Tag: Pace

Guerra in Ucraina. Quali conseguenze economiche per l’Italia e l’Europa?

27 Novembre 2022

Lunedì 5 dicembre a partire dalle ore 20 e 30, presso la Sala Conferenze di Palazzo Cambieri, corso Garibaldi 44, Mortara, si terrà un incontro pubblico per discutere di: “Guerra in Ucraina. Quali conseguenze economiche per il nostro Paese?”.

Lo scopo di questa iniziativa è quella di sviluppare un’analisi seria e approfondita sulle conseguenze economiche e sociali che sta provocando e provocherà la guerra in Ucraina in Italia e in Europa.

All’incontro parteciperanno:

  • Piero Rusconi, segretario Rifondazione Comunista federazione di Pavia;
  • Francesca Strinchis, Giovani Comunisti/e Vigevano;
  • Simone Verni, consigliere regionale Movimento 5 Stelle;
  • Massimo De Rosa, consigliere regionale Movimento 5 Stelle

L’incontro è organizzato dai circoli di Rifondazione Comunista di Mortara e di Vigevano e dal gruppo locale del Movimento 5 Stelle di Mortara. Tutta la cittadinanza è invitata.

4 novembre: festa della guerra e della cobelligeranza

3 Novembre 2022

La retorica di circostanza accompagna anche quest’anno le inutili stragi di ieri e di oggi, nascondendo sotto il tappeto una tragica realtà.

In trent’anni di belligeranza NATO il nostro Paese ha accumulato pesantissime responsabilità di guerra.

L’uso massiccio di armi all’uranio impoverito da parte della NATO ha causato un disastro ambientale ed una vera e propria epidemia che ancora oggi continua a mietere decine di migliaia di vittime in Iraq, Afghanistan, Serbia, Kosovo, Bosnia ed Europa.

Solo in Italia ci sono almeno 8000 ex militari colpiti da gravissime patologie legate all’esposizione all’uranio impoverito usato dalla NATO nel corso delle così dette “missioni di pace”. Altri 400 sono morti ed il Ministero della difesa continua a negare le sue responsabilità, nonostante oltre trecento sentenze perse nei tribunali di ogni ordine e grado compreso il Consiglio di Stato.

Le attività del poligono NATO di Capo Teulada sono sotto inchiesta da parte del tribunale di Cagliari che ha istruito lo scorso giugno un processo per disastro ambientale che vede come imputati i generali Valotto, Errico, Rossi, Santroni e Graziano (già “promosso” alla presidenza di Fincantieri).

Il neo-ministro della difesa Crosetto, fino a ieri lobbista dell’industria bellica nazionale, ha recentemente affermato che le Forze Armate hanno bisogno di giovani per essere più funzionali ai nuovi scenari di guerra, mentre il nostro territorio continua ad essere usato come una rampa di lancio statunitense coperta dal segreto di Stato.

Il governo Meloni, in perfetta continuità coi governi precedenti, continua a prendere ordini da Washington e dalla NATO, trascinando il Paese e gli stessi soldati in una guerra tra superpotenze con esiti drammatici per l’umanità intera.

Rifondazione comunista sta dalla parte della pace e delle vittime dell’uranio impoverito, compresi i veterani che già dallo scorso marzo si opponevano all’invio di armi e soldati ai confini con la Russia.

L’unico modo per celebrare i caduti di tutte le guerre è che l’Italia ritiri i  contingenti da quelle in corso ed esca dalla Nato.

Marco Consolo, responsabile area esteri e pace

Gregorio Piccin,, responsabile pace, Partito della Rifondazione Comunista – Sinistra Europea 

UNA BELLA MANIFESTAZIONE PARTECIPATA PER LA PACE A MILANO

Una bella piazza. Doveva e poteva essere più grande. Sarà più grande. La pace è di tutte e tutti.

Come purtroppo la guerra. Le conseguenze le paghiamo tutte e tutti. Chi di più, con la vita, con la distruzione della propria casa e della propria quotidianità, chi con i costi della guerra che non possono essere sostenuti, tutte e tutti con la fine di un sogno: la pace possibile.

Oggi Milano ha dato una risposta, una delle tante.

Serve che il popolo della pace si faccia sentire davvero, ogni giorno. Ci vediamo in piazza, in tutte le piazze che parlino di pace.

16 Ottobre 2022

Un appello per la pace a tutti coloro i quali hanno a cuore il futuro dell’umanità e del pianeta

9 Ottobre 2022

Care, cari,

oggi è arrivato questo appello redatto da Richard Falk (Usa), Chandra Muzaffar (Malesia) e Joseph Camilleri (Malta e Australia). È sostenuto da numerose personalità di tutto il mondo. Sottolineo: statunitensi, europei, latinoamericani, africani, asiatici e dell’Oceania. Nord Globale e Sud Globale.

In allegato la traduzione.

Sottolineo. Né filorussi, né filoamericani, né filo-Nato. Per la pace, per l’umanità e per il pianeta.

Nel 1947 partiva il Doomsday Clock (l’Orologio del Giorno del Giudizio o dell’Apocalisse) promosso da scienziati dell’atomo preoccupati per il destino del mondo, in pericolo a causa della Guerra Fredda. E indicava allora che c’erano solo 7 minuti all’annientamento nucleare. Oggi siamo a pochi secondi. Togliamo ai novelli dottor Stranamore la prepotenza di “giocare con il mondo”, al fine di mantenere privilegi, ricchezza, egemonia e potere.

Vi prego di firmare questo appello, vedete il link nel testo, e di farlo girare nei vostri ambiti. Le persone che l’hanno promosso rappresentano un’umanità che ha a cuore il futuro della specie umana, del vivente e del pianeta tutto. Per un mondo multipolare, antiegemonico, antimperiale.

Un caro saluto.

Giorgio Riolo


Un appello per la pace a tutti coloro i quali hanno a cuore il futuro dell’umanità e del pianeta

promosso da Richard Falk, Joseph Camilleri, Chandra Muzaffar e sostenuto da tante altre personalità del mondo intero

L’umanità ha raggiunto un punto di svolta. È tempo che i governi, le istituzioni internazionali e le persone di tutto il mondo facciano il punto della situazione e agiscano con rinnovata urgenza.

