizio erano solo paure, seppur fondate, si sono concretizzate in un paio di giorni.

Domenica notte arrivano le prime notizie del bombardamento di un edificio residenziale a Zaporizhzhia. La cosa sembrava terminare lì e questo avrebbe ancora una volta “consolato” la propaganda filo-occidentale che porta avanti, ormai da settimane, l’idea secondo la quale Putin sarebbe all’angolo e quindi, preso da una qualche sorta di pazzia, intenzionato a uccidere civili senza un motivo.

Per abbattere questa visione, piena zeppa di propaganda, è necessario aspettare il giorno dopo quando, la mattina, arrivano le notizie dei primi bombardamenti a Dnipro e a Kiev, dove sarebbe addirittura stato colpito il quartier generale dei servizi segreti ucraini.

La lista si allunga inesorabilmente, con pause tra l’una e l’altra città di soli pochi minuti: si parte da Nicolaev, per poi aggiungere alla lista anche Ternopil, Zhytomyr e Khelmisky. Le stazioni diventano improvvisamente rifugi temporanei e la metropolitana di Kiev viene bloccata.

Vengono colpite, poi, una larga parte delle centrali termoelettriche dell’occidente del paese che causa dei blackout a Leopoli, Vinnitsa e Ivano-Frankivs’k. Viene anche colpita Karkiv che, oltre all’elettricità, subisce danni anche alla rete idrica.

Alle 11 vengono evacuate tutte le ambasciate dei paesi europei presenti a Kiev e si parla addirittura di danni ingenti al consolato tedesco.

Sempre Rocca scrive su Twitter, tra le altre cose, anche: «La Russia è uno stato terrorista, i Russi sono un popolo terrorista». Avete capito bene. I russi in quanto tali. Tutti, senza alcuna esclusione. Un’affermazione che, se fatta in un altro momento e/o contro un altro popolo o un’altra etnia, avrebbe portato a Rocca una bella denuncia per istigazione all’odio raziale.

Vedremo quindi se l’ordine dei giornalisti prenderà provvedimenti o se, per la situazione, riterranno opportuno continuare a camminare a testa bassa senza intromettersi nella martellante propaganda occidentale che ora, evidentemente, è disposta pure a sdoganare la teoria delle razze.

La situazione rischia di peggiorare inesorabilmente, causando un’escalation senza precedenti. Davanti a tutto ciò credo sia giusto chiedersi fino a quanto saremo disposti a spingerci per sopportare quella che ormai non è più solo la difesa, ma che è anche l’attacco di un paese in armi.

Fino a quando seguiremo questa spirale che ci porta nella direzione opposta rispetto a quella tracciata dalla nostra costituzione, che ripudia la guerra come strumento di risoluzione delle controversie internazionali?

E soprattutto, fino a quando, per chiedermelo, dovrò pagare il costo di essere additato come “filo-Putin”?

foto: screenshot

C’è solo l’alternativa della diplomazia

5 Luglio 2022

GIANFRANCO PAGLIARULO Presidente nazionale dell’Anpi

Al summit della Nato il prezzo dell’ingresso nell’Alleanza militare di Svezia e Finlandia è stato la testa dell’opposizione curda. D’altra parte Stoltenberg ha affermato che «nessun alleato ha sofferto più della Turchia a causa del terrorismo». Nulla di nuovo: nell’ottobre 2019, quando, approfittando del disimpegno americano, la Turchia invase il Kurdistan siriano, il segretario della Nato definì Erdogan come il portatore di «legittime preoccupazioni di sicurezza» alla faccia del sacrificio della milizia curda Ypg contro i tagliagole dell’Isis. Il punto è che Erdogan – a parere di Mario Draghi (8 aprile 2021) – è un dittatore.

D’altra parte l’Ungheria della «democrazia illiberale» e l’oscurantista Polonia sono membri della Nato. Per il nuovo documento-guida della Nato, il problema sono i regimi autoritari (esclusi quelli di Paesi della stessa Nato, evidentemente), la Russia è una «minaccia» – affermazione spiegabile a causa dell’aggressione all’Ucraina, ma foriera di ulteriori tensioni -, la Cina una «sfida ai nostri interessi, valori e sicurezza» (tesi che allarga la tensione su scala mondiale). Ne consegue una funzione «globale» dell’Alleanza atlantica, una interpretazione «estensiva» dell’articolo 5 e un gigantesco rafforzamento del suo apparato militare. Ovvia la reazione della Cina: è la Nato che è «una sfida sistemica alla pace e alla stabilità mondiale».