Il conflitto in Ucraina sta infliggendo morte, ferite, sfollati e distruzione, aggravando la crisi alimentare globale, portando l’Europa alla recessione e creando onde d’urto nell’economia mondiale.

Il conflitto su Taiwan minaccia di degenerare in una vera e propria guerra che devasterebbe Taiwan e trasformerebbe l’Asia orientale in una polveriera.

Ancora più preoccupante è la relazione tossica tra gli Stati Uniti da un lato e la Cina e la Russia dall’altro. Qui risiede la chiave di entrambi i conflitti.

Quello a cui stiamo assistendo è il culmine di decenni di evidente malagestione della sicurezza globale. Gli Stati Uniti non sono stati disposti ad accettare, e tanto meno ad adattarsi, all’ascesa della Cina e al riemergere della Russia. Non sono disposti a rompere con le nozioni obsolete di dominio globale, retaggio della Guerra Fredda e del trionfalismo seguito al crollo dell’Unione Sovietica.

È in atto un cambiamento nel potere globale. Il mondo occidentalocentrico, in cui prima l’Europa e poi gli Stati Uniti hanno avuto la posizione di dominio, sta lasciando il posto a un mondo multicentrico e multilaterale in fatto di civiltà, in cui altri centri di potere e di influenza esigono di essere ascoltati.

La mancata accettazione di questa nuova realtà comporta un pericolo immenso. È in pieno svolgimento una nuova guerra fredda, la quale può trasformarsi in qualsiasi momento in una guerra calda. Secondo le parole del Segretario Generale delle Nazioni Unite Antonio Guterres, “l’umanità è a un dipresso dall’annientamento nucleare, a causa di un malinteso, a causa di un errore di calcolo”.

Anche se l’apocalisse nucleare è scongiurata, la discordia tra gli Stati dotati di armi nucleari impedisce la risoluzione cooperativa dei problemi, la fornitura di beni pubblici globali e un sistema Onu efficace e indipendente.

Per essere all’altezza della sfida abbiamo bisogno di una risposta coerente, sostenuta e multiforme da parte dei governi e delle istituzioni internazionali, ispirata e guidata da una società civile sempre attenta e impegnata. Sono diversi i passi da compiere, alcuni immediati, altri a più lungo termine.

I primi passi debbono mirare a porre fine al conflitto in Ucraina e a disinnescare le tensioni su Taiwan. Sono necessari sforzi più sostanziali per promuovere un quadro di coesistenza cooperativa tra Stati Uniti, Russia e Cina – un elemento essenziale per la costruzione della pace in Europa e in Asia.

A tal fine, riteniamo che il Segretario Generale delle Nazioni Unite o un gruppo di medie potenze – idealmente meglio entrambe le parti, agendo di concerto – potrebbero avviare un’iniziativa su più fronti volta a garantire un cessate il fuoco efficace e duraturo in Ucraina e l’allentamento delle tensioni su Taiwan.

Nel caso dell’Ucraina, l’obiettivo deve essere quello di garantire la cessazione di tutti i combattimenti da parte delle forze russe e ucraine e dei gruppi separatisti operanti nella regione del Donbass. Si tratterebbe di un cessate il fuoco monitorato da un gruppo delle Nazioni Unite che riferisca regolarmente e direttamente al Segretario Generale dell’Onu.

Tuttavia, è improbabile che un cessate il fuoco possa durare a lungo senza una soluzione duratura del conflitto russo-ucraino. Questa dipenderà a sua volta dalla fine dell’uso cinico della guerra in Ucraina da parte di grandi potenze intenzionate a perseguire le proprie ambizioni geopolitiche. Solo allora sarà possibile conseguire

– il ritiro graduale delle forze militari russe;

– la fine della fornitura di aiuti militari letali all’Ucraina;

– una politica di neutralità costituzionalmente sancita per l’Ucraina;

– la risoluzione delle questioni giurisdizionali, in particolare la Crimea e la regione del Donbass, insieme a un processo volto a sanare le animosità regionali, etniche e religiose all’interno dell’Ucraina.

– Tutti i prigionieri di guerra, i rifugiati e i civili in cattività devono essere restituiti ai rispettivi Paesi e tutti i loro diritti devono essere rispettati come previsto dalle Convenzioni di Ginevra.

Questi accordi dovranno essere integrati da un accordo più ampio che coinvolga altre parti interessate, al fine di assicurare: un programma internazionale adeguatamente finanziato per affrontare la crisi umanitaria in Ucraina; garanzie internazionali per salvaguardare l’indipendenza, la neutralità e l’integrità territoriale dell’Ucraina; la rimozione di tutte le sanzioni imposte alla Russia e il ripristino di normali relazioni commerciali.

Nel caso del conflitto di Taiwan, il primo passo deve essere quello di allentare l’attuale livello di tensione. A tal fine, la comunità internazionale dovrebbe riaffermare i principi enunciati nel comunicato di Shanghai del 1972, in particolare il principio “una sola Cina”, che oggi gode di un ampio sostegno internazionale. In linea con questo principio, la comunità internazionale deve utilizzare tutti i mezzi a sua disposizione per dissuadere Taiwan dal fare qualsiasi dichiarazione unilaterale di indipendenza. Il Segretario Generale delle Nazioni Unite, insieme all’Asean, è nella posizione ideale per condurre questa linea d’azione.

Queste iniziative, relativamente a breve termine, devono aprire la strada a una serie di consultazioni interconnesse, culminanti in una conferenza internazionale, il cui scopo principale sarebbe quello di definire una nuova architettura di sicurezza globale, sostenuta da adeguate riforme della governance mondiale e finalizzata a:

1. Fermare la marcia verso la completa distruzione nucleare e avviare un programma ambizioso per il disarmo nucleare, iniziando con una serie di accordi per il controllo degli armamenti e il disarmo e portando, entro un determinato lasso di tempo, all’adesione universale al Trattato sulla proibizione delle armi nucleari;

2. Rispecchiare la realtà di un mondo multicentrico e multilaterale in fatto di civiltà, rispettoso dell’indipendenza e dei diritti legittimi di tutte le nazioni sovrane e in cui nessun attore miri ad esercitare ambizioni imperiali o egemoniche.

3. Enunciare i principi di sicurezza comune, cooperativa e globale e tradurli in accordi regionali efficaci, soprattutto in Europa e nella regione Asia-Pacifico;

4. Avviare una serie di misure in grado di invertire la militarizzazione del sistema internazionale, tra cui la limitazione della portata e degli obiettivi delle alleanze militari e del dispiegamento di forze militari all’estero, nonché la progressiva riduzione dei bilanci militari nazionali, reindirizzando così le risorse verso aree di urgente necessità sociale, economica e ambientale;

5. Avviare una profonda riforma delle istituzioni internazionali, in particolare del sistema delle Nazioni Unite, in modo che possano rispondere in modo più efficace e cooperativo alle minacce esistenziali, in particolare al cambiamento climatico, alla perdita di biodiversità e alle pandemie presenti e future.

Tutto questo non avverrà senza un massiccio risveglio globale della saggezza e dell’energia umane. Per quanto importanti siano i governi e le istituzioni internazionali, l’iniziativa per una risposta coerente alle sfide che dobbiamo affrontare spetta in gran parte alle persone, alla società civile.

È necessaria una leadership di vario tipo. Ecco perché questo messaggio è rivolto anche a intellettuali, artisti, scienziati, giornalisti, capi religiosi, sostenitori e altri cittadini impegnati.

Parimenti, abbiamo in mente i gruppi che si occupano dei diritti dei popoli indigeni, degli aiuti e dello sviluppo, della risoluzione dei conflitti, delle libertà civili e dei diritti umani, della violenza contro le donne, dei rifugiati e dei richiedenti asilo, dei cambiamenti climatici e delle altre minacce all’ambiente, della salute pubblica (non ultima la Covid), della giustizia per i poveri e per gli emarginati e della diversità etnica, religiosa e culturale.

TUTTI sono colpiti negativamente dal confronto tra grandi potenze, dalle leggi oppressive sulla sicurezza, dall’aumento dei bilanci militari e dalle attività militari distruttive, per non parlare della prospettiva di una catastrofe nucleare.

TUTTI hanno un ruolo cruciale da svolgere.

Anche i sindacati, le reti professionali (nel campo dell’istruzione, della legge, della medicina, dell’assistenza infermieristica, dei media e delle comunicazioni), le organizzazioni di agricoltori, gli enti religiosi, i gruppi di riflessione incentrati sull’uomo e i centri di ricerca hanno molto da contribuire alla discussione per un futuro abitabile.

È tempo che le persone di tutto il mondo assumano l’iniziativa, individualmente e collettivamente, per avviare discussioni, piccole e grandi, formali e informali, in rete e di persona, utilizzando la parola scritta e parlata, nonché le arti visive e dello spettacolo.

Questo è un momento di riflessione collettiva sulla situazione attuale, sulla direzione da prendere e sui passi necessari per arrivarci.

La posta in gioco è alta. Abbiamo bisogno di un pensiero coraggioso che metta in connessione le persone e le questioni, all’interno dei Paesi e tra i Paesi stessi. Dobbiamo ravvivare e riformulare la discussione sulla sicurezza globale. Non c’è un momento da perdere.

Clicca qui per firmare la petizione

https://www.change.org/p/to-all-who-care-about-humanity-s-and-the-planet-s-future

Appello preparato da

Richard Falk, professore emerito di diritto internazionale all’Università di Princeton; cattedra di diritto globale all’Università Queen Mary di Londra; ricercatore associato all’Ucsb.

Joseph Camilleri, professore emerito dell’Università La Trobe di Melbourne; membro dell’Accademia delle Scienze Sociali in Australia; presidente di Conversation at the Crossroads.

Chandra Muzaffar, ex professore di Studi globali, Universiti Sains Malaysia, Penang; presidente del Movimento internazionale per un mondo giusto (JUST).

Sostenuto da

Prof. Abdelllah Hammoudi, Professore emerito di Antropologia; Direttore fondatore dell’Istituto Transregionale, Università di Princeton

Ajarn Sulak Sivaraksa, cofondatore e presidente del Comitato consultivo della Rete internazionale di buddisti impegnati

Ashis Nandy, Homi Bhabha Fellow, Centro per lo studio delle società in via di sviluppo

Brad Wolf, direttore esecutivo di Peace Action Network of Lancaster.

Prof. Alfred de Zayas, professore di diritto internazionale, Scuola diplomatica di Ginevra; ex esperto indipendente delle Nazioni Unite sull’ordine internazionale (2012-18).

Dr. Arujunan Narayanan, accademico che insegna Relazioni internazionali, Diritto internazionale e Filosofia occidentale – UKM, UM, HELP University, Armed Forces Defence College, Institute of Diplomacy and Foreign Relations.

Prof. Assaf Kfoury, professore di informatica, Università di Boston.

Prof. Azyumardi Azra (deceduto), Rettore dell’Università islamica di Stato Syarif Hidayatullah, Giacarta, Indonesia (1998-2006); Professore di Storia, Università islamica di Stato, Giacarta, Indonesia (dal 1997).

Celso Luiz Nunes Amorim, ex ministro degli Esteri; ex ministro della Difesa, Brasile

Prof. Chaiwat Satha-Anand, ex presidente dell’Associazione per le scienze sociali della Thailandia; ex vice rettore per gli affari accademici dell’Università Thammasat; attualmente esperto del Toda Peace Institute, professore di scienze politiche dell’Università Thammasat; illustre studioso dell’Università Thammasat.

Chris Hedges, giornalista, autore e commentatore americano

David Swanson, autore, direttore esecutivo di World BEYOND War

Prof. Farish A. Noor, Professore, Dipartimento di Storia, Università di Malaya

Fredrik S. Heffermehl, avvocato e scrittore, Norvegia, Premio Nobel per la Pace.

Prof. Ilan Pappe, Direttore del Centro europeo di studi sulla Palestina, Università di Exeter, Gran Bretagna.

Ivana Nikolic Hughes, presidente della Nuclear Age Peace Foundation; docente senior di chimica alla Columbia University.