Non sfugge l’impressione che la vera sostanza della questione sia la difesa del primato dell’Occidente sul resto del mondo.
Tutto ciò è in diretta relazione col conflitto ucraino, dove è in corso una continua escalation: dai bombardamenti russi alle dichiarazioni incendiarie di Medvedev, all’intervista alla ministra degli Esteri britannica Liz Truss che sostiene che l’Ucraina attraverso il potenziamento dell’invio di armi «potrà riconquistare il Donbass, anzi tutto il Paese occupato dalla Russia» (e dunque anche la Crimea) e aggiunge persino che la Gran Bretagna è pronta a difendere l’integrità territoriale di Taiwan. Il tutto nella sostanziale assenza dell’Onu.

Grazie anche al riposizionamento della Nato la pentola a pressione si surriscalda e può esplodere da un momento all’altro. Cadono nel vuoto persino le parole del vecchio Henry Kissinger che invita alla moderazione.
In tutti i casi l’Europa sarà coinvolta in una ennesima e pesantissima crisi economica (peraltro già in corso) e l’Italia corre il rischio di esserne travolta: continua diminuzione delle previsioni di incremento del Pil, generalizzato aumento dei prezzi a cominciare dalle fonti di energia, diffusissima povertà (5 milioni e 600mila poveri nel 2021), tasso di inflazione giunto all’8%. L’aumento dei prezzi dell’energia, collegato alla diminuzione della produzione idroelettrica a causa della siccità, causerà uno shock a parte importante dell’industria. Il crescente malessere sociale si manifesta anche con l’irrefrenabile diserzione al voto e può esplodere nei prossimi mesi in forme e modi imprevedibili.

E se la guerra si espandesse, con il concreto pericolo nucleare? C’è una sola alternativa a questi foschi scenari: il negoziato. Essa richiede un nuovo protagonista: la diplomazia.
Sono questi i motivi per cui l’Anpi, l’Arci, il Movimento europeo, il direttore dell’Avvenire Marco Tarquinio (primi firmatari), hanno presentato un appello all’Unione Europea per il cessate il fuoco, l’avvio di una trattativa, l’invio di una forza di interposizione delle Nazioni Unite, l’istituzione di una Conferenza internazionale di pace (Helsinki 2), una nuova normativa per i profughi al fine di garantirne l’accoglienza indipendentemente dall’etnia, dal credo religioso, dal territorio di provenienza.

Abbiamo presentato l’appello nella sede romana del Parlamento Europeo, ci siamo incontrati con un rappresentante del governo italiano e ci incontreremo con il Cardinale Zuppi, Presidente della Cei, e con gli ambasciatori di Francia e Germania.
Daremo vita, su tutto il territorio nazionale, a iniziative a sostegno dell’appello, incluso il tradizionale appuntamento della «Pastasciutta antifascista» del 25 luglio. Dall’ultimatum alla proposta: vanno messe a valore le risorse del nostro Paese, in particolare il mondo dell’associazionismo laico e religioso, del movimento sindacale, del volontariato, della Rete della Pace e Disarmo che già sta virtuosamente operando.

Ogni giorno perso si conta in numero di morti. Conosciamo bene i media (e anche alcuni politici) che cercano di annichilire qualsiasi opinione diversa perseguendo la militarizzazione del dibattito pubblico negando la natura stessa di quegli ideali liberaldemocratici a cui dicono di ispirarsi: la libertà di opinione, la tolleranza e il rispetto (povero Bobbio!). Va contrastata questa deriva che indebolisce la natura stessa della democrazia costituzionale nel nostro Paese.

Sia pure in modo (molto) contraddittorio, Scholtz, Macron e lo stesso Draghi si sono fatti portatori di proposte di negoziato. A loro in primo luogo chiediamo di farsi portavoce nel concerto dell’Unione europea delle proposte che abbiamo avanzato nell’appello. In questo drammatico scenario le resistenze di Putin e poi quelle di Biden e Johnson vanno vinte con un’azione combinata delle diplomazie e di un’opinione pubblica che, silente ed inascoltata, nel nostro Paese continua nella sua maggioranza ad essere contraria all’escalation a cui stiamo assistendo. È’ ora di rovesciare il tavolo.