Prof. Jeffrey Sachs, Professore universitario, Columbia University

Jorge Casteneda, ex ministro degli esteri del Messico, New York University

Jeremy Corbyn, deputato indipendente, ex segretario del Labour Party

John K. Stoner, 1040forpeace.org

Prof. Jomo Kwame Sundaram, Professore emerito di Economia, Università di Malaya

Prof. Junaid S. Ahmad, Direttore del Centro per lo studio dell’Islam e della decolonialità, Islamabad, Pakistan

Dott.ssa Kate Hudson, Segretario generale della Campagna per il disarmo nucleare.

Kathy Kelly, Presidente del Consiglio di amministrazione di World BEYOND War

Kishore Mahbubani, preside fondatore della Scuola di politica pubblica Lee Kuan Yew, NUS.

Prof. Kevin Clements, Direttore dell’Istituto per la pace Toda, Tokyo, Giappone.

Dr. Lim Teck Ghee, analista politico

Prof. Mahmood Mamdani, Professore presso Columbia University, New York.

Mairead Maguire, vincitrice del premio per la pace; cofondatrice di Peace People; Irlanda del Nord

Prof. Maivan Clech Lam, professore emerito di diritto internazionale, Ralph Bunche Institute for International Studies presso il Graduate Center della City University di New York.

Maung Zarni, dissidente birmano e cofondatore di Forsea.

(Tan Sri.) Mohamed Jawhar Hassan, professore aggiunto dell’Istituto Asia-Europa dell’Università di Malaya; ex presidente e direttore generale dell’Istituto di studi strategici e internazionali (Isis) della Malesia.

Dr. Ramzy Baroud, Centro per l’Islam e gli Affari Globali, Università Zain, Istanbul

Prof. Shad Saleem Faruqi, professore emerito presso la Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Malaya; titolare della cattedra della Fondazione Tunku Abdul Rahman

Shahanaaz Habib, ex giornalista, The Star

Susan Wright, Ph.D., ricercatrice e docente emerita di Storia della scienza presso l’Università del Michigan.

Victoria Brittain, giornalista e autrice

Yanis Varoufakis, membro del Parlamento greco e leader del MeRA25, cofondatore del DiEM25; professore di economia all’Università di Atene; professore onorario di economia politica all’Università di Sydney; professore honoris causa di diritto, economia e finanza all’Università di Torino; Distinguished Visiting Professor di economia politica al Kings College dell’Università di Londra.

Hans von Sponeck, Segretario generale aggiunto delle Nazioni Unite (in pensione)

Dr. Michael Jeyakumar, presidente del Partito socialista della Malesia

Noam Chomsky, linguista americano, filosofo, scienziato cognitivo, saggista storico, critico sociale e attivista politico

Phyllis Bennis, Direttore del New Internationalism Project, Istituto per gli Studi Politici

Ronnie Kasrils, ex ministro sudafricano in pensione, attivista e autore.

CONTRO LA GUERRA E L’AUMENTO DELLE SPESE MILITARI, PER LA PACE E LA COSTITUZIONE

Pubblicato il 5 apr 2022

Documento approvato dal Comitato Politico Nazionale del Partito della Rifondazione Comunista sabato 2 aprile

Il Comitato politico nazionale ribadisce le posizioni espresse dalla direzione con il documento FUORI LA GUERRA DALLA STORIA. CONTRO PUTIN E LA NATO, approvato lo scorso 5 marzo. 

Diciamo no all’aumento delle spese militari condiviso da tutte le forze di governo e dalla finta opposizione di destra che compete col PD per la testa dello schieramento guerrafondaio. L’aumento al 2% della spesa militare significa sottrarre enormi risorse alla sanità, all’istruzione, alla riconversione ecologica, ai servizi sociali, alla ricerca, all’occupazione. E’ una scelta che prepara ulteriori scenari di guerra e non ha alcuna motivazione di difesa del nostro paese.

Difendiamo la Costituzione “pacifista” che ci ha lasciato in eredità la Resistenza italiana e accusiamo il governo Draghi e la stragrande maggioranza del parlamento per la palese e gravissima violazione dell’articolo 11 che sancisce il ripudio della guerra con la scelta dell’invio delle armi, delle sanzioni, della co-belligeranza e dell’aumento delle spese militari. L’Italia è di fatto entrata nel conflitto e ormai siamo dentro un’economia di guerra le conseguenze ricadranno e già stanno ricadendo sulle cassi lavoratrici e popolari.

Denunciamo la fine del tabù nucleare. Ormai l’uso delle armi nucleari è tornato nel dibattito pubblico come opzione possibile persino nelle dichiarazioni dei presidenti di Russia e Stati Uniti. Il fatto che dal 1945 non sia esplosa la guerra atomica non ne cancella la minaccia. Mai come oggi è all’ordine del giorno la rivendicazione del disarmo nucleare.

Condanniamo l’invasione russa dell’Ucraina che costituisce una aperta violazione del diritto internazionale e l’espansionismo della NATO che ha determinato un’escalation irresponsabile. Siamo contro la guerra senza se e senza ma.

Rimaniamo fedeli agli ideali internazionalisti della migliore tradizione socialista, comunista e antifascista. La lotta contro la guerra parte dalla consapevolezza, per dirla con Brecht, che “il nemico marcia alla tua testa”.

Respingiamo le accuse di essere a favore di Putin rivolte a chi cerca di fermare la spirale della guerra e critica chi la alimenta. Non nutriamo alcuna simpatia per il revanscismo nazionalista, per le logiche di potenza, per le tendenze conservatrici di Putin che ne hanno fatto un punto di riferimento per la destra italiana. Non tifiamo per gli oligarchi russi, arricchiti grazie al saccheggio delle risorse e della proprietà pubblica dell’ex-URSS, né per gli oligarchi dell’ovest.

Diciamo no all’invio di armi da parte dei paesi dell’UE e della NATO all’Ucraina. Più si inasprisce il conflitto e più aumenta il numero delle vittime.

Diciamo no alla guerra per procura tra NATO e Russia di cui la prima vittima è il popolo ucraino. Ribadiamo che non si aiutano gli ucraini sostenendo gli orientamenti nazionalisti più oltranzisti e armandoli per una prosecuzione della guerra “fino alla vittoria”. Abbiamo denunciato fin dall’inizio l’intenzione di USA, Gran Bretagna e NATO di trasformare l’Ucraina in un nuovo Afghanistan. E’ evidente il palese impegno di USA e Gran Bretagna nell’ostacolare il negoziato e allontanare una soluzione pacifica del conflitto, come precedentemente nella delegittimazione degli accordi di Minsk.

Il riconoscimento del diritto dello stato ucraino alla difesa dall’invasione non implicava la rinuncia a svolgere un ruolo di mediazione da parte dell’UE e della stessa Italia con la scelta della co-belligeranza. Rivendichiamo il diritto di criticare le caratteristiche del nazionalismo ucraino, la riabilitazione dei criminali filonazisti come Stepan Bandera diventati eroi nazionali, le politiche discriminatorie, l’aggressione alle repubbliche di Donetsk e Lugansk, il mancato rispetto degli accordi di Minsk.

Rivendichiamo la nostra partecipazione alle carovane e alla solidarietà antifascista e internazionalista verso le popolazioni del Donbass e alla lotta contro i neonazisti ucraini responsabili di stragi atroci, a partire da quella di Odessa. Contro ogni revisionismo, denunciamo il silenzio complice della Ue sul coinvolgimento di forze neonaziste nel processo iniziato con Euromaidan nel 2014. Il rispetto della volontà popolare e dei diritti delle popolazioni russofone – attraverso il riconoscimento delle Repubbliche di Donesk e Lugansk o l’autonomia prevista dagli accordi di Minsk – avrebbe prevenuto la strumentale aggressione militare da parte del governo russo. La garanzia di un’Ucraina neutrale al di fuori della NATO avrebbe probabilmente evitato l’escalation.

Non facciamo analogie con il 1939 perchè la reductio ad hitlerum serve a chiudere lo spazio del dialogo e della trattativa indispensabili per costruire la pace. Quanto sta accadendo ricorda sempre più il 1914. Il mondo è sull’orlo della terza guerra mondiale.

La nuova guerra fredda con cui gli USA rispondono alla crisi della propria egemonia economica e politica planetaria sta diventando sempre più “calda”. L’Unione Europea ha finora scelto la subordinazione nel ricompattato blocco occidentale a guida USA con la scelta del riarmo nonostante una spesa già enormemente superiore a quella di Russia e Cina.

Siamo per l’uscita dalla NATO e il suo scioglimento. La NATO ha da tempo abbandonato ogni profilo “difensivo” assumendo il ruolo di forza militare globale ed è diventata un fattore di destabilizzazione.

Non ci arruoliamo e non mettiamo l’elmetto in testa. Restiamo umani. Rifiutiamo la propaganda di guerra, l’isteria bellicista, l’indecente ondata di russofobia, le ricostruzioni manichee.

Siamo al fianco di chi lotta per la pace in Russia e Ucraina, siamo contro la repressione del dissenso in Russia e in Ucraina. Siamo dalla parte delle vittime e dei popoli trascinati dentro la spirale della guerra.

Chiediamo un’accoglienza senza discriminazioni. L’invasione dell’Ucraina, così come tutti i conflitti di questo secolo, ha colpito soprattutto le popolazioni civili e costretto alla fuga chi non vuole o non può combattere. Ad oggi sono oltre 4 milioni i profughi, per lo più rimasti nei paesi confinanti in attesa di poter rientrare. Quasi 80 mila quelli giunti in Italia, al 90% donne e bambini. Due sono le considerazioni da fare: l’evacuazione è stata, nonostante i bombardamenti, resa possibile dall’applicazione per la prima volta da 21 anni della direttiva europea 55/2001 che consente di entrare in UE e ottenere una protezione valida fino a 2 anni, avere diritto all’assistenza sanitaria, all’istruzione, a poter lavorare, senza dover affrontare una complessa trafila burocratica. Una direttiva che non è stata applicata per nessun conflitto e che, per imposizione del gruppo Visegrad, non riguarderà coloro che fuggono dall’Ucraina ma non ne sono cittadini, in particolare studenti e persone che vi lavorano. L’applicazione della direttiva risale al 3 marzo, solo il 28 il Consiglio d’Europa ha deciso di fornire anche un minimo di sostegno economico ai profughi e il trasporto gratuito per chi vuole raggiungere un altro Paese europeo. La seconda considerazione riguarda l’Italia. Il Dpcm che ha recepito la direttiva è giunto solo il 31 marzo. Ad oggi il ministero dell’Interno ha garantito solo 13 mila posti per chi arriva, molte persone arrivate hanno trovato sostegno fra la comunità ucraina in Italia, la più grande d’Europa e fra le famiglie. Sono state fatte promesse ma, per l’ennesima volta, questo si dimostra un governo cialtrone e ipocrita, capace di trovare in poche ore centinaia di milioni per gli armamenti ma non di trovare le risorse per poche decine di migliaia di donne e bambini. Il tutto in un contesto che vede sempre più deprivarsi i diritti di chi giunge da altri paesi e da altre guerre in cui il colore della pelle di chi fugge è diverso. Rifiutiamo ogni trattamento differenziato e discriminatorio. Lavoriamo per una solidarietà e un’accoglienza per tutte/i.

Le classi popolari già stanno pagando il costo della guerra che aggiunge un nuovo disastroso fattore alla crescita del carovita con l’aumento delle bollette, del prezzo della benzina, dell’inflazione. La guerra viene usata dalla nostra classe dirigente anche per mettere in discussione la transizione ecologica con il ritorno al carbone e lo sblocco di progetti bloccati dalle lotte ambientaliste.

Bisogna coniugare la lotta per la pace a quella per la difesa delle condizioni di vita delle classi popolari e lavoratrici. La nostra campagna sociale va intrecciata con la mobilitazione contro la guerra. Vanno promossi in tutti i territori comitati contro la guerra, le spese militari e il carovita. Sosteniamo la petizione no alle spese militari.

Lavoriamo per lo sviluppo del movimento per la pace in Italia e in Europa su poche ma chiare discriminanti. Il successo della manifestazione convocata da Gkn, la convergenza con i Fridays For Future e ampie aree di movimento, è un segnale importante nella direzione giusta. Le posizioni di Cgil, Anpi, Arci, associazionismo pacifista segnalano – come i sondaggi – l’incrinatura del consenso verso le scelte del governo del PD e del governo.

Proponiamo a tutte le organizzazioni sindacali di rispondere alle scelte del governo con lo sciopero generale contro la guerra e l’aumento delle spese militari, per il blocco di tutti gli aumenti dei prezzi e delle bollette, consistenti aumenti salariali, il ripristino di meccanismi di difesa dall’inflazione per salari e pensioni, il contrasto ai licenziamenti, alla precarietà e al ripristino della Fornero, la richiesta di investimenti per la buona e piena occupazione, anche attraverso la riduzione dell’orario di lavoro a parità di salario, nella riconversione ecologica delle produzioni e nel rilancio della sanità, della scuola, delle politiche per il diritto all’abitare, per i diritti sociali. Ci impegniamo a far crescere, dentro e fuori le organizzazioni sindacali, la parola d’ordine dello sciopero generale.

La guerra non ha fatto che confermare la necessità della costruzione di uno schieramento, di una coalizione sociale e politica, di alternativa alle forze politiche neoliberiste e guerrafondaie.

Riaffermiamo la linea uscita dal congresso anche in relazione alle prossime elezioni amministrative in cui tutto il partito è impegnato nella costruzione di liste e/o coalizioni alternative ai poli esistenti.

Lavoriamo per la convergenza dei movimenti, il rapporto unitario con le altre formazioni della sinistra, l’interlocuzione con tutte le aree della sinistra sociale e politica nella costruzione dell’opposizione, l’apertura del dibattito a livello nazionale a partire dagli appelli (per la sinistra, rossoverde, dei lavoratori) che in queste settimane hanno espresso un orientamento che va nella direzione da noi ampiamente condivisa. La nascita della componente Manifesta alla Camera è un passo positivo nella direzione che auspichiamo e per cui siamo attivamente impegnati.

Di fronte alla gravità dei fatti che stanno accadendo è giunto il tempo di costruire uno schieramento, una forza plurale, un movimento che si proponga al paese come alternativa al neoliberismo e alla guerra.

IL PARAGONE OLTRAGGIOSO E PERICOLOSO FRA L’INVIO DI ARMI ALL’UCRAINA E LA RESISTENZA

3 Aprile 2022

La necessità di muoversi verso il superamento degli stati-nazione.

di Raul Mordenti –

In occasione del bel Congresso dell’ANPI, la stampa di guerra (unanime e sfacciata come sempre) ha risollevato ancora il paragone fra la guerra in Ucraina e la Resistenza. Il paragone con la guerra partigiana di Liberazione per sostenere la necessità dell’invio di armi all’Ucraina invasa dalla Russia è la motivazione più oltraggiosa e – al tempo stesso – più insidiosa a sostegno della guerra. Tanto più se tale paragone è proposto non solo dalla nuova destra ultra-atlantica e bellicista rappresentata oggi dal PD ma anche da personalità come Luigi Manconi, Paolo Flores, Erri De Luca o altri ex di Lotta Continua e – purtroppo – non solo da costoro.

Il paragone con la Resistenza è anzitutto oltraggioso perché propone di mandare armi anche (o specialmente) a forze apertamente neo-naziste, cioè a milizie di volontari (inquadrate però nell’esercito regolare ucraino) le quali esibiscono svastiche, ritratti di Hitler e simboli nazisti, e che nella loro guerra in Donbass (in corso da otto anni, nel silenzio complice dell’Occidente, con 14.000 vittime nella minoranza russofona) si sono macchiate di stragi di civili, di torture e stupri “etnici”, addirittura teorizzati dal fondatore del “battaglione Azov” Andrij Biletsky (cfr. il documentato articolo di Marianna Cenere, del 4 marzo 2022, in www.micromega.net, un testo che almeno Paolo Flores dovrebbe conoscere bene). Senza contare la rivalutazione da parte del regime ucraino del criminale di guerra Bandera, a cui sono dedicate statue e celebrazioni, e i comizi in cui si invoca che la “gloriosa Ucraina” si liberi “dei russi e degli ebrei”.

Sia ben chiaro: se ricordo tutto questo non è per sostenere che tutti gli ucraini siano nazifascisti e meno che mai per giustificare l’invasione russa (che, come tutte le guerre di aggressione, non ha per me giustificazione alcuna) ma per evidenziare l’assoluta diversità del contesto storico che rende oltraggioso, improponibile e francamente poco onesto, il paragone con la Resistenza, o addirittura quello con la Shoà proposto spudoratamente da Zelensky al Parlamento israeliano. Senza contare le sostanziali differenze di tipo giuridico-politico su cui ha giustamente richiamato l’attenzione il presidente dell’ANPI Pagliarulo: l’Italia non ha dichiarato guerra alla Russia nè la Russia ha dichiarato guerra all’Italia, al contrario di quanto accadde nella II guerra mondiale fra l’URSS, gli Alleati e i partigiani da una parte e l’Asse nazifascista dall’altra. Con l’invio delle armi l’Italia entra in guerra, da cobelligerante, in una guerra contro la Russia mai dichiarata dal nostro Parlamento, con conseguenze future gravi e imprevedibili.

Se poi difendere con le armi il proprio territorio configurasse di per sé una situazione di Resistenza da armare e sostenere allora questa argomentazione si rivolgerebbe contro Zelensky e i suoi tifosi italiani, giacché anche il popolo del Donbass russofono è stato perseguitato e attaccato militarmente dall’Ucraina e in specie dalla sue milizie naziste. E ciò almeno a partire dal febbraio 2014, cioè dal golpe contro il presidente Yanukovich, un golpe appoggiato e sostenuto dagli USA quasi ufficialmente e alla luce del sole, con la guida di Victoria J. Nuland, oggi sottosegretario di Biden (dopo aver collaborato con Bush e Cheney). Costei ha confessato apertamente di aver finanziato quel golpe con 5 miliardi di dollari, così come Biden ha ufficialmente dichiarato (il 16 marzo u.s.) che da sette anni gli USA-NATO armano l’Ucraina e addestrano il suo esercito. Ma allora la guerra del Donbass, costata a quei popoli – lo ripetiamo – 14.000 morti in otto anni, è da considerarsi una Resistenza che giustificherebbe e anzi richiederebbe un sostegno militare esterno (questa volta russo)? Dunque è evidente che nemmeno i sostenitori italiani della guerra possono prendere sul serio il paragone con la Resistenza.

Ma si tratta di un paragone oltre che oltraggioso anche insidioso, perché ripropone un paradigma truffaldino già sperimentato dalla propaganda occidentale, sempre con esiti micidiali per la pace e per i popoli: Putin è il nuovo Hitler, come anche Khomeyini era “il nuovo Hitler”, anche Saddam Hussein era “il nuovo Hitler”, anche Milosevic era “il nuovo Hitler”, anche Assad era “il nuovo Hitler”, anche Bin Laden era “il nuovo Hitler”, anche i talebani erano “il nuovo Hitler”, così come anche Gheddafi era “il nuovo Hitler” etc., e – insomma – erano “nuovi Hitler” tutti coloro di cui l’Occidente riteneva opportuno sbarazzarsi con una guerra.
Ricordiamocelo: il vero Hitler (diciamo: “il vecchio Hitler”) ha teorizzato, progettato e cominciato concretamente a realizzare, su base razziale, un dominio assoluto sul mondo tramite la dittatura, la guerra, lo sterminio sistematico di intere popolazioni civili e il genocidio. Nulla di simile si era mai verificato prima nella storia del mondo, e nulla di simile si è verificato dopo.
Sono tuttavia esistite, ed esistono, orrende dittature, una peggiore dell’altra, e solo elencarle sarebbe troppo lungo per queste righe.

Ma la domanda è la seguente: l’esistenza di una dittatura impone e giustifica una guerra dell’Occidente contro il paese che di quella dittatura è vittima? Se i nostri liberal-democratici speditori di armi rispondono “sì” a questa domanda, allora essi debbono essere chiamati almeno alla coerenza, che si richiede in particolare quando, come i nostri liberal-democratici, si parla in nome di valori morali, anzi ostentando tale moralità; e dunque essi debbono proporre di intervenire militarmente contro la Turchia di Erdogan (fedele alleata nella NATO) o contro l’Ungheria di Orban (membro della CE), contro l’Egitto di Al Sisi, contro le feroci dittature dei paesi arabi con cui fa affari Renzi etc., per non dire delle dittature sostenute per decenni dagli USA nell’America Latina, in Africa o in estremo Oriente (qualcuno ricorda il Cile di Pinochet, l’Argentina di Videla, l’Indonesia, etc.?).

Escludendo la guerra, in quei casi a noi sarebbe invece bastato da parte dell’Occidente molto meno, ad esempio una politica internazionale di isolamento militare dei dittatori e di sostegno politico dei resistenti. Personalmente non ricordo un solo caso di invio di armi da parte dell’Occidente ai popoli in lotta contro le dittature (semmai l’Occidente ha sempre armato le dittature contro i popoli, lucrando ignobilmente, Italia in testa, sulla vendita delle armi ai dittatori), e francamente non ricordo neppure un solo caso in cui i nostri liberal-democratici con l’elmetto abbiano proposto l’invio di armi ai popoli in lotta contro le dittature. Sarà per mia distrazione, ma non ricordo neppure accorati appelli in tal senso da parte del PD, dei Manconi, dei Flores o dei De Luca. Dove si erano nascosti in quei casi gli imprescindibili “valori dell’Occidente”?
Siamo dunque nel regno della propaganda, e dell’ipocrisia.
Non voglio partecipare in alcun modo al festival dell’ipocrisia, e dunque non esito a pormi la più difficile e imbarazzante delle domande: tutte le lotte per avere un proprio stato nazionale sono da considerarsi legittime e da appoggiare con le armi?

Se va sostenuta una tale richiesta dell’Ucraina verso la Russia, allora va sostenuta anche la medesima richiesta della Crimea o delle repubbliche russofone del Donbass verso l’Ucraina.
È stata sostenuta con una guerra una tale richiesta del Kosovo verso la Serbia (violando il patto di pace sottoscritto, con il bel risultato di avere in Kosovo la più grande base NATO in Europa), ma è stata sostenuta anche la richiesta di una stato nazionale avanzata dai Palestinesi verso Israele? E per venire al cuore dell’Europa, e a casi certo storicamente assai più fondati del Kosovo: hanno diritto a un loro stato nazionale i Baschi e gli Irlandesi? E allora l’ETA e l’IRA andavano armate dai liberal-democratici occidentali? E hanno diritto a un loro stato nazionale i Catalani, che pure hanno stravinto un referendum? E gli Scozzesi? E i Corsi? E in Italia, le minoranze tedesche del Tirolo e quelle francesi della Val d’Aosta hanno diritto a un loro Stato nazionale, o almeno alla secessione per ricongiungersi ad altre madri-patrie? E la Sicilia? E la Sardegna? E – tanto per ridere un po’ – la Padania?
Anche a questo proposito gli esempi sarebbero purtroppo infiniti: il colonialismo ha lasciato come frutto avvelenato (ad esempio in Africa) dei confini del tutto artificiali, tracciati con il righello senza alcun riguardo per l’effettiva collocazione dei popoli e per la loro storia. Quei confini vanno stravolti? Magari con guerre infinite?
Direi di no, e penso dunque che sia invece necessario e urgente superare l’invenzione (tutta occidentale e in fondo recente) dello Stato-nazione per muoversi verso il superamento degli Stati, e per intanto dei confini, verso unità statali pluraliste e multinazionali. In fondo sognava questo il manifesto di Ventotene.
Esiste insomma un diritto dei popoli alla propria nazionalità (lingua, cultura, territorio, tradizioni etc.) ma non necessariamente a uno Stato nazionale. I Curdi ad esempio chiedono anzitutto libertà e rispetto per la loro nazionalità.

Si tratta di una direzione di ricerca impervia, ma storicamente necessaria, che deve muovere verso una federazione pacifica dei popoli, una Costituzione della Terra. Un percorso lungo, oggi difficile perfino da immaginare, ma l’alternativa a tale difficile percorso di pace è una sola: è la guerra di tutti contro tutti, poiché esistono forze potenti che sappiamo sempre pronte ad accendere le guerre, a gestirle, a sfruttarle per il profitto o per incrementare il consenso interno vellicando la bestia del nazionalismo (che poi significa il razzismo).
La politica, quella nobile e vera, è proprio ciò che rende possibile quello che sembra impossibile, ma è necessario.
Certo l’invio di armi, che esse arrivino al Governo ucraino o direttamente alle bande di volontari nazisti, con tutto questo c’entra ben poco, ed è anzi il contrario di ogni tentativo di fuoruscita dalla logica della guerra.
E la logica della guerra non possiamo più permettercela, dato che (come ha affermato papa Francesco) oggi non esistono più guerre giuste; perché c’è una novità, una terribile novità, anche rispetto ai terribili anni della II guerra mondiale: tale novità è la catastrofe atomica.

L’unica, ma ferrea, logica della guerra è infatti l’escalation: chi risulta sconfitto a un livello di guerra 1 darà vita a un livello di guerra 2, chi risulta sconfitto a questo livello di guerra 2 darà vita a un livello di guerra 3, e così via senza fine; fino a che una delle due parti non si dichiari sconfitta.
Ma questo nella guerra russo-ucraina non può accadere: non si possono dichiarare sconfitte né la Russia né l’Ucraina, la prima per evidenti motivi (fra l’altro perché non può accettare missili NATO a 30 secondi da Mosca), la seconda perché ha dietro di sè gli USA e la NATO (l’Europa dei banchieri servi non esiste politicamente) che utilizzano l’Ucraina per fare la guerra. Non per caso quando Putin ha cominciato a parlare dell’opzione nucleare il premier ucraino ha subito risposto che quella minaccia non contava niente. E la proposta della no fly zone è – né più né meno – che la proposta della guerra atomica, perché se (come ha spiegato Zelensky) ogni aereo russo sui cieli ucraini dovrà essere abbattuto dalla NATO, allora la risposta russa a questo livello di guerra non potrà che essere di livello ancora superiore, cioè la guerra atomica.

Siamo sull’orlo del baratro e la risposta sembra consistere nel dotarsi… di jodio. “Deus prius dementat quos perdere vult” (“Dio rende prima stupidi quelli che vuole perdere”).
Tutto questo ci impone di mettere in atto, e subito, il contrario del restare passivi e il contrario delle armi: impone ad esempio il soccorso vero, indiscriminato e tempestivo, alle vittime della guerra (ma come si può fare questo se si forniscono armi a uno dei contendenti?), impone l’intensificazione, non la rottura!, dei rapporti culturali, scientifici, artistici con le popolazioni in guerra, impone l’accoglienza dei profughi e dei naufraghi come nostri con-cittadini; e richiede tre cose: trattare, trattare, trattare, fino al compromesso benedetto che si chiama pace.

Chiunque può ritrovarsi rifugiato – rispetto e azioni umanitarie per tutte/i!

Pubblicato il 22 mar 2022

Olga Athaniti  e Stefano Galieni*

La guerra in Ucraina continua ancora- circa 3 milioni di persone (1,4 milioni di loro sono bambini) hanno attualmente lasciato la loro patria, mentre carovane di persone al confine con la Polonia e gli altri Stati vicini dell’Ucraina  crescono ogni giorno.

Ciò che sta realmente accadendo in Ucraina è un’invasione della Russia, in violazione di qualsiasi nozione di diritto internazionale, un intervento imperialista, come quelli effettuati dalla NATO o da altre grandi potenze negli ultimi anni in tutto il mondo, con conseguente perdita di vite umane, distruzione di interi paesi, creazione di enormi ondate di popolazioni di rifugiati.

Gli ucraini stanno vivendo oggi lo stesso amaro destino di milioni di altri, da così tanti anni, stanno lottando per salvare le loro vite e le vite dei loro figli.

La situazione che stiamo affrontando, non lascia spazio all’apatia: abbiamo bisogno, prima di tutto, di un forte movimento contro la guerra, ampio, dinamico e unito, per porre fine alla guerra. Un movimento per la pace simile a quelli degli anni Settanta, Ottanta e oltre, che avevano svolto un ruolo decisivo per giungere al cessate il fuoco. Dobbiamo anche fare uno sforzo congiunto per combattere le cause che portano alle guerre.

Il Partito della Sinistra Europea, in ogni Stato membro dell’UE, mobilita le sue forze, in collaborazione con le organizzazioni sociali e di base sul campo, in modo da ricevere, informare, trasportare, accogliere e rispondere ai bisogni fondamentali delle nuove ondate di rifugiati e per garantire l’inclusione dei bambini nell’istruzione.

Allo stesso tempo, esorta i governi degli Stati membri dell’UE a cancellare l’inaccettabile New pact on migration and asylum  e a riconoscere la necessità di creare corridoi legali e sicuri, nonché un serio piano di ricollocazione per tutti i rifugiati.

Il Partito della Sinistra Europea condanna in maniera netta il tentativo di discriminazione tra persone sradicate dagli orrori della guerra, le politiche di criminalizzazione del soccorso in mare, l’incapacità di affrontare decine di accuse rispetto alle deportazioni illegali di rifugiati, la chiusura delle frontiere tra gli Stati membri dell’UE, la militarizzazione dell’Europa contro tanti esseri umani disperati.

L’applicazione del diritto internazionale non può in nessun caso essere selettiva, né possono esserlo la sensibilità e l’umanità. La tragedia in corso del popolo ucraino lo rende chiaro: chiunque può ritrovarsi nelle condizioni di rifugiato quando i giochi e le scelte geopolitiche demoliscono ogni possibilità di coesistenza pacifica.

Chiediamo e abbiamo urgente bisogno di rispetto e di interventi umanitari per tutti coloro che ne hanno bisogno, per tutte le persone che rischiano la vita e che sono costrette a fuggire.

*Coordinatori del WG Migration, del Partito della Sinistra Europea